Giovedì 12 c’è la finale di uno dei giochi più amati dai telespettatori. Che quest’anno è anche un’immersione sorprendente nel mondo arabo. Come racconta il conduttore. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale islamica

“Shikran!” “Shakran!” “Shukran!” Alla fine ce la fanno ad azzeccare la vocale giusta per dire “grazie” i concorrenti di Pechino Express, la gara che da oltre dieci anni porta coppie di sfidanti in giro per il mondo in una sorta di “Giochi senza frontiere” itinerante. Quest’anno la kermesse si è concentrata sulla “Rotta dei Sultani”: ed è andata, come spiega l’introduzione di ogni puntata, sui Paesi che soprattutto hanno custodito la fiaccola della cultura durante il Medioevo occidentale.

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Quattro i Paesi islamici scelti: Turchia e Uzbekistan, Giordania ed Emirati. Paesi la cui situazione era favorevole ad accogliere una caotica carovana di concorrenti che ogni giorno cercano passaggi per centinaia di chilometri e ogni sera, senza soldi e senza cellulare, devono trovare qualcuno che li ospiti per la notte. E nel frattempo, puntata dopo puntata il telespettatore scopre paesaggi meravigliosi e le tracce affascinanti non solo della civiltà islamica ma di quelle che l’hanno preceduta: greci e romani, ittiti e mongoli, e poi persiani, beduini, nabatei… Giovedì prossimo, il 12 maggio, andrà in onda la puntata finale. Quest’anno la kermesse, prodotta da Banijay Italia da un format belga-olandese, è passata dalla Rai a Sky (ed è disponibile in streaming su Now). Ma alla conduzione è rimasto Costantino della Gherardesca, che qui racconta i retroscena dell’operazione.

Perché Pechino Express dopo aver girato il mondo intero quest’anno è andato proprio nei paesi arabi?
«È stata una scelta della produzione e della rete Sky, e non c’è stata nessuna opposizione da parte mia perché tutti i paesi che abbiamo attraversato, tranne l’Uzbekistan, sono paesi che già conoscevo e che amo molto. Abbiamo viaggiato in nazioni che in questo momento storico stanno passando un periodo politicamente favorevole - molti paesi del Medio Oriente sono in un momento difficile - e siccome era una zona che ancora non avevamo attraversato abbiamo colto la palla al balzo. La mia passione personale per la cultura araba islamica e persiana è una cotta che approfondisco da anni nei programmi che faccio e negli articoli che scrivo. Sono contro l’islamofobia anche perché penso che faccia parte di una più grande mentalità bigotta italiana, di chiusura verso quello che è diverso dal mainstream, da quello che fanno tutti e che pensano tutti.

«Una decina d'anni fa, in un momento di particolare fervore contro i musulmani, ho organizzato alla radio una “settimana contro l'islamofobia”, e all'epoca fu una cosa relativamente controversa. Era lo stesso periodo in cui io appoggiai fortemente la mia amica Sumaya Abdel Qader che divenne consigliere del Comune di Milano: è una donna musulmana e porta il velo, e la sua vittoria è stato un momento molto emozionante. In quell’occasione ho imparato che il pregiudizio contro i musulmani è molto superficiale: le indagini di mercato avevano mostrato che un uomo musulmano sarebbe stato votato facilmente mentre una donna no, sarebbe stata molto discriminata solo per via del velo. Ma noi ce la mettemmo tutta e siamo riusciti a portarla alla vittoria malgrado i pregiudizi».

Nelle immagini di Pechino Express si fa un viaggio nel tempo – in Uzbekistan alcune cose sono probabilmente come erano nel medioevo, Dubai sembra una città di fantascienza – e nelle disuguaglianze sociali. Com’è stato lavorare tra questi contrasti?
«Mi ha colpito molto una cosa che è successa in Giordania. In un giorno di riposo sono andato sul Mar Morto, che non avevo mai visto in vita mia. È stato uno spettacolo straordinario ma mi sono reso conto che parte del successo che sta vivendo la Giordania è purtroppo dovuto alla crisi che sta attraversando il Libano in questo momento. Basta pensare allo studio della lingua. Tempo fa, quando volevo studiare arabo, i Paesi più adatti erano Libano, Giordania ed Emirati. Ma gli Emirati costano troppo, e il Libano dopo l'esplosione dell’agosto di due anni fa è cambiato radicalmente, non è più un posto stabile; quindi la Giordania è piena di scuole e di studenti stranieri. Il confronto tra ricchezza e povertà lo si può vedere anche in Lombardia. Ma noi tendiamo spesso a generalizzare in un modo involontariamente razzista. Chiamare “africano” un keniano è sbagliato: io che sono della provincia di Livorno mi offendo se mi dicono che sono di Pisa. Invece anche i miei colleghi tendono a generalizzare in modo superficiale e offensivo».

La “Rotta dei sultani” in effetti fa vedere ai telespettatori che gli “arabi” non sono tutti uguali, che il mondo arabo è pieno di differenze.
«Sì, tutti i paesi arabi o musulmani sono radicalmente diversi tra di loro, sotto tutti gli aspetti. Per esempio a Pechino Express, che è un programma in cui cerchiamo di far vedere parti del mondo radicalmente diverse, una volta, anni fa, abbiamo fatto dormire in una casa di musulmani molto osservanti una persona transessuale, senza sottolineare che lo fosse. Certo, come abbiamo spiegato in conferenza stampa, prima che le coppie di concorrenti entrino effettivamente a dormire nelle case c’è sempre un controllo di sicurezza da parte dell’organizzazione. Ma non c’è stato nessun problema, lei ne è uscita entusiasta. Perché una cosa che ho notato è che anche l'omosessualità è stata usata per creare attrito e discriminazione verso la cultura musulmana».

Da quello che si vede nelle puntate ci sono stati pochissimi problemi per le donne. Giravano senza velo, con vestiti scollati e aderenti: ci si sarebbero aspettati più pregiudizi contro di loro…
«Le persone che si aspettino che le donne abbiano grossi problemi in Giordania o negli Emirati sono davvero ignoranti… Paesi come la Giordania hanno un immenso rispetto. Ma in realtà nella cronaca recente abbiamo visto che le situazioni spaventose per le donne nel mondo islamico si sono create in nazioni in cui lo stato era fallito, come l’Afghanistan, dove hanno preso il potere gruppi estremisti».

Questa stagione lascia nello spettatore il ricordo dei danzatori sufi, o della tribù emiratina che si esprime attraverso urli ritmati. O ancora il padre uzbeko poverissimo ma pieno di affetto verso i suoi sei bambini che ha commosso fino alle lacrime la grintosa Helena Prestes. Quali sono i ricordi più belli che lei porterà con sé da questa edizione di Pechino Express?
«Voi vedete in video quello che succede ai concorrenti ed è meraviglioso, ma io ricordo bene quello che è successo a me. Il posto dove sono stato accolto meglio di questa rotta è stato la Giordania, un’esperienza indimenticabile. Ho rivisto volentieri la Turchia, anche se l’ho trovata tristemente cambiata, decisamente peggiorata per l’amministrazione degli ultimi anni. Io sono una persona un po’ contorta quindi riesco ad amare anche gli Emirati arabi, anche se le prime volte che sono stato a Dubai ho avuto degli attacchi d'ansia davanti all’architettura: queste specie di cattedrali del capitalismo costruite nel deserto, una sorta di violenza estetica, ma anche il fatto che lì negli asili i bambini giocano a fare gli imprenditori… Anche io insomma avevo i miei pregiudizi, che sono radicalmente diversi dai pregiudizi che hanno le persone normalmente verso il mondo arabo. Però a forza di ritornarci per questo o per quel programma televisivo li ho superati. E ho finito per amare anche questo strano posto di frontiera dove nello stesso ristorante puoi vedere Tony Blair a un tavolo, e in un altro tavolo un pericoloso latitante che ha trovato rifugio lì. È un luogo che ha una sua estetica nuova, sicuramente molto dissonante per la maggior parte delle “persone colte” ma interessante. E comunque è importante riuscire a trovare il bello dovunque si va: anche a Dubai».

 

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