Secondo le stime, nell’anno in corso ci sarà un’impennata del 131 per cento nelle bollette dell’elettricità e del 94 per cento in quelle del riscaldamento. A farne le spese soprattutto le famiglie con redditi bassi

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Fermare il fiume di gas che proviene dalla Russia, con cui il Vecchio Continente riscalda le proprie case e da energia alle sue aziende, ha un costo. Salatissimo. Soprattutto per le famiglie a basso reddito e precarie.

 

Lo scorso anno l’Osservatorio sulla Povertà Energetica sosteneva che circa il nove per cento delle famiglie italiane doveva scegliere se mangiare e pagare l’affitto o riscaldarsi: oggi quella percentuale potrebbe raddoppiare. Perché se nel 2021 il prezzo del gas si aggirava attorno ai 21 dollari al megawattora, questa settimana il prezzo del metano alla Borsa di Amsterdam è salito a 154 euro e gli analisti prevedono che a breve sfonderà i 200 euro.

 

I rialzi erano iniziati ben prima che la Russia invadesse l’Ucraina. Dipendevano dalla rapida ripresa post pandemia: la domanda di beni e materie prime è aumentata così tanto da far lievitare i prezzi. Parallelamente il colosso di stato russo Gazprom, controllato dal Cremlino e primo produttore di gas al mondo, ha fatto arrivare nell’Unione Europea poco gas rispetto alla media del periodo. Ma è lo scoppio del conflitto e relative sanzioni ad aver fatto schizzare il prezzo del metano. La Commissione europea sta accelerando gli investimenti verso fonti rinnovabili e idrogeno per ridurre le forniture di gas naturale, che per oltre il 40 per cento provengono dalla Russia, così da diminuire la dipendenza da Putin, ma anche per rendere più sostenibile la spesa energetica.

 

I rincari, infatti, non sono destinati a svanire nell’arco di pochi mesi, come ha ribadito il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. E pur con i 16,5 miliardi di interventi straordinari appostati dal Governo per ridurre l’impatto delle bollette sui conti delle famiglie, l’Arera, autorità per la regolamentazione energia reti e ambiente, stima che nel primo trimestre di quest’anno ci sarà un aumento del 131 per cento nelle bollette della luce per il consumo domestico e del 94 per cento in quelle del gas rispetto allo stesso periodo del 2021.

 

Il problema è che questi rincari si stanno abbattendo soprattutto sulle famiglie più in difficoltà, su chi ha un reddito basso ed è precario. Secondo le elaborazioni realizzate per L’Espresso dagli economisti Michele Bavaro dell’Università Roma Tre, e Massimo Aprea dell’Università La Sapienza, utilizzando dati Inps ed Istat, con un tasso di inflazione del cinque per cento e a parità di reddito, il numero di famiglie in povertà assoluta - cioè coloro che non hanno sufficienti risorse per accedere a un paniere minimo di beni e servizi - potrebbe crescere del 19 per cento, passando dalle 6,4 famiglie italiane su cento del 2019 a 7,7 nuclei famigliari. E in termini di povertà lavorativa individuale «si passerebbe dal 25,4 per cento di lavoratori poveri al 29,2 per cento», spiega Bavaro, che continua: «Un’inflazione elevata, legata a shock esogeni, come quella a cui stiano assistendo, richiede una risposta in termini di adeguamento salariale per non mettere improvvisamente milioni di famiglie in condizioni di difficoltà economica. In più, servirebbe un mercato del lavoro più stabile per ridurre l’impatto dell’inflazione sui troppi lavoratori precari, con contratti a termine e saltuari, che non riusciranno a tenere il passo dei rincari».

 

L’Osservatorio Povertà Energetica ha calcolato che nel 2020 sono 8,8 su cento le famiglie colpite da povertà energetica, ovvero che si trovavano a dover scegliere se pagare la spesa e l’affitto, o il riscaldamento. Percentuale che sale al 16 per cento se si considera anche la difficoltà a raffrescare la propria abitazione nei mesi caldi. A causa dei rincari, questa preoccupazione tocca oggi otto famiglie su dieci: «Non è ancora possibile dire con certezza quante famiglie cadranno in povertà energetica, di certo il raddoppio dei costi peserà in modo significativo sulle famiglie a reddito medio basso», avverte Raffaele Miniaci, docente di economia Politica all’Università di Brescia e componente dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica, che continua: «In base alle nostre analisi il consumo di elettricità dovrebbe contrarsi del cinque per cento rispetto al 2018, mentre quello di gas scenderà del sette per cento».

 

A spegnere luci e caloriferi sono ovviamente le famiglie più povere «che avranno comunque rincari a doppia cifra». Il governo ha intenzione di aumentare l’estrazione domestica di gas, che tuttavia non sarà disponibile prima del 2023 e in quantità modiche, e sta cercando nuove fondi di approvvigionamento, forse da Cipro. Non si esclude la possibilità di rimettere in funzione le centrali a carbone, con evidente danno ambientale. Nel frattempo, l’assenza di politiche fiscali mirate a sostenere le famiglie più povere, sta favorendo un aumento delle disuguaglianze. «È molto probabile che i prezzi dell’energia resteranno altri per un lungo periodo, forse per sempre. Motivo in più per cominciare a lavorare a una transizione ecologica giusta, altrimenti si leverà un’ondata di malcontento da parte di chi, non riuscendo ad agganciare le agevolazioni fiscali per la riqualificazione edilizia e l’acquisto di auto meno impattanti, è costretto a sostenere costi esorbitanti per l’energia, scivolando sempre più verso la povertà», commenta Miniaci.

 

Dati alla mano, il centro di ricerca Cresme dice che solo il 30 per cento di chi percepisce un reddito fino a 30mila euro accede a sgravi fiscali per bonus edilizi, ma con agevolazioni che non superano i 500 euro. Mentre il 60 per cento di chi guadagna fra i 40 e gli 80 mila euro ha richiesto un bonus edilizio che offre agevolazioni annue di circa 900 euro. Addirittura, il 72 per cento di chi percepisce oltre 150mila euro l’anno ha avviato una ristrutturazione e gode di agevolazioni fiscali superiori ai 2.500 euro annui.

 

«È la dimostrazione che i bonus per ridurre l’impatto ambientale sono inaccessibili per chi ha problemi di reddito. È necessario disegnare strumenti finanziari adatti alla riqualifica delle abitazioni popolari, ma anche disegnate su misura di chi ha poche o nulle risorse da investire per la transizione energetica», spiega il professore. A Milano, ad esempio, l’assessore Casa e Piano Quartieri, Pierfrancesco Maran, ha realizzato un censimento sulle abitazioni popolari: «Teoricamente ci sarebbero interventi da fare per un valore di 500milioni di euro. Tuttavia, per come è strutturato il bonus 110 per cento e per i tempi stretti, riusciremo - nella migliore delle ipotesi - a realizzare opere per un valore di cento milioni», dice l’assessore, che conferma come nel capoluogo lombardo i bonus edilizi stanno funzionando in contesti urbani semi centrali e residenziali, mentre le agevolazioni non vengono intercettate dai residenti di condomini popolari privati e pubblici.

 

«Così si genera ulteriore disuguaglianza. È assurdo, si crea valore per il privato con risorse pubbliche, mentre non si sostengono i comuni e il bene pubblico. Basti pensare che oggi il 40 per cento delle bollette energetiche dei residenti nelle case popolari è a carico dell’amministrazione pubblica perché le famiglie non sono in grado di pagarle. Un efficientamento energetico delle loro abitazioni consentirebbe ai comuni di ridurre la spesa per il riscaldamento di quelle case», dice Maran, che auspica almeno un prolungamento fino al 2026 per il bonus 110 per cento destinato all’edilizia pubblica.

 

Sulla stessa linea Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, invita il Governo ad accelerare sulle comunità energetiche, cioè la possibilità di mettere assieme produttori e consumatori di energia rinnovabile, cittadini, enti locali, piccole aziende e cooperative che possono associarsi e condividere l’energia prodotta da impianti fotovoltaici. O in alternativa utilizzarla direttamente in autoconsumo o cederla alla rete.

 

Le comunità energetiche sono previste da una direttiva europea e possono accedere a incentivi da parte del Gse, il gestore dei servizi energetici che per lo Stato ha assegnato il compito di promuovere le rinnovabili. Esistono una quindicina di esperienze di questo tipo in Italia, e fra le più positive c’è quella di San Giovanni a Teduccio, periferia orientale di Napoli, dove Legambiente, con il sostegno della Fondazione con il Sud, ha realizzato un impianto solare sul tetto di una fondazione che si occupa di bambini in difficoltà, la cui energia pulita è distribuita a costo zero a una quarantina di famiglie in povertà energetica: «Rimarrà un caso isolato se il governo non avvia una strategia per coinvolgere le famiglie più povere e i quartieri dove più si soffre la crisi», dice Zanchini, che continua: «Le comunità energetiche in teoria godono di incentivi pubblici e il Pnrr prevede un fondo di garanzia da 2,2 miliardi per i prestiti ai comuni fino a cinquemila abitanti proprio per dare vita a nuove comunità energetiche. Ma l’assenza di una cabina di regia non favorisce l’uso di questo strumento nei quartieri più poveri. Il rischio è che proprio nelle periferie più difficili le comunità non si possano realizzare perché le banche non prestano i soldi necessari a partire, mentre in condomini di quartieri ricchi partano, aumentando ulteriormente la disuguaglianza. Sarebbe davvero un grosso sbaglio, perché le comunità energetiche sono una straordinaria opportunità per aggredire la povertà energetica e affrontare in modo concreto la situazione di emergenza che stiamo vivendo».