La Repubblica ha eletto un Capitano reggente dichiaratamente gay, ma non esistono spazi di aggregazione e celebrazione dell’orgoglio Lgbt. «Quando escono da San Marino e vengono a Rimini, respirano. In Repubblica hanno sempre gli occhi puntati addosso»

Nella Repubblica di San Marino, il cammino di affermazione della comunità Lgbt+ nello spazio pubblico assomiglia a una faticosa ascesa al Monte Titano. Lo Stato incastonato nella penisola italiana, infatti, fronteggia un paradosso: con Sua Eccellenza Paolo Rondelli, eletto Capitano Reggente lo scorso aprile, vanta il primo capo di Stato dichiaratamente omosessuale, salvo non avere luoghi di aggregazione Lgbt+ né spazi di celebrazione di un Pride targato San Marino. E così, lo stato che, più di ogni altro, reca inciso nella pietra il motto Libertas, dovrà ancora attendere perché dal suo Palazzo pubblico possa vedere sventolare una bandiera arcobaleno.

 

Appena dieci anni fa, con un’Istanza d’Arengo – l’istituzione sammarinese che consente ai cittadini di presentare le proprie petizioni in Parlamento – la cittadinanza aveva chiesto al governo di cancellare, in quanto discriminatoria, la formula «more uxorio» dall’articolo 15 della 118/2010, la controversa legge che concedeva il permesso di residenza a un cittadino straniero convivente con uno sammarinese purché entrambi intendessero vivere «come marito e moglie».

 

Da allora, di passi in avanti la Repubblica ne ha fatti. Otto anni dopo, con 40 voti favorevoli e solo 4 contrari, il Consiglio Grande e Generale ha approvato la legge sulle unioni civili, che da allora riconosce a tutte le unioni civili diritti fino a quel momento negati, come la residenza, l’assistenza sanitaria, la successione legittima e testamentaria. Yvette Brodaz, italiana di 30 anni sposatasi nel 2019 con Barbara, originaria di San Marino, è stata tra le prima a beneficare della nuova legge: «Quel momento fa da spartiacque nella storia dei diritti di San Marino» ammette. Prima di allora, per poter risiedere a San Marino, il partner omosessuale non residente avrebbe dovuto dichiararsi alla stregua di un badante: «Ma noi abbiamo convissuto lo stesso per nove anni, lo sapevano tutti» puntualizza Yvette, riferendosi al graduale scollamento tra società e politica, evidente in uno stato di circa 30mila abitanti.

 

Ma la legge a San Marino è, mutuando le parole dello scrittore ungherese Sándor Márai, «un’obbedienza che si porta iscritta nel cuore». Il sistema di norme che definisce l’impianto di uno fra i più piccoli stati al mondo è così complesso da permettere la coesistenza di realtà paradossali: nella Repubblica il divieto totale dell’omosessualità fu abolito nel 1864, eppure nel 2008 è entrata in vigore la legge che vieta la discriminazione e l’incitamento all’odio sulla base dell’orientamento sessuale. Ancora oggi la coesistenza di questo doppio binario è evidente in iniziative che mostrano i passi fatti e quelli ancora da compiere: «Quando, lo scorso marzo, abbiamo presentato l’Istanza d’Arengo per istituire la Giornata contro l’omolesbobitransfobia, l’appoggio di tutti i partiti è stato un importante segnale politico, che però la società aveva già recepito» spiega Yvette.

 

Parla di «idiosincrasia tra Parlamento e referendum» anche Marco Tonti, 47enne storico attivista Lgbt+ italiano, presidente di Arcigay Rimini, da anni legato alla comunità arcobaleno del Monte Titano. Era il 2017 quando, alla seconda edizione del Pride, Tonti chiese il patrocinio della Repubblica. Da allora, le bandiere di San Marino e quelle arcobaleno di Rimini sventolano insieme sul lungomare romagnolo ogni luglio, sebbene Tonti sappia che nessuna marcia potrà mai sostituirsi al cammino, pervicace ma lento, di acquisizione dei diritti: «Non va dimenticato che San Marino sorge su una montagna. Si parla, cioè, di uno stato con caratteristiche sue proprie, dove fino al 2004 l’omosessualità era criminalizzata». Il riferimento è all’articolo 274 del Codice penale sammarinese, che alle soglie del Duemila disciplinava gli atti omosessuali con la reclusione da tre mesi a un anno se commessi abitualmente o fonte di scandalo. Una legge mai applicata, che molti Lgbt+ hanno sempre visto come una formalità. Per Tonti, l’assenza di detenzioni è, invece, la prova che la legge ha funzionato: «La norma aveva funzione di deterrenza, ha assolto il proprio dovere. Per giunta, era la punta dell’iceberg di una società che presenta ancora alcune chiusure anacronistiche: se si guarda ai partiti in carica fino a qualche anno fa, sembrava di essere nella Prima Repubblica italiana».

 

Oggi molto sta cambiando, non solo attraverso nomine storiche come quella del Capo Reggente Paolo Rondelli, che pure ha un passato da vicepresidente di Arcigay Rimini. La vera rivoluzione è quella che germina dal basso, come ha mostrato il voto referendario a sostegno della de-penalizzazione dell’aborto, resa possibile grazie all’attivismo indefesso dell’Unione Donne Sammarinesi: «Sono piccoli segni di un cambiamento. E il cambiamento è come una slavina: quando s’innesca, diventa inarrestabile». Tonti, che ha supportato la comunità sammarinese nel cammino verso la legge sulle unioni civili paritarie, rivendica come le battaglie di civiltà, apparentemente appannaggio di una minoranza Lgbt+, giovino a tutti i cittadini: «Prima a San Marino ogni anno il 50 per cento delle coppie sposate divorziava. La legge sulle unioni civili, dettata da una necessità sentita da una comunità, oggi serve alla società intera» spiega. Secondo i dati del 2019, l’anno precedente alla pandemia in Repubblica sono state celebrate 36 unioni civili, di cui 13 tra persone dello stesso sesso. Così, come una goccia che scava la pietra, Istanze d’Arengo e referendum stanno picconando un sistema normativo che ancora oggi rende San Marino un luogo asfissiante per la comunità Lgbt+ locale: «Quando escono da San Marino e vengono a Rimini, respirano. In Repubblica hanno sempre gli occhi puntati addosso» precisa Tonti.

 

Questo giustifica in parte il fatto che nella Repubblica l’idea di un Pride alla stregua di quelli italiani non sia nemmeno contemplata dagli Lgbt+ sammarinesi: «Qui non c’è mai stato un Pride perché siamo una comunità di 30mila persone, mancano luoghi di aggregazione e la mentalità non è così aperta» puntualizza Luca S. (nome di fantasia), che ha vissuto il suo percorso di coming out con la prudenza di chi ammette i limiti di un contesto di provincia: «È difficile avere un parametro di valutazione, ma sicuramente lo stato in cui vivo non è così aperto come l’Italia. Per questo, presentare il mio compagno alla mia famiglia e agli amici è stato un percorso graduale» ammette.

 

Oggi Luca ha 41 anni, e guardando ai luoghi della sua adolescenza fatti di scoperta ed amore, li individua tutti fuori da San Marino: «Ho sempre frequentato poco casa mia per la sua mentalità: le voci girano sempre, la vita è quella di un paesino dove tutti parlano di tutti. Ma prima eravamo restii a mostrarci, oggi invece i giovani sono diversi da noi». La pensa allo stesso modo Luca Sacanna, 40 anni di cui venti vissuti a San Marino: «Se oggi le generazioni più grandi avessero la mentalità di quelle più giovani, vivremmo in una società diversa, meno eteronormata e più inclusiva» ammette forte della sua esperienza lavorativa fuori dai confini, che gli ha permesso di decentrarsi: «Le esperienze all’estero ti permettono di cogliere la differenza di mentalità rispetto a quello che, tutto sommato, è uno stato di poche decine di migliaia di abitanti. Ci sono tantissime cose che i sammarinesi non fanno perché a San Marino non è poi così interessante. Difficile capire il perché, forse si tratta solo di rassegnazione».

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Sono tanti gli Lgbt+ sammarinesi che individuano una vera e propria spaccatura generazionale nella soglia degli attuali quarantenni: «Dai 40 anni in giù tutto è più sereno, vi sono meno preconcetti. Le generazioni più mature, invece, restano ancorate a valori tradizionalisti» spiega Antonio Cecchetti, sammarinese di 55 anni. Nel 2017 la compagnia teatrale di cui fa parte presentò al Teatro Titanio lo spettacolo gay Il marito di mio figlio: «Abbiamo avuto un forte riscontro positivo, segno che la società risponde bene rispetto alla politica». Dall’altra parte, però, il coming out di Antonio non è stato una strada retta: «Fino a 26 anni ho vissuto nella negazione. Il processo alla serenità che vivo oggi è stato molto lungo» confessa. Anche lui ha vissuto l’attivismo della comunità fuori da Dogana, a Rimini: «Forse non c’è nessuno che possa prendersi l’impegno di mettere su un locale, un luogo di aggregazione. Forse i più grandi sono anche pigri. Non c’è stata mai occasione di fare comunità».

 

È una delle tante voci che cercano di fare pace con questo paradosso tutto sammarinese. C’è chi ammette che non c’è un’associazione organizzata perché la comunità ha l’abitudine a trattare di questi temi altrove: «A San Marino c’è una forte componente conservatrice di stampo cattolico – spiega un sammarinese che chiede di restare anonimo -. In un tale ambiente non ti viene spontaneo dannarti l’anima per fare un Pride. L’indolenza e l’insofferenza, unite alla propensione del sammarinese ad andare fuori dai confini spiegano perché non ci sia un vero e proprio attivismo Lgbt a San Marino, sebbene siamo in tanti a farlo fuori».

 

È la linea impercettibile tra lo stare e l’esistere di una comunità che, per ragioni storiche, sociali e culturali, ha fatto pace con una mancanza spesso poco percepita. Non è, infatti, casuale che, fra gli intervistati, chi pensa sia giunto il momento di un Pride a San Marino, siano due italiani legati alla Repubblica: «Io spero in un Pride a San Marino, perché la consapevolezza personale e la necessità di affermarsi sono elementi costitutivi della Repubblica. Bisogna solo aspettare» dice Marco Tonti. Dalla sua casa sul Monte Titano, Yvette aggiunge: «È proprio a San Marino che dovrebbe esserci un pride: sarebbe un forte segnale in cui si urlano i propri diritti, i bisogni di persone a stare insieme, lottare insieme, con lo spirito di allegria che ci contraddistingue» auspica Yvette. Un passo simbolico forse, ma costitutivo del popolo di quella che, pur sempre, l’antico cerimoniale della Serenissima chiama «terra libera di San Marino».