Trieste
La grande messa in scena che ha truffato i narcos e i broker della cocaina
Un agente della Guardia di finanza sotto copertura al porto di Trieste insieme ad una squadra di colleghi buca la rete delle spedizioni di cocaina dalla Colombia in Europa. E mette le mani su una fornitura da mezzo miliardo
Una goccia di sudore scende tra i capelli. Ha quasi un tremolio alla gamba. Ma deve restare calmo, ne va della sua vita. «Sereno, tranquillo», si ripete. Perché lui è un infiltrato della Guardia di finanza in quella che diventerà una delle più importanti operazioni antidroga degli ultimi anni in Europa.
Nell’ufficio della finta società di logistica, messa in piedi dalle fiamme gialle al porto di Trieste, ha di fronte Abel Ramon Castano Castano, 54 anni, un colombiano dall’aspetto gentile e dai lineamenti garbati, elegante con giacca blu e camicia bianca. Si guardano dritto negli occhi. Abel è appena arrivato con un volo da Bogotà. A spedirlo qui è stato Jobani Avila detto Chiquito Malo, capo del più grande clan della droga in Sudamerica, il cartello del Golfo. Chiquito oggi ha preso le redini dell’organizzazione paramilitare che detta legge nel Nord del Paese. In quei giorni era il numero due di Dairo Antonio Úsuga David, detto Otoniel, il sanguinario storico boss che ha sulle spalle decine di omicidi e 120 processi, arrestato lo scorso ottobre.
Castano Castano è lì, davanti al finanziere sotto copertura che si finge responsabile della società P.L che si occupa della movimentazione merci in uno dei porti più grandi d’Italia. Dalla Colombia gli hanno detto che il manager è il gancio per costruire la nuova rotta della cocaina dal Sud America verso l’Europa. E Abel deve capire se può fidarsi. Se non ci sono trappole. Un solo errore, un solo passo falso e il finanziere morirebbe. Lo sa l’agente, lo sanno i suoi superiori: il colonnello Leonardo Erre e il comandante del Gico di Trieste Marco Iannicelli, che grazie alle microspie stanno seguendo quello che accade in quella stanza. Sudando anche loro al solo pensiero di aver messo a rischio la vita di un collega per dare avvio a quella che sarà una rocambolesca truffa non solo al più spietato cartello della droga colombiana ma anche ai più importanti broker della cocaina europei e italiani.
Una “truffa” che andrà avanti per un anno, con la distribuzione controllata di quattro tonnellate di cocaina purissima da tagliare in dosi per un valore finale sul mercato europeo di mezzo miliardo di euro. Per molto meno, anche poche migliaia di euro, chi tradisce il cartello viene tagliato a pezzi e fatto scomparire nel nulla. Castano Castano alla fine sussurra: «Todo bien». È andata. Si parte. Anche se in quel momento nessuno sa come finirà questa storia iniziata qualche settimana prima, nell’aprile 2021, e conclusasi solo il mese scorso con l’arresto di 38 narcotrafficanti. Non lo sanno l‘agente sotto copertura, né l’altro infiltrato detto “Rocco” e neppure Erre e Iannicelli, e tutta la loro squadra di dieci agenti fidatissimi che da quel giorno, e per quasi un anno, non dormiranno più sonni tranquilli: staranno sempre in allerta, pronti a seguire, armi in pugno, narcotrafficanti in giro per l’Italia, a pedinarli tra le stradine dei paesini veneti, per le contrade della Toscana e del Lazio o per i boschi del Friuli.
Il carico della droga
Questa storia inizia quando, nell’aprile 2021, la polizia colombiana Fiscalia 42 especializada contra el narcotrafico segnala alle autorità italiane che un loro agente sotto copertura nel clan del Golfo ha avuto mandato di spedire in Europa tonnellate di cocaina, ma da un porto diverso da quello di Gioia Tauro, ormai troppo a rischio per i continui sequestri. In gran segreto, le autorità colombiane, insieme ad agenti dell’Hsi americana, la Homeland security investigations, arrivano a Venezia. Si decide di coinvolgere la Guardia di finanza di Trieste e la procura distrettuale antimafia, utilizzando come esca uno dei più grandi porti italiani vicino alle frontiere d’Europa.
In pochi giorni si mette in piedi una società di logistica: si registra alla Camera di commercio il logo, si affittano gli uffici al porto e anche macchinari per estrarre dai container mezzi di tutti i tipi. «Capiamo subito che dobbiamo infiltrarci in un anello preciso della catena, quello della logistica, perché ai colombiani interessa vendere e trattare, ai broker comprare, ma la logistica la lasciano sempre a terzi», dice Iannicelli, seduto nel suo ufficio del comando della Finanza di Trieste, mentre con un cacciavite elettrico buca delle pietre di mare: «È il mio antistress, ho ancora la tensione addosso dopo un anno trascorso sulle montagne russe».
La truffa non è imbastita solo in Italia, ma anche in Colombia. Il cartello del Golfo invia ai primi di maggio del 2021 un primo carico di trecento chili in un porto al Nord del Paese, Puerto Bolivar. Lì una nave container caricherà la droga dentro macchinari industriali per cave e miniere: è la prima consegna che serve solo come prova per testare l’affidabilità di tutta la filiera. A Puerto Bolivar il gancio della polizia colombiana nel cartello avvisa i colleghi e scatta in segreto il sequestro della cocaina, che verrà inviata a Venezia attraverso un volo di linea Iberia, presa in consegna dalle autorità Italiane e conservata in un deposito segreto.
I narcos, che non seguono il trasporto anche perché spesso per fare uscire la coca dalla giungla ricevono prima la metà dei pagamenti dagli acquirenti europei, sono convinti invece che la cocaina sia sulla nave che salpa alla volta della Spagna, fa uno scalo ad Ankara e arriva il 16 maggio a Trieste. Il 17 si presenta negli uffici della P.L Castano Castano per verificare che tutto fili liscio e se davvero il gancio che gli è stato indicato per l’Italia sia affidabile. Il colombiano, si scoprirà poco dopo, è in contatto diretto con Chiquito Malo ma anche con Antonio Prudente, il riferimento della camorra che si muove tra la Colombia e la Spagna da anni: i due stanno curando l’invio del vero grande carico di 4 tonnellate che partirà ad ottobre. E che, esattamente come nel carico di prova, sarà sequestrato in segreto dalla polizia colombiana e inviato via aereo a Madrid, dove poi un secondo volo militare trasporterà i 4 mila panetti da un chilo in una località segreta in città, a Trieste.
La rete dei broker
La novità di questa operazione che vede collaborare le polizie colombiane, americane, spagnole e italiane, è quella di non fermarsi al sequestro del carico. Ma di fingersi intermediari per le consegne ai broker in contatto con il cartello del Golfo. All’agente sotto copertura Castano Castano affida un telefono criptato con la chat Suresport. Qui riceverà le richieste di consegna. L’agente sotto copertura deve occuparsi solo di questo. Il prezzo e i quantitativi sono già decisi. Alle prime due consegne sovrintende Castano Castano.
Il 18 maggio 2021 chiama l’agente sotto copertura e gli dice di vedersi subito in via Ressel a Trieste e di portare 10 chili. Poi gli dice di andare a Fossalta di Portogruaro. Qui ad attenderli ci sono Bozhidar Bozilov e Sara Savov, i referenti di una potente organizzazione criminale bulgara che sta cercando di mettere radici anche in Italia e soprattutto a Roma. Il 29 maggio è ancora Castano Castano che organizza tutto. Chiama l’agente sotto copertura e gli dice di caricare 100 chili di cocaina e andare in un ristorante di Aquileia. Lì troverà ad aspettarli Adriano Lazzarato e Ugo Mascioli, pluripregiudicati che operano in Veneto e che avevano la fiducia del colombiano.
Mascioli si allontana e lascia il carico in una casa abbandonata di Aiello del Friuli. Per non dare troppo nell’occhio, considerando anche che sono le prime consegne, prima di fermare i due per recuperare la cocaina i finanzieri fingono un ritrovamento casuale: appiccano un piccolo incendio nella casa abbandonata, arrivano i vigili del fuoco che trovano la droga e chiamano le autorità italiane.
Il trucco funziona, Castano Castano non si insospettisce. E dà il via, ad ottobre, alla spedizione del grande carico. Da questo mese, il telefono criptato dell’agente sotto copertura inizierà a squillare quasi ogni settimana. E per carichi importanti: «Noi seguivano tutte le operazioni e per identificare gli acquirenti quando la droga veniva consegnata e inviata alla volta delle città per lo spaccio, fingevamo controlli casuali coinvolgendo la polizia stradale, le polizie negli aeroporti o le polizie municipali per verificare anche il semplice rispetto del green pass», racconta Iannicelli. Con questo schema vengono identificati un gruppo di albanesi che trasporta la coca nel Nord Est e a Milano, un gruppo di calabresi guidato da Francesco Megna che opera tra Lombardia e Lazio e un gruppo di sloveni che gestisce il traffico nei Balcani, ma anche croati e bulgari.
Un giorno, sul telefono dell’agente sotto copertura compare un nome strano, che chiede di organizzare il trasporto di metà del carico, due tonnellate di cocaina, valore al mercato 250 milioni di euro. Scatta subito l’allerta massima tra i finanzieri: questa volta c’è da seguire un broker internazionale. Si tratta di Isik Ergun, imprenditore turco residente in Olanda, grande anello di congiunzione tra la Colombia e l’Europa dell’Est. È lui in persona che chiede di incontrare l’agente sotto copertura, al quale dice: «Mi vedi oggi, non mi vedrai mai più». E gli consegna un elenco di referenti che lo contatteranno per le varie consegne. Lui scivola via, ma viene identificato all’aeroporto di Milano, dopo che la squadra di Erre e Iannicelli aveva avvisato le polizie degli aeroporti di tutto il Nord, dando loro le foto scattate durante l’incontro con il finto addetto alla logistica del porto triestino.
Siamo ormai a 18 consegne e ancora, né in Colombia né tra i broker italiani ed europei, qualcuno sospetta che in questa partita di coca triestina ci sia qualcosa di strano, visto che poi gli intermediari vengono fermati e la droga in qualche modo recuperata. Anche in maniera rocambolesca, come accaduto nel bosco di Bagnaria Arsa: «Un croato appena ci ha visti è scappato e ha disperso 25 panetti di coca nel bosco, abbiamo impiegato una settimana con l’aiuto dei vigili del fuoco e di un elicottero per recuperare tutto», raccontano dalla Finanza.
Ma alla diciannovesima consegna arriva un campanello d’allarme. L’agente infiltrato riceve un messaggio sul telefono criptato da uno che si fa chiamare Alexander Pato, come il calciatore. E concorda la consegna di 10 chili a un intermediario, Giuseppe Giorgi, secondo gli inquirenti «uomo di fiducia delle famiglie della Locride, che sarebbe partito quel giorno stesso da San Luca». Dopo lo scambio, Giorgi andrà in un Bed and breakfast di Milano e lì verrà firmato dai finanzieri con la cocaina in stanza. Resta una domanda: chi era Pato? Pochi giorni dopo arriva un secondo messaggio da Pato all’agente infiltrato. Questa volta chiede un incontro all’aeroporto di Venezia e all’appuntamento si presenta Rossano Sebastiani, imprenditore romano che ha rapporti con la Colombia e con le famiglie calabresi. All’agente dice: «Ma perché quello che esce poi viene bloccato?». È il campanello d’allarme che laggiù in Calabria iniziano a sospettare. Sebastiani verrà poi arrestato dopo un pedinamento durato giorni in un B&b di Roma.
Le consegne finiscono, troppo rischioso andare oltre. Il 7 giugno scorso, con una conferenza stampa in procura, insieme ad agenti della polizia spagnola e americana venuti a ringraziare i colleghi italiani, si svela l’operazione. L’agente sotto copertura viene messo in ferie e mandato lontano da Trieste: sulla chat criptata è arrivato un messaggio in dialetto calabrese con minacce di morte. La sera stessa il tenente colonnello Iannicelli nonostante la pioggia va a correre e non riesce a fermarsi. Il colonnello Erre torna per qualche giorno nella sua città di origine. L’adrenalina è ancora tanta dopo un anno trascorso a beffare alcuni tra i più pericolosi criminali del mondo.