«La mia generazione ha smesso di avere quell’idea romantica del mafioso e l’ha sostituito con la realtà fatta di gentaglia senza onore. Una montagna di merda, come li aveva chiamati Peppino Impastato». L’intervento del cantautore

Il 23 maggio 1992 era di sabato, mi trovavo al matrimonio di Claudio Cecchetto e Mapi Danna, a Riccione, una bellissima giornata, era appena uscito il mio album che aveva dentro “Ragazzo Fortunato” e stava andando fortissimo.

 

Dopo un paio di stagioni così così ero tornato in testa alle classifiche e le radio passavano tantissimo le mie canzoni.

 

Ero carico, sorridevo alla vita e lei mi ricambiava. Qualcuno mi avvicinò in quella situazione di folla e sorrisi per dirmi «hanno ucciso Falcone» e non capii. Soprattutto non capii perché mi stesse dicendo questa cosa e perché proprio a me. Non erano tempi di flussi di notizie ininterrotti, era ancora il mondo di prima e per fare mente locale sulla frase che avevo appena sentito ci misi qualche minuto. Poi fu tutto chiaro. Il matrimonio andò avanti e fu una bella festa e alla notte andai anche in giro per i locali che a quel tempo erano come le sette chiese di Roma per noi pellegrini notturni.

 

Poi all’alba comprai un paio di giornali appena arrivati e tornai nell’appartamento che avevo affittato a Gemmano, sulle colline romagnole, per quei mesi come base per l’estate “on the road” che mi aspettava. Accesi la tv e invece di andare a dormire restai li a leggere e a sentire le notizie, a guardare quelle immagini dell’autostrada che poi abbiamo rivisto un milione di volte fino a diventare antiche, mitologiche. A metà mattina volli fare un giro per il paese, al bar, incontrare qualcuno, non volevo stare da solo davanti ai tg che ripetevano le stesse cose, quelle poche che si sapevano. C’era uno sgomento in giro, che mi rimandava a tanto tempo prima quando vivevo a Roma e qualcuno entrò in classe alle medie per dirci che avevano rapito Moro e ucciso la sua scorta, e anche allora che ero un altro bambino di un’altra età, dovetti tornare a casa per farmi spiegare chi era di preciso questo Moro (i nomi per me sono sempre la molla di un racconto).

 

L’atmosfera era simile, solo che Moro era ancora vivo, mentre Falcone no, perché non sarebbe servito rapirlo, andava eliminato, evidentemente, e in modo spettacolare. Le atmosfere intorno alle grandi notizie sono importanti. Per esempio i giorni successivi ad una bella notizia, che ne so, l’Italia che vince i mondiali, sono chiari e profumati di qualcosa di leggero, mentre al contrario quando viene colpito un popolo attraverso un attentato che uccide i suoi rappresentati l’aria diventa di piombo e se ne accorgono tutti. Poi le cose tornano al loro corso ma non sempre e non nello stesso modo.

 

L’attentato di Capaci ha svegliato una generazione, di cui faccio parte, di questo ne sono sicuro, e sebbene quando dico generazione stia generalizzando, cosa che non amo mai fare, in questo caso è così. Di sicuro qualcuno se n’è fregato, ha minimizzato, rimosso, addirittura giustificato, ma solo qualcuno, i soliti. Quasi tutti gli altri hanno smesso di avere quell’idea vagamente romantica del mafioso uomo d’onore e lo hanno sostituito con la realtà, fatta di gentaglia cattiva e senza onore, esistenze tristi, senza nessun fascino. Una montagna di merda, come anni prima li aveva chiamati Peppino Impastato, inascoltato da chi avrebbe dovuto e potuto.

 

Non saranno le serie tv così ben confezionate che anche io guardo divertito a cambiare l’odore di quella montagna di merda. La mafia è sempre un sistema mostruoso, che uccide l’impresa nel suo senso più umano e classico, quella degli esseri umani che si mettono in cammino per costruire la propria avventura nel mondo, piccola o grande che sia, individuale o collettiva, liberi e senza dover piegare la testa di fronte ai prepotenti di turno, in qualsiasi forma questi si manifestino. Chi per lavoro protegge questa nostra possibilità, questo diritto, va protetto difeso e ringraziato.

 

Falcone era come il suo nome, lo hanno ucciso, ma non hanno ucciso la possibilità che altri si alzino in volo. Sono passati 30 anni e io non ho dimenticato.

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