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Attualità
novembre, 2022

La timidezza delle chiome: il film sulla vita di Benjamin e Joshua, persone oltre ogni barriera

Presentato a Venezia, arriva nelle sale il lavoro di Valentina Bertani. Ansie, emozioni e quotidianità di due gemelli ventenni con un deficit cognitivo che la regista ha seguito nel percorso di crescita dall’adolescenza all’età adulta

Settembre 2016: la regista Valentina Bertani ha appena parcheggiato il motorino in via Gentilino 6, Milano, quando vede sfilare davanti a sé due fratelli, gemelli nella capigliatura frastagliata, nei lineamenti del naso come la capigliatura e nell’andatura che s’impossessa del marciapiede. In quei tratti rivede certi personaggi del cinema indipendente americano, di una bellezza fatta di schegge e asimmetria. Prova a fermarli. Loro non le rivolgono la parola e continuano a camminare. «Nel vederli andar via mi chiesi se non avessi lasciato andare via anche una storia. Noi che lavoriamo a film pubblicitari, videoclip musicali o per la moda non ci soffermiamo mai a pensare se dietro alle persone ci sia un racconto e io quel giorno me lo domandai per la prima volta».

 

Nel tentare di riacciuffare storia e contatti dei gemelli entra in alcuni bar della via e chiede se qualcuno li conosce. Qualcuno li conosce. Nasce così “La timidezza delle chiome”, presentato a Venezia nella Giornata degli Autori e in uscita nei cinema il 10 novembre, un film che del documentario ha la realtà, ma che ha anche molto altro. Innanzitutto ha il tempo: Valentina Bertani ha seguito per cinque anni Benjamin e Joshua Israel, due gemelli omozigoti con un deficit cognitivo, che rimane quasi in sottofondo rispetto all’impeto dei suoi protagonisti che sognano di suonare con Beethoven, con i Muse, di prendere la patente, «di scopare frà» o di fare l’amore, «no, scopare è meglio frà».

 

«Il nostro è un racconto di formazione e di una separazione», racconta Valentina: «Non volevo che ci fosse un’ossessione morbosa nei confronti della disabilità. Questi sono i ragazzi, io te li presento e quando conosci una persona non è detto che io debba comunicarti che disabilità o che orientamento sessuale abbiano, li devi conoscere tu». Valentina e il suo gruppo di lavoro cominciano a conoscerli uscendoci insieme: «Ogni dieci giorni circa ci vedevamo e andavamo al bowling, al luna park, a giocare a calcio. Il calcio per loro è un gioco immaginario, di invenzioni, di bastoni che diventano porte. Ho capito che c’era un mondo che non conoscevo, che esiste nella loro testa e che mi sarebbe piaciuto raccontare».

Le prime riprese sono state effettuate nel giorno dell’esame di maturità, qui la regia adotta il punto di vista dello smartphone rendendo ciò che vediamo già un ricordo. Altre volte compaiono filmati d’archivio, vhs dell’infanzia dei gemelli che entrano nella narrazione: così, dalla torta di compleanno dei venti anni, girata oggi, si passa ad una torta di compleanno con quattro candeline, Benjamin e Joshua piccoli e poi un frammento tratto dal cartone animato di Braccio di Ferro in cui due gemelli sbattono i pugni sul tavolo e fanno saltare una torta in bocca ad Olivia.

 

La regia torna ferma e reale quando segue una seduta di terapia di Joshua con la sua psicologa, «Ho cercato di non essere invadente, pur standogli addosso, infatti a un certo punto lui guarda in macchina. Ho perdonato questo errore perché è un film con una sua grammatica. In quel momento non stava guardando la macchina da presa, stava guardando me per dirmi “Ci sei? Va tutto bene?”. Il mio non fermarlo è stato un dirgli va bene, dì quello che vuoi. E lui dice: “Voglio scopare, almeno una volta, per vedere com’è”. Abbiamo rotto una barriera», dice Valentina. In un’altra scena le chiome fitte di due alberi vicini si ritirano e scompaiono come in un rituale magico. Una ragazza nel bosco, stesa sulle gambe di Benjamin, commenta: «Ci sono degli alberi che quando crescono non si intrecciano tra loro coi rami per non farsi ombra a vicenda. Si chiama timidezza delle chiome».

 

La ragazza si chiama invece Michela e Valentina l’ha scoperta sulla pagina Facebook Sos Levrieri, «l’ho vista ballare in un video, stupenda, in un modo tutto suo. Non sapevo ancora fosse ipoudente. Quando ci siamo conosciute mi ha detto che avverte le vibrazioni della musica da dentro e questo arriva allo spettatore, perché quando balla sembra che l’audio provenga proprio da lei». La scena delle chiome che si distanziano annuncia un’inaspettata svolta della trama, a tavola Joshua dice di voler entrare nell’esercito israeliano.

 

«Tra le tante cose inventate che dicono i gemelli ce n’è sempre qualcuna che tu reputi inventata e che invece è vera», racconta Valentina.
Prima di chiudere il montaggio definitivo del film, Valentina l’ha mostrato ad alcuni attivisti per assicurarsi che il racconto della disabilità fosse stato condotto in modo corretto. Fra questi c’è Max Ulivieri, presidente del Comitato LoveGiver, che forma gli operatori all’affettività, all’emotività e alla sessualità per supportare le persone con disabilità a sperimentare l’erotismo. «Attraverso un racconto come questo ci si rende conto che i protagonisti hanno gli stessi desideri, fantasie e progetti di vita di chiunque. Ciò che manca è l’abitudine dell’occhio umano a vedere queste persone immerse nella realtà perché sono nascoste. Il passaggio successivo sarebbe avere persone con disabilità in film e fiction che non parlano di disabilità».

 

Enrico Mecozzi, in arte Henry’S Corner, 1,2 milioni di follower su TikTok, non solo ha visto il pre-montato del film ma l’ha anche presentato a Venezia esordendo con: «Mi chiamo Henry’s, ho 21 anni e mi manca un pezzo». Nel dirlo, ha sollevato il braccio sinistro mostrando che è senza mano. Lo stesso gesto l’aveva fatto in un video su YouTube in cui elencava le cinque cose che aveva e le cinque cose che non aveva, fra cui l’arto. Raggiunto al telefono racconta: «Prima di quel video non riuscivo ad uscire di casa senza una felpa gigante o in giacca anche il 15 di agosto. La vita era invivibile ed è cambiata quando la manica si è arrotolata, ho scoperto le t-shirt e ho creato lo stile che per anni avevo tenuto nascosto». In merito al film dice che «finalmente non si tratta la disabilità con il “poverino” o rendendo eroe uno che si allaccia una scarpa, perché poi si passa da un estremo all’altro. Questo è uno spaccato di vita su due ragazzi normali. Non vedo altro di diverso».

 

Mostriamo il trailer a Roberto Speziale, presidente dell’Anfass, l’Associazione nazionale di famiglie e persone con disabilità intellettive e disturbi del neuro-sviluppo; associazione sorta nel 1958, in un’Italia in cui era d’uso il termine «subnormale». Speziale pronuncia la parola «invisibilità», riferendosi a quel momento in cui un disabile diviene maggiorenne.

«Nel passaggio dal tempo-scuola al tempo dell’adultità, mentre per i coetanei c’è un proseguimento naturale della vita, nello studio e nel lavoro, per chi ha una disabilità cognitiva c’è il vuoto totale. In assenza di adeguati sostegni queste persone non riescono a sviluppare un percorso che ne garantisca la crescita. Li condanniamo a restare eterni bambini. Ciò avviene nei servizi, un esempio su tutti: fino a 18 anni si è seguiti dal neuropsichiatra infantile, subito dopo la psichiatria per adulti non se ne fa carico. Diventano utenti di centri semi-residenziali dove passano ore della loro vita a fare perline, a disegnare, ma non vivono la loro vita. Stiamo lavorando affinché questi luoghi siano palestre per l’autonomia e la socializzazione».

 

A Milano c’è Rab, un bar che già nell’insegna offre un punto di vista al contrario. Lo spazio è nato dall’associazione di volontariato “Handicap su la testa!” ed è qui che incontriamo Benjamin. Elenca le quattro scene più belle del film secondo lui, ma poi va avanti fino a nove scene. «La prima scena bella è quella dei preservativi, mi piace perché faccio ridere». Del primo non-incontro con Valentina dice che non le ha rivolto parola «perché era una sconosciuta. Quando ci ha proposto di girare il film ho pensato che forse era la mia strada. E poi dato che ho il pallone, le donne, suono la batteria, ora non so che fare».

Parlando del film dice: «Altroché Harry Potter, Spiderman, qui non ci sono effetti speciali. Quando l’ho visto la prima volta, ero sconosciuto. Non sembravo io davvero. La scena del campeggio non mi sembrava reale e invece lo è. Far parte di un film vuol dire che cambi te stesso, ti intravedi in una scena e capisci dove puoi andare: ovunque vuoi te, andrai. Io potrò andare sicuramente nei cinema tipo a cinque stelle. A Venezia ero confuso, non ci credevo che ero a Venezia. Ho anche autografato la tetta di una. Era morbida la tetta di sinistra, quella di destra era un po’ duretta. Poi c’è anche la paura di non veder più le persone che durante il film lavoravano con te. Però quando dopo il film le persone restano sai che ti seguiranno sempre e tu seguirai loro. La Vale mi ha cambiato in meglio, sono più socievole».

Gli chiediamo se gli piace il titolo del film, «Bomba», e se lui è timido, «No, sono stronzo». Cosa vorrebbe che arrivasse allo spettatore? «Deve capire com’è fatto il mondo, che persone ha davanti, deve capire come sono fatte le persone diverse, come sono dentro. Le persone si capiscono conoscendole, parlando, scherzando, ridendo. Io capisco cos’hanno, io sono un sentimentale. Il finale del film commuove tutti. A me no perché l’ho fatto io il finale. Hai presente l’addio di Totti alla Roma? La stessa cosa». Mostra un video di saluti inviatogli da Francesco Totti, «quando l’ho visto mi son detto: cioè Totti mi conosce e io non conosco lui?!». Qualche giorno dopo Joshua ci invia un messaggio vocale: «Vorrei che la storia della mia vita tocchi il cuore perché la mia storia è vera. Racconta che ognuno deve fare la propria strada. In futuro mi piacerebbe interpretare un musicista o Rocky, perché vorrei essere forte come lui. Nel rivedermi nel film mi sono detto: Cazzo quanto sono cresciuto. Adesso ascolto di più. Guardo le strade. Guardo le porte aperte».

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