Villa Mariya ha 10 camere, interamente occupate da persone scappate da Kiev. «Cosa me ne faccio del denaro in queste circostanze?»

In una guerra ognuno prova ad aiutare come può. Tra i numerosi esempi di umanità emersi durante il conflitto voluto da Vladimir Putin in Ucraina vale la pena raccontare la storia dell’italiano Ettore Nosenzo che negli ultimi giorni si è ritrovato le stanze del suo piccolo albergo sulle montagne dei Carpazi, a Kosmach nella regione ucraina di Ivano-Frankivsk, piene di 16 profughi. Si tratta di persone scappate da Kiev, che nella struttura del quasi 81enne originario di Nizza Monferrato hanno trovato riparo, cibo e conforto.

DAL PIEMONTE ALL’UCRAINA
Prima di raccontare gli ultimi avvenimenti va fatto però un doveroso passo indietro sul come un bancario piemontese in pensione si sia ritrovato nel sud dell’Ucraina, a circa 150 chilometri di strada dal confine con la Romania e circa 300 dalla frontiera con l’Ungheria. «Grazie a Mariya, donna cui devo la vita» spiega Ettore al telefono. Nel 2005 infatti Mariya, colf Ucraina di circa 20 anni più giovane di lui, si sta occupando delle pulizie nell’abitazione di Ettore quando un giorno nota che il suo datore di lavoro non ha un bell’aspetto. Nonostante lui cerchi di rassicurarla sulle proprie condizioni di salute, lei decide di chiamare l’ambulanza. A Ettore in ospedale viene diagnosticata una pancreatite acuta che lo costringe a un ricovero di tre settimane. «Quando uscii dall’ospedale il primario mi disse che sarei morto se fossi arrivato solo mezz’ora più tardi. Mi disse inoltre che per tutta la vita avrei dovuto ringraziare la persona che chiamò i soccorsi», racconta Nosenzo.


Cosa fare dunque per ringraziare Mariya? «Visti i nostri 20 anni di differenza, ho deciso ai sensi dell’articolo 291 del codice civile di adottarla,» spiega l’ex bancario. L’art. 291, che regola l’adozione di persone maggiorenni, recita infatti che l’adozione è consentita alle persone che non hanno discendenti legittimi o legittimati, che abbiano compiuto 35 anni e che superino di almeno 18 anni l’età di coloro che essi intendono adottare. «Il giudice del tribunale mi fece i complimenti per essere diventato bisnonno nel giro di un minuto, visto che allora Mariya già aveva diversi discendenti, che tra l’altro ora lavorano e studiano in Italia» prosegue il suo racconto Ettore, che nel 2010, dopo essere andato in pensione, decide di trasferirsi assieme alla sua figlia adottiva in Ucraina in un piccolo villaggio di 6000 anime, dove può coronare un suo sogno, quello cioè di tramutare la propria passione per la cucina in un’attività lavorativa ovvero un albergo con ristorante, pizzeria e gelateria. Inutile aggiungere come presso la sua struttura ricettiva dominino i sapori italiani.

PREOCCUPATO PER L’ELETTRICITÀ E PER IL CIBO
E proprio il suo albergo, che naturalmente si chiama Villa Mariya, si sta rivelando ora l’asset principale di Ettore nella lotta contro l’invasione russa. Le dieci camere sono infatti tutte occupate da 16 ospiti – bambini, anche piccolissimi, donne e due signori anziani – che nel giro di alcune ore sono diventati profughi e sono dovuti scappare da Kiev, dove invece gli uomini sono rimasti a lottare per difendere la città. «Sono tutte persone originarie di queste parti che vivono da molto tempo a Kiev. Immagino che i parenti abbiano detto loro di venire, perché qui avrebbero trovato accoglienza.» Ettore e la sua famiglia li ospitano a titolo gratuito. «Cosa me ne faccio del denaro in queste circostanze? Io voglio soltanto che questa gente viva. Speriamo solo che continuino a fornirci la corrente elettrica. Il riscaldamento non è un problema, perché abbiamo la legna, ma abbiamo bisogno dell’elettricità per la circolazione dell’acqua dei termosifoni. Di benzina invece praticamente non se ne trova. Speriamo inoltre di poter continuare a dare da mangiare a queste persone. Reperire cibo è sempre più difficile, ma ieri (domenica, 27 febbraio) siamo riusciti a comperare il pane. Abbiamo pure un po’ di scorte di farina e latte».

NON PENSAVA DI VIVERE UN’ALTRA GUERRA
Ettore Nosenzo, classe 1941, conserva solamente due ricordi della seconda guerra mondiale. «Mi ricordo di quando entrarono i tedeschi in casa nostra e misero il mitra sul tavolo. Mia madre mi prese per le orecchie e mi spedì immediatamente in camera al piano di sopra. Ricordo anche un giorno in cui i partigiani sparavano contro non so chi attraverso il cortile di casa nostra. Non avrei mai immaginato di dover rivivere un’altra guerra in vita mia» ci racconta. Come pensa che evolverà la situazione in Ucraina? «Non lo so, non riesco a capire. Putin è imprevedibile. Non capisco come possa mandare a morire dei ragazzi di 20 anni. Dovrebbe pensare al proprio popolo e a farlo stare meglio. La Russia è un paese in cui lo standard di vita potrebbe essere altissimo e invece non lo è».

PRONTI A LOTTARE
Vladimir Putin e l’esercito russo sono rimasti però sorpresi dalla reazione ucraina. «Anche qui da noi si sono riuniti i capifamiglia per organizzarsi nel caso ci raggiungano i russi. A Kosmach ci sono solo boschi, montagne e orsi. Di armi non ne ho viste, ma il contadino con il forcone sul proprio territorio può uccidere il soldato con il fucile. Dove abito io, la guerra non finì nel 1945, visto che i partigiani la combatterono contro i Russi fino al 1953. Solamente due mesi fa è stato inaugurato un monumento per ricordare una gloriosa battaglia in cui i partigiani annientarono i russi. Qui in questa zona non c’è offesa più grande di quella di dare a qualcuno del “Moskal” ovvero del Moscovita».

DISPOSTO A MORIRE
L’idea di ritornare in patria, nonostante la guerra, non ha neppure sfiorato Ettore Nosenzo. «Dall’Italia mi hanno contattato parecchi amici, offrendomi ospitalità nel caso volessi tornare. Non voglio però rientrare in Italia, anche se ho la possibilità di farlo. Qui ho trovato delle persone meravigliose. Un anno e mezzo fa ho avuto il Covid e tutti mi hanno aiutato. So di avere 81 anni e di non poter fare molto, ma voglio rimanere vicino e offrire il mio aiuto a chi mi vuole bene. Sono disposto a morire per questo Paese che mi ha dato tanto».