Il soccorso in elicottero in tempi rapidi non è disponibile in tutto il Paese. La sua distribuzione a singhiozzo è una delle facce della disparità di accesso alla salute. Come dimostrano due casi recenti, in Calabria e in Molise

Il diritto alla salute non è come la legge: non è uguale per tutti. E a volte capita ne facciano le spese anche i bambini. È successo a Ginevra, due anni, positiva al Covid-19, trasportata d’urgenza dalla Calabria, dove non esiste un reparto di rianimazione pediatrica, a Roma con un volo militare e ricoverata al Bambino Gesù, dove è deceduta perché le sue condizioni erano disperate. E a Vito, un anno e mezzo, portato in elicottero all’ospedale Santobono di Napoli perché nella sua regione, il Molise, non c’è un chirurgo specializzato nell’intervento di cui aveva bisogno, un’operazione al cuore. Dopo dieci giorni di apprensione, il piccolo è tornato a casa. Ma la possibilità di aver salva la vita, già di per sé aggrappata ai minuti che in queste situazioni diventano preziosi, non può essere solo una questione di fortuna.

 

Per questo motivo, in situazioni di emergenza è possibile ricorrere all’elisoccorso. Che, spiega il professor Franco Marinangeli, Ordinario di Anestesia e rianimazione all’Università dell’Aquila ed ex medico a bordo, «è un ospedale volante in grado di centralizzare il paziente nel luogo di cura migliore». La finalità del trasporto in elicottero è infatti quella di fornire al malato non l’ospedale più vicino ma quello per lui più qualificato. «È questo il vantaggio rispetto all’ambulanza. Ma se una regione non si organizza, il sistema di emergenza resta monco. Il nodo fondamentale è strutturare la rete di emergenza-urgenza, integrando l’elisoccorso con gli altri mezzi a disposizione. Eppure, la differenza di disponibilità nelle varie regioni denota modalità diverse di accesso alla sanità». Il trasporto in elicottero, afferma Marinangeli, permette di «ottimizzare la rete ospedaliera, evitando magari che il paziente sia portato in strutture intermedie che non dispongono delle tecnologie e delle competenze per curarlo da subito». Mettere delle basi ha sì un costo elevato, circa cinque milioni di euro secondo l’esperto, bisognerebbe dunque abbattere i costi facendo molti voli. Altrimenti, è solo uno spreco di denaro.

 

Sulla possibilità di dotarsi o meno del servizio di elisoccorso decidono le singole regioni. La normativa nazionale è nebulosa e non omogenea. Esiste il Decreto del 27 marzo 1992, che fornisce indicazioni sui requisiti organizzativi e funzionali della rete dell’emergenza, sottolineando come il trasporto sia «a carico del servizio sanitario nazionale solo se disposto dalla centrale operativa e comporta il ricovero del paziente»; le linee guida emanate dalla Conferenza stato-regioni, aggiornate nel 2021, e la normativa aeronautica specifica. A livello europeo esiste il regolamento comunitario Ue 965/2012, che «si applica agli operatori aerei che impiegano elicotteri adibiti al trasporto aereo di passeggeri per servizio medico di emergenza (Hems) e per attività di ricerca e soccorso (Sar) in montagna». A bordo, di solito, c’è un’equipe medico-sanitaria composta da un pilota, un verricellista del soccorso alpino, un medico anestesista rianimatore o di emergenza urgenza e un infermiere con capacità extraospedaliere. In notturna, quando cioè l’elicottero vola solo per il trasporto di pazienti tra ospedale e ospedale, i piloti sono due e non c’è la figura del tecnico alpino.

 

A livello pratico, commenta Marinangeli, «si creano differenze enormi tra regioni in termini di organizzazione e numeri. L’elisoccorso è solo la punta dell’iceberg del problema della regionalizzazione della sanità». In cui al caso efficiente della Lombardia si affiancano, per esempio, Umbria o Molise. Del tutto sprovviste del sistema di trasporto aereo per i pazienti o con accordi con le regioni limitrofe che, dice Marinangeli, comportano comunque differenze». Lo conferma anche Jula Papa, Segretaria regionale di Cittadinanzattiva Molise: «Ci sono delle strutture di elisoccorso, ma non vengono utilizzate. Il servizio non viene erogato perché manca personale specifico, è stato fatto un bando ma è andato deserto». La sua regione ha una convenzione con l’Abruzzo, ma il servizio è solo diurno e non notturno, dunque «se succede qualcosa di notte bisogna pregare che ti vada bene».

 

La sanità a singhiozzo non riguarda certo solo il soccorso in elicottero. «Nel reparto di pediatria è rimasto un solo medico. Manca la diabetologia pediatrica e se un bambino si sente male in pronto soccorso rischia di non trovare uno specialista. L’elisoccorso non serve solo per patologie tempo-dipendenti come infarti o ictus, ma anche per i pazienti più piccoli», dichiara Papa. Una situazione acuita dalla pandemia, come riporta il quotidiano locale Primonumero. All’ospedale Cardarelli di Campobasso, diventato hub Covid, non è stato mai attivato un reparto pediatrico per trattare i piccoli che contraggono il virus e non esiste una terapia intensiva pediatrica. Tra novembre 2021 e gennaio 2022 i trasferimenti pediatrici sono stati già quattro, di cui due al Federico II di Napoli e due all’ospedale Gemelli di Roma. Contattata dall’Espresso per avere delucidazioni, la dirigenza sanitaria dell’Asrem, Azienda sanitaria regionale del Molise, non ha ancora risposto.

 

La salute è un diritto e dovrebbe esserlo per tutti, a prescindere da dove si risiede. Per questo, dice Marinangeli, «il soccorso in elicottero va inserito nel quadro generale della riorganizzazione sanitaria. Si fa molto per la ristrutturazione degli ospedali, ma i pazienti devi farli arrivare vivi. E come si fa, senza un servizio di emergenza che funzioni?». E forse è questo il momento per ripensare il sistema, anche grazie ai fondi che saranno stanziati con il Pnrr. «Siamo una Regione poco attrattiva, in cui mancano tutti i servizi. I bandi di concorso vanno deserti e ci si pensa due volte prima di trasferirsi qui, dove siamo rimasti in pochissimi», conclude Papa. In pochissimi. A cui comunque, come si legge sul sito del governo relativo ai fondi europei, va assicurata «una garanzia piena, equa e uniforme del diritto alla salute». Altrimenti, aver salva la vita rimarrà solo una questione di fortuna.