Un matrimonio sereno tra un pakistano e una donna che per sposarlo ha scelto l’islam. Poi la morte improvvisa e la scoperta che lui aveva una doppia vita. Ricca di sorprese. Un film che sta mietendo successi e premi, nella newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale araba

Le bianche scogliere di Dover, da secoli simbolo della Gran Bretagna per chi arriva dall’Europa. E sopra un gruppetto di persone: sembrano unite come una famiglia, eppure sono una donna inglese convertita all’islam, una francese anticonvenzionale e suo figlio, nato da un padre pakistano che nascondeva una doppia vita.

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L’ultima inquadratura di “After Love” sta ad indicare la possibilità di un cammino comune per popoli e religioni diverse all’interno della società inglese e di quella europea. Ma lo fa senza moralismi, senza intenti didascalici. E con una efficacia che ha portato il film di Aleem Khan, sceneggiatore produttore e regista al suo esordio nel lungometraggio, a collezionare a sorpresa quattro candidature ai premi Bafta, considerati gli Oscar inglesi e tra i più prestigiosi premi cinematografici al mondo. Le quattro nomination sono in alcune delle maggiori categorie: Outstanding British Film, Miglior regia e Miglior film d'esordio e Miglior attrice (la bravissima protagonista, Joanna Scanlan).

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Fin dalla prima inquadratura la trama è incentrata su di lei, sulla sua fisicità tranquilla, quasi rassegnata a una quotidianità senza scosse. Mary è felicemente sposata con un pakistano che lavora sui traghetti per Calais, per lui si è convertita all’islam, per lui ha adottato velo, abiti e cibo asiatico, per lui ha imparato l’urdu («Così potevo capire cosa dicevano di me i suoi parenti», spiega sorridendo). Poi lui muore all’improvviso, e lei scopre che aveva un’altra famiglia in Francia. L’incontro con l’altra donna apre la porta a una serie di malintesi e colpi di scena mentre emergono differenze inconciliabili e sorprendenti affinità tra due persone completamente diverse eppure unite, in fondo, da una passione comune.

Applaudito a Cannes alla Semaine de la Critique e vincitore di sei premi ai British Independent Film Awards, il film arriva nelle sale italiane il 10 febbraio per Teodora. Ne abbiamo parlato con il regista.

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I media – non solo I giornali ma anche il cinema – tendono ad occuparsi del mondo arabo-islamico solo per storie che riguardano il fondamentalismo, il terrorismo, la cronaca nera. Il suo film invece racconta una storia di vita quotidiana. Come è riuscito a realizzarlo?

«Esistono ritratti di personaggi musulmani ricchi ed autentici nel cinema di altre parti del mondo, ma in effetti nel cinema europeo e americano che è principalmente bianco (e in generale nei media e nella politica) la vita quotidiana stratificata e umana dei musulmani viene raramente esplorata. In effetti, sullo schermo vediamo raramente donne dell’età e della fisicità che ha Mary-Fahima. Volevo fare un film che permettesse di vedere la tranquillità domestica, la quotidianità: il modo in cui qualcuno piega una camicia, cucina un pasto, prega o fa un letto può rivelare molto su chi è davvero. Quando eseguiamo questi lavori umili quotidiani, i nostri corpi hanno una specie di pilota automatico, mentre le nostre menti possono essere completamente altrove. Era questa dualità, la differenza tra lo strato esterno e quello interiore del personaggio di Mary, che volevo catturare, ed è attraverso la quiete e l'immobilità della sua quotidianità che lo spettatore la vede più profondamente. Per me era importante che i rituali della vita domestica e della pratica religiosa di Mary fossero pienamente visibili senza nessun intervento. Volevo che lo spettatore fosse pienamente coinvolto nel modo in cui Maria recita la sua preghiera, come la dice, volevo che conoscesse il significato delle parole che lei stava recitando. Questo, per me, è stato il modo in cui ho potuto dare a questo personaggio la visibilità e la dignità che meritava».

Prima di "After Love" lei ha realizzato solo tre cortometraggi, tutti legati alla vita in Gran Bretagna di persone di origine straniera. Come è arrivato a girare questo film?

«Tutti i miei cortometraggi precedenti erano incentrati su personaggi che si sentivano come se fossero stati abbandonati in qualche modo, persone che vivevano ai margini della società. In “After Love”, invece, Mary è pienamente accettata e abbracciata dalla sua famiglia e dalla comunità musulmana, ma la frattura che lei vive è interiore. Il dolore e il tradimento che ha subito la costringono a guardare a sé stessa e ai tanti strati diversi che formano ciò che lei è, le scelte che ha fatto. La domanda su cui mi sono sempre concentrato durante lo sviluppo di questa storia è stata: "Quanto di quello che noi siamo ci appartiene davvero”. Quello che mi interessa di più è esplorare come vengono create le nostre identità e, più specificamente, per chi noi creiamo queste identità».

Una caratteristica del suo film sono le molte lingue: inglese, francese, arabo, urdu. Ci spiega questa scelta?

«Sono cresciuto in una famiglia in cui si parlavano lingue diverse, eppure non parlo la lingua madre di mio padre e ho sempre avuto grandi difficoltà nelle riunioni di famiglia perché non capivo quello che gli altri dicevano. Dovevo affidarci al linguaggio del corpo e ad altre forme di comunicazione non verbale per capire di cosa si stava parlando. Queste esperienze mi hanno fatto riflettere sull'importanza del linguaggio nelle nostre vite. La sua funzione primaria è quella di permetterci di comunicare tra di noi, ma può anche essere usato per escludere qualcuno. Per molti versi “After Love” è una storia sulla moralità. Tutti e tre i personaggi centrali hanno segreti e si tradiscono a vicenda in modi diversi. Nel film Mary parla inglese e urdu; Geneviève parla francese e inglese e Salomon parla francese, inglese e urdu. C'è una sovrapposizione che consente ai personaggi di escludersi l'un l'altro in alcuni momenti della storia, mentre sviluppano le relazioni tra di loro e cercano di stabilire il potere o la propria superiorità morale».

La storia è ambientata tra Francia e Gran Bretagna ma potrebbe accadere in qualsiasi paese europeo. C’è anche una forma di ironia: un uomo che ha due famiglie può sembrare una storia “tipicamente araba” vista la tradizione di poligamia, ma sappiamo bene che brutte sorprese come quella che aspetta Mary alla morte del marito accadono dovunque… Ha notato differenze nella reazione del pubblico che ha visto il film in diversi paesi?

«È esattamente così - questa storia potrebbe accadere ovunque – e in effetti qualcosa del genere succede ovunque ogni giorno. Le differenze nelle abitudini, nella geografia o nella cultura sono essenzialmente solo strati superficiali. Quando riusciamo a guardare oltre la superficie, vediamo un essere umano che ricambia il nostro sguardo, vediamo noi stessi. Credo che il pubblico sia incredibilmente profondo, non ha bisogno di essere manipolato e preferisco fare film che non cerchino di insegnargli nulla, ma piuttosto che gli facciano trovare la propria strada verso le cose. L'amore e il dolore non hanno lingua né confini e questi sono gli argomenti centrali del film. Direi che la reazione e l'interpretazione sono state piuttosto uniformi: mi è piaciuto molto entrare in contatto con gli spettatori di tutto il mondo e sento che hanno capito le mie intenzioni in questo film».

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