Serve riconquistare il cuore delle persone smettendola di confonderlo con lo stomaco (come hanno fatto i populisti). E riportare il politico ad essere testimone del bene comune

Qualora ce ne fosse ancora ulteriore necessità, gli ultimi giorni hanno evidenziato anche ai più restii, la scarsa fungibilità dell’attuale quadro politico per svolgere, in modo serio e credibile il minimo sindacale dell’agenda più urgente per il nostro paese.

 

Nel moto perpetuo del rinvio, la timeline della politica dopo il Quirinale, passa a un nuovo argomento, per rinviare i conti con la realtà. Si susseguono temi che riguardano, in via prioritaria, la sopravvivenza o il consolidamento dei partiti o delle loro leadership, più che le necessità di rilancio del paese. Certamente, in questa fase ha senso una nuova legge elettorale, nello specifico, il proporzionale con il 5 per cento di sbarramento, per molti motivi.

 

È un approdo necessario ma non sufficiente. I partiti sono fondamentali, ma ci aspettiamo che si riparta da altro: una presa d’atto, quella che Enrico Letta ha chiamato “consapevolezza”. La politica è uno degli strumenti più nobili per servire il paese. Quando si riduce a posizionamento, alternato a evocazione di principi il risultato è la perdita progressiva di credibilità.

 

Mettiamo il naso qualche centimetro fuori dalla bolla. Ascoltiamo come ha vissuto il nostro Paese questi ultimi giorni. A parte chi si è particolarmente distinto per inadeguatezza, ce n’è comunque per tutti. La politica è lo specchio del paese, e le generalizzazioni qualunquiste vanno sempre male. È comunque un problema se il paese si vergogna di ciò che vede nello specchio.

 

La politica si è ridotta al presidio ossessivo degli spazi e non ha più la spinta forte e generosa per avviare processi. La rappresentanza è altro, un cammino collettivo in cui le persone germogliano, acquistano consapevolezza, vedono un senso nella loro partecipazione.

 

JCV

Ed è un ulteriore problema se la ricerca di classe dirigente viene svolta con mandato esclusivo di consolidare l’attuale. Chi vuole bene alla democrazia dei partiti e dei corpi intermedi (e io sono tra essi) deve chiedere discontinuità. Nessuno a casa, tutti confermati ma serve il coraggio di far nuove le cose. Chi lo capirà in fretta edificherà il Paese che meritiamo.

 

La democrazia non funziona senza il motore della partecipazione popolare, muore, trasforma il nostro spazio comune, pubblico, collettivo in qualcosa da evitare o detestare.

 

Serve riconquistare il cuore delle persone smettendola di confonderlo con lo stomaco (come hanno fatto i populisti). Certo, bisogna ricostruire identità, ma plurali e su elementi distintivi almeno contemporanei che riportino il “politico” ad essere testimone del bene comune e capace di concretezza come ci ricorda Padre Francesco Occhetta. La politica è troppo importante per lasciarla in mano esclusiva dei “politici”. Dobbiamo fare tutti un metro in più verso la politica.

 

Il primo gesto di credibilità è ricostruire una visione comune del Paese. Dentro una visione si fanno le Riforme, il Pnrr. Le Riforme sono un metodo, non un approdo, anche perché va bene il gradualismo ma il senso di marcia e la determinazione non possono essere incerte. E soprattutto bisogna fare sul serio. La grande questione è il lavoro. Ed è un tema su cui abbondare con la propaganda è particolarmente dannoso. Il lavoro e gli investimenti, la produttività non sono la risultante di un paese che funziona. Il lavoro non lo crea lo Stato. Anzi lo distrugge uno Stato complicato e dilaniato dalla burocrazia. Una Giustizia ingiusta. Un paese che ha percentuali di disoccupazione giovanile e Neet tra le più alte d’Europa, e in cui crescono i posti di lavoro vacanti? È un peccato sociale.

 

Insomma il Governo o fa sul serio o è inutile. Parresia e discernimento. Obbligo di verità e la virtù di selezionare, affidare priorità. E, consentitemi, silenziare i ministri più concentrati sulla propaganda che sull’andamento dei loro progetti. Il vero salto di qualità sarebbe proprio, accettare una valutazione rigorosa del proprio operato e saper correggere la rotta.

 

C’è un pezzo di paese che, dentro la competizione-globalizzazione, combatte da decenni a prescindere e senza la politica. E l’Italia della rendita e delle corporazioni che per relazioni ed eredità è protetta da norme di riguardo e denaro pubblico. E poi ci sono gli ultimi, di fatto e anche in qualsiasi scaletta di priorità, se non a scopo propagandistico.

 

Chi capirà che siamo oltre l’ultima campana, inizierà a fare sul serio. Gli altri saranno travolti dal loro stesso coraggio (scarso) e dalla manifesta inadeguatezza.