L’opinione
Non possiamo permettere che gli eccidi dei soldati nazisti in Italia vengano dimenticati
Dopo battaglie durate anni (condotte anche dall’Espresso) i documenti sulle atrocità tedesche sono pubblici. Ma rimangono molti ostacoli per il risarcimento delle vittime
Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema sono due luoghi simbolo delle stragi nazifasciste compiute in Italia nel 1943- 45 , ma non furono le sole. Un numero accreditato parla di 2.273 episodi; con certezza sono 695 i fascicoli trovati in un armadio della Procura generale militare nel 1996 dal magistrato Antonino Intelisano, che rappresentò l’accusa nel processo contro Eric Priebke. Erano stati occultati molti anni prima con lo scopo preciso di nascondere la storia tragica dell’occupazione hitleriana e imporre una pacificazione negazionista. Franco Giustolisi, giornalista de L’Espresso coniò la definizione di armadio della vergogna e nel 2016 Pier Vittorio Buffa, anche lui giornalista di questa testata, con la passione della storia, rivelò che i documenti erano finalmente accessibili, disponibili sul sito dell’Archivio storico della Camera dei deputati.
Ora gli storici hanno materiale significativo, ma le vittime, i sopravvissuti e i parenti che hanno chiesto inutilmente giustizia dai tribunali?
Come è potuto accadere che si siano dimenticati crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di inviolabili diritti umani, perciò imprescrittibili? La vicenda giudiziaria promossa da Duilio Bergamini contro la Repubblica Federale Tedesca è stata intricata e dopo la sentenza 238 del 2014 della Corte Costituzionale che dichiarava l’incostituzionalità di due leggi di recepimento di accordi internazionali che negavano la giurisdizione dell’Italia, il giudice Minniti del Tribunale di Firenze condannava la Germania al risarcimento. Finalmente il Governo, nel 2022, di fronte a un intollerabile impasse ha inserito nel Decreto legge legge 30 aprile, n. 36, l’Istituzione del Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità, compiuti in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich. L’accesso al Fondo aveva termini molto stretti e ancora una volta la questione rischiava di rimanere in sordina. Se ne accorse però Katia Poneti, giurista fiorentina, che riuscì a presentare l’atto di citazione per l’uccisione del nonno partigiano, Egidio Gimignani, tramite l’avvocato Jacopo Casetti e a diffondere la notizia.
Nella mia memoria familiare era radicato il ricordo della strage della Malga Promosio sulle Alpi carniche di proprietà di Andrea Brunetti ucciso il 21 luglio 1944 con 14 pastori. Mio nonno, Giorgio Muser sovrintendeva al comparto di Promosio e casualmente non era presente quel giorno. I soldati tedeschi proseguirono nella strage durante la discesa a valle uccidendo altri civili inermi al solo scopo di terrorizzare e impedire il sostegno ai partigiani. Ho immediatamente fornito la documentazione al sindaco di Paluzza, Massimo Mentil e all’avvocato Andrea Sandra. La riunione con la popolazione per l’adesione alla richiesta di condanna della Germania ha visto la partecipazione di oltre settanta persone, segno di una memoria ancora viva. A febbraio è fissata l’udienza.
Altre cinque cause sono state avviate a Udine, Gorizia e Trieste. Per molti parenti delle vittime non c’è stato il tempo per raccogliere la documentazione necessaria per rispettare i termini (27 ottobre). Si chiede oggi al governo di riaprire i termini e aumentare la dotazione del Fondo. È una richiesta più che giustificata.
La Resistenza in Carnia ha avuto caratteri drammatici e originali. Rappresenta una memoria collettiva che va conservata e tutelata. Il processo civile per il risarcimento alle vittime avrà anche questo significato.