Il renziano Marco Carrai per Israele. Il deputato di Fdi Comba e un industriale bresciano per la Bielorussia. Il banchiere Fallico per il regime di Putin. Carlo Sama per il Paraguay. Un’inchiesta internazionale de L’Espresso con Icij e ProPublica svela poteri e privilegi dei privati che rappresentano Stati esteri

Il 26 novembre 2019 la Guardia di Finanza si presenta negli uffici a Firenze di Marco Carrai, imprenditore e uomo di fiducia dell'ex premier Matteo Renzi. I militari mostrano un mandato di perquisizione firmato dai pm Luca Turco e Antonino Nastasi, che indagano sui finanziamenti ricevuti dalla fondazione Open, di cui Carrai è uno dei dirigenti. La perquisizione però è parziale: i magistrati riconoscono che una parte dell'immobile è inviolabile. A delimitarla è lo stesso Carrai, che detta le sue indicazioni nel verbale dei finanzieri: «L'anticamera e la stanza adiacente, con funzione di uffici consolari, sono stati esclusi dall'attività di polizia giudiziaria». Poter decidere cosa può essere perquisito e sequestrato dalla magistratura, e quali stanze e documenti devono invece restare segreti, è il sogno di ogni indagato.

 

Carrai ha beneficiato di questo privilegio legale perché è il console onorario di Israele a Firenze. Riveste questa carica dal 10 settembre 2019, data dell'accreditamento (exequatur) del ministero degli Esteri italiano. Quel giorno l'ambasciatore israeliano a Roma, Dror Eydar, annuncia via Internet che Carrai è il primo a rivestire quel ruolo a Firenze, con competenze su tre regioni: Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. Il tempismo della nomina è notevole: appena nove giorni dopo, il 19 settembre, l'agenzia Ansa informa che Alberto Bianchi, il presidente della Fondazione Open, si è visto perquisire, a sorpresa, la casa e gli uffici. Due mesi dopo, quando tocca a Carrai, è ormai diventato un console, per cui è protetto dall'immunità diplomatica. E la Finanza si deve fermare.

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Shadow Diplomats: svelati terroristi, stupratori e trafficanti tra i consoli onorari con immunità diplomatica
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Nel mondo esistono migliaia di consoli onorari, diverse centinaia solo in Italia. Non sono ambasciatori o diplomatici pubblici. Sono privati, ma rappresentano uno Stato all'estero. Quindi godono di una forma minore d'immunità diplomatica: non possono essere perquisiti o intercettati per tutte le attività, non prefissate dai trattati, di possibile interesse statale. Uno scudo legale che ha finito per attirare molti personaggi spregiudicati e perfino criminali. Questa inchiesta giornalistica internazionale, chiamata Shadow Diplomats (diplomatici-ombra), ha identificato, per la prima volta, più di 500 consoli onorari che sono stati accusati pubblicamente di aver violato la legge o gestito affari controversi per interessi privati. Molti risultano tuttora in carica.

 

L'inchiesta ha unito più di 160 giornalisti di 46 nazioni, tra cui L'Espresso in esclusiva per l'Italia, coordinati dall'International Consortium of Investigative Journalists (Icij) e dalla fondazione indipendente ProPublica. Nell'elenco degli oltre 500 casi documentati di cariche problematiche compaiono politici e imprenditori condannati per corruzione, tesorieri di organizzazioni terroristiche, riciclatori di capitali mafiosi, spie di regimi autoritari, falsari, truffatori, trafficanti di cocaina e armi.

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Carrai è entrato nella lista internazionale perché è indagato e il suo ruolo ha influenzato l'istruttoria. I giudici decideranno nelle prossime settimane se dovrà essere processato, con l'ex premier Renzi e altri, per il reato di finanziamenti illeciti. L'indagine di Firenze ha accertato che la fondazione Open, tra il 2014 e il 2018, ha incassato oltre 3,5 milioni di euro da diverse aziende private, senza dichiararli come contributi politici. Renzi si proclama innocente, anzi perseguitato, e tutte le difese sostengono che la fondazione non è un partito, quindi non ha obblighi di trasparenza. A questo verdetto è appesa la sorte di molte altre indagini sui soldi ai partiti, in un quadro giuridico incerto, che si può riassumere in un solo quesito: per sfuggire alla storica legge che fu alla base di Tangentopoli, quella che impone di comunicare e registrare i finanziamenti ai politici, basta intestare una fondazione agli amici?

 

L’Espresso ha fatto pervenire a Carrai molte domande sul suo ruolo di console onorario: quali personalità hanno favorito la sua nomina, cosa ha fatto in questi anni per il governo di Tel Aviv, che interessi ha in quella nazione, quali affari ha gestito con i suoi soci israeliani come Jonathan Pacifici. L'imprenditore però ha preferito, diplomaticamente, non rispondere.

 

Fabrizio Comba

Tra gli oltre 500 «diplomatici-ombra» ci sono anche consoli non indagati, ma in situazioni di conflitto d'interessi: ad esempio, politici che rappresentano regimi considerati nemici dai loro stessi governi. Fabrizio Comba è un parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nel 2022 in Piemonte, la regione di Guido Crosetto, l’attuale ministro della Difesa. Alla Camera, Comba è stato inserito proprio nella commissione Difesa, ruolo delicatissimo in tempi di guerra. Anche perché lui non è mai stato un sostenitore della Nato e tantomeno dell'Ucraina. Torinese, 56 anni, laureato in Giurisprudenza, imprenditore nel settore delle auto, è stato nominato console onorario della Bielorussia già nel 2004 e ha continuato a ricoprire quella carica fino a pochi mesi fa, con una sola pausa per «sopraggiunta incompatibilità», come ha spiegato lui stesso, riferendosi al periodo in cui era consigliere regionale in Piemonte.

 

Caduta quella giunta a guida leghista, Comba torna a fare l'imprenditore, proprietario di una carrozzeria e una concessionaria d'auto. E dal 2016 ricomincia anche a fare il console onorario per la Bielorussia, promettendo di rafforzare i rapporti economici con l'Italia, specialmente nella chimica, agricoltura, cellulosa, legno, pelle e, naturalmente, automobili. Un compito non facile, perché da molti anni l'Unione Europea sta sanzionando la Bielorussia per violazione dei diritti umani, repressione sociale, falsificazione dei risultati elettorali. Nel febbraio scorso, quando il presidente-dittatore Alexandr Lukashenko si è schierato al fianco di Putin nella guerra in Ucraina, le sanzioni si sono aggravate. Comba però si è dimesso dalla carica di console solo nella tarda estate di quest'anno, in piena campagna elettorale, dopo essersi visto rinfacciare le sue richieste, ripetute più volte fin dal 2014, di revocare le sanzioni contro la Russia, perché danneggiano anche aziende italiane. L'onorevole Comba non ha risposto a nessuna domanda de L'Espresso.

 

Antonio Fallico

Un altro diplomatico privato in bilico tra Est e Ovest è Antonio Fallico. È l'italiano più potente di Mosca. Presidente di Banca Intesa Russia, gestisce da decenni affari e relazioni politiche con l'ex Blocco sovietico. E fin dal 2008 è console onorario della Federazione Russa a Verona. Ha difeso pubblicamente il regime di Vladimir Putin anche alla vigilia della guerra contro l'Ucraina. Il 10 febbraio scorso, in un convegno a Mosca, ha dichiarato che «la Russia in tutta la sua storia non ha mai attaccato nessuno», chiedendo se l'allarme americano non fosse «un nuovo pretesto per l'allargamento della Nato ad Est». Una tesi rilanciata in un'intervista del 15 febbraio, nove giorni prima della guerra.

 

Fallico, classe 1945, ha conosciuto tutti i leader di Mosca degli ultimi 50 anni, da Breznev ad Andropov, da Gorbaciov a Eltsin, fino a Putin e Medvedev. Originario di Bronte, in Sicilia, laureato in Lettere a Catania, si è trasferito come insegnante a Verona, dove negli anni '70 si è iscritto al Pci. Dal Veneto, con la tessera comunista, è diventato consulente per la Russia della Banca Cattolica, poi confluita nel gruppo Intesa. Con Putin ha un rapporto molto stretto. Lo conosce da quando era vicesindaco di San Pietroburgo. All'inaugurazione della sede di Banca Intesa a Mosca, Putin è intervenuto di persona, con un altro ospite eccellente: Silvio Berlusconi. A Verona, Fallico è presidente dell'«Associazione conoscere Eurasia», fondata nel 2007 per «sviluppare le relazioni tra Italia, Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan», che organizza ogni anno un forum con i big del gas e petrolio. L'ultima edizione, la quindicesima, ha dovuto traslocare da Verona a Baku, in Azerbaijan, perché le sanzioni hanno tenuto lontano dall'Italia gli oligarchi invitati da Fallico, come Igor Sechin, il numero uno della Rosneft.

 

L'Espresso e il consorzio Icij hanno inviato 15 domande a Fallico, per chiarire la sua attività di console; gli accordi tra Banca Intesa e Mir Capital, una finanziaria di GazpromBank di cui era presidente; i negoziati tra Berlusconi e Putin, tra il 2002 e 2006, per modificare i contratti dell'Eni con Gazprom, che hanno raddoppiato la dipendenza italiana dal gas russo. Fallico non ha risposto. Non ha voluto correggere neppure le sue dichiarazioni sull'Ucraina.

 

La carica diplomatica offre una rete di supporto politico internazionale anche a diversi imprenditori italiani. Roberto Gotti è un industriale bresciano che dal 2018 è console onorario della Bielorussia. La sua azienda, Dismas Trading, ha l'esclusiva per l'Italia nel commercio dei prodotti in acciaio fabbricati dall'industria statale bielorussa Bmz, che nel 2021 gli ha garantito ricavi per oltre 34 milioni e utili netti per 412 mila euro. Gotti è anche un appassionato di scherma, a cui ha dedicato un museo e una scuola a Botticino, dove vive.

 

La Bmz, in Bielorussia, è accusata di repressione delle proteste operaie. Tra il 2020 e il 2021, nei mesi delle rivolte di massa contro il regime, lo sciopero dei lavoratori dell'acciaio è stato stroncato con l'arresto dei loro rappresentanti sindacali, condannati a tre anni di galera. Molti operai sono stati licenziati, altri sono scappati all'estero.

 

Gotti ha risposto a tutte le domande inviate da L'Espresso e da altre testate europee. «Ho iniziato a lavorare con la Bielorussia 22 anni fa, sono i rapporti commerciali che hanno spinto la diplomazia, non la politica, a chiedermi di diventare console onorario. Sono un europeista convinto, la guerra in Ucraina è una tragedia per tutti». In un lettera riservata del 5 settembre 2022, ottenuta dal quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung, l'ambasciatore bielorusso a Roma lo definisce «il più attivo console onorario in Italia». E afferma che Gotti «non ha interrotto i rapporti economici» neppure dopo le sanzioni di guerra, anzi si sarebbe offerto di «fare ogni sforzo per svilupparli ulteriormente».

 

L'imprenditore però smentisce di aver mai aggirato le sanzioni: «Molti nostri contatti sono svaniti già nella prima notte di guerra in Ucraina. Dal 4 giugno, con le sanzioni sull'acciaio bielorusso, la mia azienda ha dovuto riconvertirsi totalmente: da allora compriamo da altri Stati, come Cina, India, Indonesia, Turchia... Penso che la mail dell'ambasciatore si riferisca ai pochissimi prodotti bielorussi esclusi dalle sanzioni». Gotti poi conferma, come si ricava dalle mail, di aver chiesto alla Bielorussia, tramite l'ambasciatore, di votare per un suo amico italiano, Giorgio Scarso, per la carica di vicepresidente della Federazione europea di scherma, nomina in effetti ottenuta il primo ottobre scorso.

 

L'azienda del console bresciano è sensibile agli equilibri strategici. Gotti ha avuto per anni tra i soci un'azienda austriaca controllata al 50 per cento da ex manager bielorussi dell'acciaio: la sua quota è stata venduta a un gruppo italiano il 24 febbraio 2022. Il giorno dell'invasione russa dell'Ucraina. Difficile non pensare a una mossa in extremis per sfuggire alle sanzioni di guerra.

 

Altri diplomatici privati hanno forti legami con la politica. Il professor Giacomo Gargano è considerato un fedelissimo dell'ex governatore siciliano Nello Musumeci, oggi ministro. Ed è il console onorario del Sudafrica a Catania. Gargano, 43 anni, avvocato e docente di Diritto amministrativo all'università Kore di Enna, dal 2018 siede su una poltrona chiave per l'economia siciliana: è presidente dell'Irfis, la banca regionale che gestisce gli aiuti pubblici alle imprese e i fondi per il Covid-19. E per il Sudafrica che fa? Il console non ha risposto.

 

Carlo Sama

Tra gli imprenditori italiani che rappresentano nazioni straniere, il più conosciuto è Carlo Sama, ex azionista e amministratore del colosso Ferruzzi-Montedison, travolto dalle indagini di Mani pulite. Al processo Enimont, fu tra i primi a confessare la cosiddetta «madre di tutte le tangenti» e ha limitato la condanna definitiva a tre anni, evitando il carcere. Nel 2018 ha ottenuto la riabilitazione giudiziaria, che cancella tutti gli effetti della pena. In questi anni ha trasferito le attività all'estero: nel Principato di Monaco ha creato la holding, FerSam, che rimanda ai cognomi di lui e della moglie, Alessandra Ferruzzi, figlia di Serafino, il fondatore dell'impero di famiglia. Il tesoro del gruppo oggi è soprattutto in Sudamerica: enormi tenute agricole, proprietà immobiliari, investimenti finanziari. Sama è anche console onorario del Paraguay proprio a Montecarlo.

 

L’Espresso gli ha chiesto chi gli ha offerto quel ruolo diplomatico nel paradiso fiscale europeo. Carlo Sama ha risposto in modo esauriente: «Sono stato nominato dal presidente Horacio Cartes nel novembre 2016. Amo il Paraguay, un paese aperto al mercato dei cereali, che ha assunto una rilevanza mondiale per la soia. La nostra azienda agricola è una delle più avanzate, nell'Alto Paranà, la zona più fertile. Viaggiando spesso per lavoro, ho conosciuto il ministro degli Esteri, Eladio Loizaga. È stato lui a propormi Monaco». Sama precisa che «la procedura è iniziata nel 2015» e la nomina è stata riconfermata «dai successivi ministri, Castiglioni, Acevedo, Arriola, oggi tutti membri del governo dell’attuale presidente Mario Abdo Benitez». E in cosa consiste la sua attività di console? «Promuovere il Paese sotto il profilo delle potenzialità economiche di sviluppo». La carica diplomatica ha mai favorito le sue aziende? La risposta di Sama è netta: «Lo escludo».

 

L’inchiesta “Shadow Diplomats”, pubblicata in queste pagine, ha unito 160 giornalisti di 61 testate di 46 nazioni, tra cui L’Espresso in esclusiva per l’Italia, coordinati dal consorzio Icij e dalla fondazione ProPublica. A questo articolo hanno contribuito, in particolare, Mauritius Much (Sueddeutsche Zeitung), Alexander Yarashevich e Aliaksei Hulitski (Belarusian Investigative Center), Stefan Melichar e Michael Nikbakhsh (Profil), Uri Blau (Shomrim), Will Fitzgibbon e Delphine Reuter (Icij).

Illustrazioni di Matt Rota (Icij / ProPublica)