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Inchieste
giugno, 2022

Il grande boom degli esports tra affari, vecchie volpi e pericolo scommesse

Il fenomeno dei videogame sportivi investe anche l’Italia con 1,6 milioni di appassionati. Il Coni di Malagò si rassegna e si muove. Braida, Florenzi, De Rossi e altri ci investono. La Lega serie A e le istituzioni minori provano a ritrovare così i giovani tifosi. La multinazionale Sportradar però avverte: «Il pericolo di combine è molto alto»

Il ragazzo si farà. Anche se ha il pollice stretto.

I campioni dei videogiochi sportivi hanno mani capaci di formidabili gesti atletici pur restando seduti. Ci si deve abituare. Gli sport virtuali barra elettronici - in inglese «esports» - sono in competizione con gli sport reali. Come integrare l’uno con l’altro. Come coinvolgere la mente con il corpo. Come conciliare la tendenza solipsistica e l’istinto di comunità. In Italia se ne discute da anni fra pregiudizi e ignoranze in pensosi seminari di referenziati parrucconi. Adesso si è passati alla pratica perché ci si è accorti che con i videogiochi sportivi si fa una cosa che bene o male in tanti sanno fare o aspirano a fare: i soldi. Addirittura il Comitato olimpico internazionale (Cio) si adopera per dimostrare con esattezza scientifica l’equivalenza fra sport virtuale e sport effettivo. Un teorema di Talete.

 

Il mercato mondiale dei videogiochi con temi sportivi - quindi non di avventure o combattimenti, bensì di calcio, tennis, nuoto, atletica, basket, pallavolo eccetera - ha superato il miliardo di euro nel 2021 e cresce col piglio di un’economia fiorente. Ovunque in doppia cifra trascinati dall’Asia. In Italia si fatturano circa 50 milioni di euro e gli appassionati sono 1,6 milioni di ragazzi dai 15 ai 34 anni, categoria di consumatori molto ambita perché spende o induce a spendere. Qui siamo pronti alla rivoluzione digitale con la solita compagnia di riciclati, avventori, speculatori. E ovviamente la politica. Col dubbio che poi si finisca per truccare anche le partite ai videogiochi per arricchirsi con le scommesse: «È un pericolo concreto. Un effetto scontato. In Europa si disputano metà delle partite combinate», ammette Marcello Presilla, capo in Italia di Sportradar, multinazionale basata in Svizzera che per le più grandi organizzazioni monitora gli eventi quotati dagli allibratori.

 

In Italia i videogiochi sportivi li ha sdoganati il Coni di Giovanni Malagò con un protocollo d’intesa sottoscritto a gennaio con il “Comitato promotore per gli sport elettronici”, una struttura senza struttura, plasmata dal medesimo Coni di Giovanni Malagò. Il Comitato olimpico italiano era parecchio diffidente, sprezzante, nei confronti dei videogiochi. Però lo stesso Cio di Thomas Bach si finge interessato per non ricacciare lontano milioni di ragazzi. È una maniera per sopravvivere. Far credere di governare fenomeni che né si governano né si conoscono. «Giovanni mi chiamò per consegnarmi un problema e io accettai senza esitare un momento. È il mio stile di vita», racconta Michele Barbone, il presidente del “Comitato per gli sport elettronici”. Il classe ’47 Barbone, pugliese di Bari, ha un curriculum molto fitto. Gli esordi di cronometrista nel ’68, assessore al comune di Bari, presidente del Coni provinciale, più mandati in giunta nel Coni nazionale, vicepresidente della Federazione pesistica, presidente della Federazione danza, console onorario di San Marino in Montenegro.

 

«Non ho mai provato una gara ai videogiochi, però me ne occupo ogni giorno. Per i ragazzi è uno sport. E il nostro compito è far rispettare lo spirito olimpico e mettere insieme i soggetti più sensibili». Così Barbone ha dapprima fondato la Federesport e poi un più generico Comitato assieme all’amico e quasi coetaneo, è un po’ più giovane, Maurizio Miazga, produttore con Expo Tv e Magnum Tv e curatore di campagne promozionali per le fiere di Bologna, Roma e Bari nonché per Bari Moda Sposa. Barbone e Miazga si sono inoltrati nei territori impervi dei videogiochi sportivi col supporto istituzionale di Malagò. Cammin facendo hanno arruolato l’avvocato Gianfranco Ravà (federazione cronometristi) e il polivalente Daniele Di Lorenzo, imprenditore televisivo, protagonista di letterature gossippare, figlio di Pietro, proprietario dell’istituto di ricerca Irmb che ha contribuito al vaccino di Astrazeneca. E infine il Coni ha prestato due celebrità alla causa di Barbone: l’ex velista Alessandra Sensini e l’ex lunghista Fiona May. Barbone presidente, vice Ravà e Di Lorenzo, Miazga segretario generale.

 

Con questa formazione il “Comitato promotore” ha ottenuto l’accordo di gennaio col Coni che li riconosce e li definisce unico interlocutore per lo sviluppo dei videogiochi sportivi. Ciascuna federazione appartenente al Coni (e finanziata con denaro pubblico) può rivolgersi al Comitato promotore di Barbone per i suoi progetti: «Il nostro obiettivo è diventare una federazione di servizi, come quella dei cronometristi e dei medici». E poi accedere ai fondi statali. Il governo è scettico. Valentina Vezzali, sottosegretaria allo Sport in orbita leghista, è concentrata sugli sport di base. Quelli che implicano un movimento dei muscoli oltre le mani. Fabiana Dadone, ministra Cinque Stelle per le politiche giovanili, è invece più disponibile. Assecondare la voglia di videogiochi sportivi è per il Coni di Malagò un modo per riconquistare spazi dopo che la riforma del governo Conte I li ha compressi. Barbone è in mezzo. Auguri.

 

In Italia i videogiochi sportivi più diffusi sono di calcio. Versione Pes (giapponese) e Fifa (americano). Ci si sfida uno contro uno o persino in ventidue (per esempio nei tornei della Lega nazionale dilettanti). Le partite durano dieci al massimo venti minuti. Per i ragazzi che non frequentano gli stadi, tra l’altro chiusi per un anno con la pandemia, le partite virtuali sono più spettacolari e meno impegnative delle partite reali. Le federazioni calcistiche sperano (oppure si illudono) che i ragazzi possano avvicinarsi al calcio reale attraverso il calcio virtuale. La Figc ha indetto una massiccia selezione. E fra migliaia di ragazzi ha estratto i giocatori per la nazionale di Fifa e la nazionale di Pes, che si allenano al centro sportivo di Coverciano dove alloggia anche la squadra di Roberto Mancini.

 

Virtuale e realtà si intrecciano: in bacheca c’è già la vittoria degli Europei di Pes 2020. Pure la Lega Calcio e le categorie inferiori promuovono campionati. Il più prestigioso, quello di serie A, è allestito da Infront. Le partite sono ufficiali e dunque si scommette. Per davvero.

 

La Lega Dilettanti è in fase sperimentale. Ha mobilitato migliaia di ragazzi per mettere su la serie D, la Coppa Italia, l’Eccellenza e un girone femminile. Il responsabile è Santino Lo Presti, un dirigente siciliano: «Non possiamo sottovalutare il calcio virtuale mentre il calcio reale è in discesa. Io non saprei accendere una consolle, ma studiando ho capito perché i ragazzi riversano sul digitale emozioni sincere. Ho capito perché sudano e saltellano mentre dribblano con le dita». Però i giocatori devono allenarsi. La tecnica e la tecnologia vanno aggiornate. Allora si formano società – come club – che arruolano e addestrano i più forti. È un investimento che piace molto agli ex calciatori professionisti.

 

Ci provano Bernardo Corradi e Bobo Vieri. Ci ha provato Francesco Totti. Carlo Cancellieri (ex assistente di Roberto Mancini) e Ariedo Braida, ex dirigente del Milan di Silvio Berlusconi, non ci rinunciano. Daniele De Rossi e Alessandro Florenzi sono i principali azionisti di Mkers, azienda amministrata da Thomas De Gasperi, cantante degli Zero assoluto. Oltre all’ex laziale Marco Parolo, in Mkers ci sono due tesserati del Sassuolo: Federico Peluso e Vlad Chiriches. La scuola calcio Romuela di Roma, fra le più antiche e rinomate d’Italia (qui fu svezzato Totti), ha aperto una sala per i videogiochi con l’obbligo di alternare pallone virtuale e pallone reale. Il progetto è di Tec (Mces), società gestita da Pierfrancesco Iazeolla che fa capo a un gruppo francese di Marsiglia, cooptato dal Qatar per espandere gli «esports» nel paese che ospiterà i prossimi Mondiali. Come in Italia è successo con diverse federazioni, per esempio il rugby. In Tec (Mces) c’è l’ex calciatore romeno Cristian Chivu.

 

L’ente di promozione sportiva Opes, affiliato al Coni e legato a Fratelli d’Italia, ha scelto Iazeolla per cimentarsi nei videogiochi. Il presidente di Opes è Matteo Perissa, ex capo dei giovani di Fdi e consigliere del Coni.

 

Gran fermento. Un po’ di capitali. E speranze concrete di profitto. Il mercato dei videogiochi sportivi è in evoluzione, ancora pasticciato, dai confini indefiniti. Per saggiare il futuro bisogna guardare a chi sta alla pagina successiva. Agli Stati Uniti. Alla Corea del Sud. A Giappone e Polonia. Presilla di Sportradar ne ha un’idea: «In Italia i videogiochi si devono affermare completamente. Per il nostro lavoro, per chi vigilia sulla regolarità delle scommesse, sono un argomento complesso. Il coefficiente di rischio è molto elevato, soprattutto se i giocatori che si sfidano non sono uno di fronte all’altro, se non si forma una classe arbitrale, se non si instilla una coscienza sportiva».

 

Tra il 2020 e il 2021 gli analisti di Sportradar, che in Italia supporta la Lega Serie A, hanno segnalato nel mondo 101 partite sospette (truccate), di cui la metà si sono tenute in Europa. I giocatori ricevono ingaggi modesti, si preparano in solitudine, ma in un anno si scommettono più di 10 miliardi di euro sugli «esports». Quelli sì che sono reali. E non sempre belli.

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