C’era una volta il governo balneare. C’è ancora ma un po’ diverso. Nella Prima Repubblica serviva a sfangare la crisi di governo estiva. Oggi è un esecutivo trasversale che mira a tutelare gli interessi dei gestori di stabilimenti marittimi, presi di mira dall’arcaica e mai applicata direttiva Bolkestein sulla concorrenza (numero 123 del 2006) e in tempi più recenti dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato che il 9 novembre 2021 ha cancellato l’ennesima proroga fino al 2033 votata nel 2018 dall’esecutivo gialloverde.
Con questo ariete inserito nel ddl Concorrenza Mario Draghi ha riportato alla fine del 2023 la scadenza delle concessioni demaniali. Era questa la condizione indispensabile per accedere ai fondi del Pnrr. Potrebbe essere una vittoria di breve durata anche se l’articolo 49 del codice della navigazione parla chiaro: alla fine della concessione tutto quello che il concessionario non può portare con sé viene acquisito nel patrimonio dello Stato. Per gli imprenditori delle spiagge è una mareggiata.
Il partito balneare ha tempo fino alla fine del 2022 per fare pressione sui decreti attuativi del decreto Concorrenza e tutelare gli investimenti fatti dai concessionari in carica. Ancora una volta potrebbe mostrarsi veritiero l’adagio orribile che recita: fatta la legge trovato l’inganno.
In primo luogo le gare sono in mano ai Comuni, cioè le stesse amministrazioni che in molte zone d’Italia sono dominate dagli interessi di ombrellone e lettino. L’Anac si era offerta di stendere i capitolati di concessione ma la risposta è stata: no, grazie. Inoltre, se gli enti locali non riusciranno a mettere le concessioni a gara per un valido motivo, e un valido motivo in burocrazia si trova sempre, ci sarà una proroga automatica fino alla fine del 2024, nella prossima legislatura che potrebbe essere dominata da FdI, una delle forze più schierate a favore dello status quo.
Infine c’è la questione indennizzi e prelazioni. Il ministro del Turismo Massimo Garavaglia si è impegnato a tutelare le gestioni a conduzione familiare, pari ai tre quarti del totale. Non è ancora chiaro come. Si parla di risarcire i vecchi proprietari con una sorta di avviamento da parte dei subentranti, purché gli uscenti abbiamo avuto il lido come attività prevalente per almeno cinque anni. Resterebbero esclusi soltanto pochi colossi del settore come i gruppi Forte e Marcegaglia o il Billionaire lifestyle di Flavio Briatore, l’uomo che non riesce a trovare camerieri. Come parametro si pensa ai ricavi del 2019. Ma è una soluzione che piace poco agli stessi balneari, non proprio i più fedeli nelle dichiarazioni dei redditi.
Di certo l’Ue arcinemica dei balneari non accetterà gare che favoriscano alcuni concorrenti contro altri. Piuttosto riavvierà la procedura di infrazione verso l’Italia avviata con la messa in mora del 3 dicembre 2020.
Non basta. Regioni come l’Emilia-Romagna guidata da Stefano Bonaccini hanno soltanto il 9 per cento della costa adibita a spiaggia libera e devono portare la quota al 20 per cento. Molti dei 135 chilometri di litorale non potranno essere messi a gara.
Così c’è chi ha deciso di giocare in anticipo. Il leghista Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia-Giulia, e il suo assessore Sebastiano Callari hanno semplicemente ignorato Draghi e il Consiglio di Stato. Una settimana dopo l’approvazione del ddl in Senato la giunta della Regione autonoma ha comunicato che 111 delle sue 158 concessioni sono già passate per una gara, quindi scadranno nel 2033.
Se la Lega ha qualche remora di governo, FdI all’opposizione è il sostenitore ufficiale delle ragioni dei balneari contro la direttiva Bolkestein. Ma l’imprenditoria della spiaggia ha appoggi ad angolo giro. Non ci sono soltanto i simpatizzanti vip come, nel tempo, si sono dimostrati Maurizio Gasparri, Matteo Renzi, Matteo Salvini, Francesco Boccia, la viareggina Deborah Bergamini, sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, Francesco Lollobrigida, capogruppo di FdI a Montecitorio, cognato di Giorgia Meloni e imprenditore turistico. Da premier lo stesso Giuseppe Conte è stato autore di due provvedimenti molto discussi. Il primo ha prorogato le concessioni fino al 2033 (legge 145 del 2018) sulla spinta dell’alleato leghista. Il secondo è il decreto emergenziale dell’estate 2020, con i colori dell’alleanza giallorosa. La norma ha azzerato i valori Omi, ossia i parametri immobiliari dell’agenzia delle Entrate che incidevano sugli impianti non rimovibili degli stabilimenti. In quello stesso provvedimento, per compensare, è stato aumentato il canone minimo da 360 a 2.500 euro. Ma senza grandi risultati per le casse pubbliche. Lo dimostrano i dati raccolti da L’Espresso, che ha potuto avere accesso al Sid (sistema informativo del demanio marittimo).
Il canone richiesto 2019, inclusivo di attività diverse dagli stabilimenti come il diporto, la cantieristica, la pesca e l’acquacoltura, è di 107 milioni totali di cui 84 riscossi. Nel 2020 la somma complessiva è scesa a 103 milioni. Nel 2021 ci si attendeva una crescita molto significativa grazie al canone minimo a 2.500 euro. Ma il richiesto totale è stato di 116 milioni di euro con un modesto +12,6 per cento sull’anno precedente e un ancora più deludente +8,4 sul 2019. In più, anzi in meno, c’è da considerare l’evasione. La somma incassata è stata di 87 milioni di euro, appena tre in più del 2019. Se si escludono cantieri e pesca, per il solo settore turistico e ristorazione il demanio marittimo ha chiesto 84 milioni di euro nel 2021. In media le 21 mila concessioni per scopo turistico gestite dai Comuni hanno quindi un canone di 4.000 euro. Questo, sulla carta.
In realtà il demanio ha ricevuto appena 65 milioni nel 2021 da lidi, bagni e chioschi, una cifra coerente con un’evasione che negli anni oscilla fra il 25 e il 35 per cento. Sul versante dei consumatori gli aumenti sono altrettanto costanti. Un report sui prezzi del 2022 di Altroconsumo parla di caro spiaggia in salita fra il 4 e il 13 per cento.
Naturalmente l’evasione più consistente non riguarda tanto il canone quanto i fatturati che Nomisma anni fa stimava oltre i 15 miliardi di euro. Secondo un rapporto dell’agenzia dell’Entrate sintetizzato da La Stampa, su 5.709 gestori di lidi il 61,4 per cento non rispetta l’Isa, l’indice sintetico di affidabilità che ha rimpiazzato gli studi di settore, con un profitto netto medio di 14.200 euro l’anno.
Nonostante i guadagni sfiorino la soglia di povertà, i concessionari si battono strenuamente sul bagnasciuga e difendono una sorta di diritto all’ereditarietà, confermato dalla storia di molte imprese che vanno indietro di molte generazioni.
Per la loro battaglia i gestori di stabilimenti preferiscono affidarsi alle forze interne e molti di loro fanno tutta la trafila dall’elezione in consiglio comunale fino al seggio a Montecitorio o a palazzo Madama. In questa legislatura, lavorano per la categoria Massimo Mallegni di Forza Italia, Elena Raffaelli della Lega, Riccardo Zucconi di Fdi, Umberto Buratti per il Pd.
Mallegni, nato a Pietrasanta, è imprenditore balneare da due generazione. Eletto sindaco della cittadina della Versilia per tre volte (2000, 2005 e 2015), oggi è vicecapogruppo berlusconiano in Senato. Nemico acerrimo del reddito di cittadinanza che definisce «un’elemosina per giovani poltronari», sul ddl Concorrenza del 31 maggio ha commentato a freddo: «Se vinciamo le prossime elezioni, cambieremo norma». Poi ha prevalso la logica della coesione governativa.
Mallegni e la moglie Paola Marucci controllano attraverso la loro Meg il Mondial resort, unico quattro stelle lusso di Marina di Pietrasanta, insieme al bagno Felice che paga 10.887,95 euro di canone annuale al demanio per 7 mila metri quadrati di superficie scoperta, 720 di manufatti e 165 di piscina. Mondial resort ha un ricavo massimo di 1,56 milioni di euro nel 2017, sceso a 900 mila euro nel 2020, quando il bilancio si è chiuso in utile per meno di 3 mila euro contro una perdita di 16 mila euro nel 2019 non Covid-19.
La deputata leghista Elena Raffaelli, già assessore alle attività economiche del comune di Riccione, è socia in due accomandite a Rimini, i bagni Carlo 87 e Vittorio 88. Nel primo, ottenuto per via ereditaria, il canone annuale è di 8.378,98 euro per una superficie scoperta di 6.134 metri quadrati con circa 400 di manufatti vari.
Ancora in Versilia c’è un altro imprenditore balneare che ha fatto strada in politica. È Riccardo Zucconi, 65 anni, tra i fondatori di FdI nel 2012, in Parlamento dal 2018. Nella zona fra Camaiore e Viareggio, Zucconi ha gestito diverse attività turistiche. Tra queste l’hotel La Pace. Il lido La Pace occupa un’area di 2.300 metri quadri con 470 di manufatti, piscina e 3.952 euro di canone ma è gestito da Alessandro Meciani, assessore al Turismo nella giunta di centrosinistra viareggina, che vanta una tradizione familiare nel settore vecchia di un secolo. La Versilia balneare è anche nella storia della famiglia Buratti-Murzi con il capostipite Pietro Buratti e la moglie Liliana Murzi, scomparsa da poco.
Umberto Buratti, deputato in carica per il Pd, è stato sindaco dal 2007 al 2017. Il 12 giugno suo cugino Bruno Murzi ha conquistato un secondo mandato con la civica Noi del Forte proprio contro l’onorevole parente. Il gioiello di famiglia è il bagno Impero al Forte, guidato da Antonella Buratti ed esteso su 4.300 metri quadrati per un canone di 6.755 euro all’anno.
Di fronte al maremoto del ddl Concorrenza il governo balneare è pronto a sfidare il contenzioso. Il danno erariale incombe su molte amministrazioni e le prime cause sono già partite. La procura della Repubblica di Genova ha sequestrato i bagni Liggia a Sturla, li ha restituiti al Comune per violazione della Bolkestein e ha scritto alle altre procure di verificare entro sei mesi se le concessioni demaniali siano state assegnate con una procedura di evidenza pubblica. Per i lidi potrebbe essere l’ultima estate di bel tempo.