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Cultura
dicembre, 2022

Timothée Chalamet: «Il crollo della società è nell’aria»

Emblema di stile, icona di fluidità, idolo dei più giovani. E ora, nel nuovo film di Guadagnino, un cannibale dal cuore puro. Ma altre sfide già lo aspettano: il sequel di “Dune”, il ruolo di Willy Wonka

Più che un attore è diventato un fenomeno. L’idolo delle nuove generazioni Timothée Chalamet non è solo riuscito a costruire una carriera invidiabile alternando film d’autore a opere mainstream di successo. Ha saputo anche seguire un percorso parallelo da icona della moda tale da garantirgli ad ogni uscita pubblica un’attenzione mediatica senza pari.

A soli 26 anni è il divo 2.0, rigorosamente fluido, allergico alle etichette, per nulla macho, ironico e alla mano, capace come pochi altri suoi colleghi di mettere d’accordo critici di tutto il mondo e spettatori (e spettatrici) di ogni età. Sul grande schermo sfoggia capelli rossi e jeans strappati nel road movie romantico di Luca Guadagnino “Bones and all”, in cui veste i panni del tormentato Lee, cannibale dal cuore puro. Lui preferisce definirlo un outsider: «È un ragazzo che vive ai margini, isolato, che prova un desiderio forte di contatto con l’altro. Una sensazione che abbiamo sperimentato tutti in pandemia: per capire chi siamo abbiamo un disperato bisogno del contatto con l’altro».

Malgrado sia girata da un cineasta italiano, è una storia profondamente americana: «Siamo nel Midwest degli anni Ottanta, nell’America reaganiana in cui si respirava un’atmosfera di promesse poi disattese, che ha lasciato ferite e cicatrici ancora oggi aperte». Non esita a parlare di certi autoritarismi di oggi come di «un chiaro ritorno al passato: certi governi nazionalisti che emergono qua e là oggi celebrano l’individualismo, anziché condannarlo». Invece le nuove generazioni scalpitano per avere «esempi e modelli diversi: film come il nostro mostrano proprio la difficoltà tipica dei giovani di vivere isolati dagli altri, di sentirsi diversi, sbagliati, in perenne lotta per essere riconosciuti come meritevoli di amore». Amore a ventisei anni è una parola che fa paura? «So di essere ancora molto giovane per parlarne, ma con Taylor Russell - splendida compagna di scena, attrice sensazionale e vera protagonista del film - abbiamo fatto lunghi discorsi sul folle amore dei nostri personaggi, che lo vivono come un sentimento potente, un misto di cura, salvezza, terapia».

A guidarli è stato un attento Luca Guadagnino, che Chalamet considera «una sorta di padre». Di più: «Mi ha guidato dall’inizio alla fine come aveva fatto in “Chiamami con il tuo nome”, film a cui devo tanto, è stato una svolta nella mia carriera. Questa volta mi ha permesso di lavorare anche sulla sceneggiatura e ha continuato ad avere con me un dialogo costante. Da lui mi sento compreso, incoraggiato e sostenuto». Lo considera un regista unico al mondo, il motivo? «È in grado di creare un ambiente di lavoro stimolante, sicuro e confortevole in cui gli attori si sentono liberi di esplorare le vette più autentiche dell’animo umano».

Quanto al cannibalismo, per lui è soltanto «una metafora utile a esplorare l’universo interiore di due ragazzi senza più punti di riferimento né comunità di appartenenza. Non hanno specchi entro cui guardarsi, sanno di essere una minaccia per gli altri, una minaccia mortale. Per questo vivono con la paura di essere se stessi e la condanna a una solitudine estrema». Una gioventù spaventata, solitaria, è così che vede oggi la sua generazione? «Inutile mentire, essere giovani oggi non è affatto semplice. Cresciamo perennemente esposti agli occhi e ai giudizi della gente attraverso i social media e viviamo in un momento complicatissimo, in cui ormai il crollo della società è nell’aria». Il cinema può salvare, per lo meno lui dice di essersi salvato recitando e si considera cannibale, artisticamente parlando, di attori come «Joaquin Phoenix, Heath Ledger e Daniel Day Lewis». Si guarda bene dall’imitarli, anzi si affretta a sottolineare: «Non mi sognerei mai di provare a fare come loro, ognuno ha le sue sfide e segue i suoi percorsi e a me piace uscire da quelli già noti e segnati». Per questo in “Bones and all” si è cimentato anche nella produzione: «È un film speciale in cui credo moltissimo e spero vivamente di poter continuare su questa strada, facendo anche altre cose oltre alla recitazione e sostenendo progetti validi il più possibile, non per forza con me protagonista». Intanto nel 2023 lo aspettano tre sfide attoriali importanti, a partire dal sequel di “Dune” previsto al cinema a novembre del prossimo anno, in cui torna a vestire i panni di Paul Atreides. Prima, però, dovrà compiere due salti mortali. Il primo, interpretare Bob Dylan in “Going Electric” di James Mangold. Per prepararsi rivela di aver letto il libro di memorie “Chronicles: Volume One”, preso lezioni di chitarra, affittato un appartamento a Woodstock e girato per le case di New York dove ha vissuto Dylan, parlandone con l’esperto Joel Coen. Di tutt’altro tipo, ma non meno sfidante, l’impresa di dare corpo e voce al leggendario personaggio di Willy Wonka nel musical “Wonka” di Paul King. Dovrà confrontarsi con le performance dell’inarrivabile Gene Hackman e dell’istrionico Johnny Depp, ma sbaglia chi lo ritiene inesperto o troppo giovane: il film sarà un prequel e si svolgerà prima degli eventi di “La fabbrica di cioccolato”. Nel frattempo c’è qualcuno, a Hollywood, che è pronto a fargli da padrino: a indicarlo come suo erede è stato addirittura Al Pacino: «Chalamet è un attore incredibile con un aspetto grandioso, avrebbe potuto interpretare “Heat” al mio posto».

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