Perché bisogna stare con Kiev, cosa è oggi l’Occidente, l’attualità del socialismo liberale di Carlo Rosselli. Dialogo con un celebre intellettuale

Essere di sinistra, oggi, significa stare dalla parte dell’Ucraina, battersi per l’uguaglianza e giustizia sociale, e non rinunciare all’ideale del socialismo con l’aggiunta di un aggettivo: liberale, e il riferimento a Carlo Rosselli è esplicito. Schierarsi da una parte non esime tuttavia dal dovere di cogliere la complessità della situazione, che non è dar ragione un po’ a tutti, ma significa assumersi, nel bene e nel male, le contraddizioni di coloro con cui si simpatizza. Michael Walzer, filosofo della politica, animatore della rivista “Dissent” nata sessantotto anni fa negli ambienti di intellettuali socialisti, democratici e anti-stalinisti di New York, professore emerito della School for Advanced Studies di Princeton, a 87 anni è una di quelle persone che potremmo definire “i grandi vecchi”. E con lui abbiamo parlato di cosa sono oggi la sinistra e la guerra in un mondo che sta cambiando pelle.

 

La guerra in Ucraina segna la fine di un universo come l’abbiamo conosciuto?
«Sembra un conflitto dell’epoca della guerra fredda, un po’ come quello in Corea o Vietnam. Però gli Stati Uniti questa volta non sono coinvolti direttamente. Comunque, stiamo andando verso un mondo multipolare, e questo più per via della Cina che della Russia».

 

C’è “il nuovo concetto strategico della Nato”, dove la Russia è indicata come nemico.
«L’attacco all’Ucraina è la ragione immediata dell’allargamento della Nato e del nuovo concetto strategico. Però, non credo sia stato intelligente identificare minacce e nemici in modo così esplicito. I “nemici” della Nato dovrebbero invece includere qualsiasi Stato che organizzi massacri sul proprio territorio così come qualsiasi Stato che attacchi i suoi vicini. La Nato dovrebbe essere pronta per gli interventi umanitari, per gli sforzi di mantenimento della pace e salvataggio delle persone coinvolte in disastri naturali. Multinazionale e multiuso. Ciò detto, spero che siano ristabilite le regole del diritto e ho simpatia per coloro che hanno voluto fornire le armi agli ucraini».

 

Diamo per scontato che gli ucraini hanno il diritto di difendersi dall’aggressione di Putin e parliamo delle magagne dell’Occidente. L’intervento americano in Iraq finì con le torture ad Abu Ghraib, i curdi sono stati traditi dopo aver combattuto l’Isis, l’Afghanistan è stato abbandonato dagli Usa. Ora c’è l’accordo in base a cui la Turchia ha tolto il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato in cambio di una promessa di estradizione di curdi considerati da Erdogan terroristi. Altra cosa è ovviamente riconoscere a Turchia un ruolo nell’emergenza del grano o nella possibile mediazione fra Russia e Ucraina.
(Walzer allarga le braccia). «Cosa ha ottenuto la Turchia per aver “permesso” a Svezia e Finlandia di entrare nell’Alleanza atlantica non è del tutto chiaro, ma sembra un accordo a spese dei curdi, traditi di nuovo. La Svezia nega di aver accettato di estradare i richiedenti asilo: decideranno i tribunali e possiamo sperare che non rispondano alle richieste turche. Tuttavia, i curdi sono ora con meno risorse e più a rischio rispetto a due settimane fa, e questo non va a merito della Nato».

 

E allora possiamo davvero parlare di regole del diritto occidentali?
«Sì, perché questa è la nostra aspirazione. Molto dipende tuttavia da come evolverà l’Unione Europea, se diventerà, rispetto agli Usa, un partner capace di dire non solo sì, ma anche no. C’è molta ipocrisia. Il nostro procuratore generale Merrick Garland - a Kiev - ha ipotizzato mandare a processo al Tribunale internazionale dell’Aja i russi per crimini di guerra. Ma noi americani non abbiamo aderito a quel Tribunale proprio per non correre il rischio che vi finiscano i nostri militari. Però, attenzione, l’Ucraina non è lo specchio dell’Iraq. Gli iracheni, a differenza degli ucraini, non hanno combattuto contro l’invasore. I curdi e gli sciiti - la maggioranza della popolazione - volevano che gli americani li liberassero da Saddam, e poi se ne andassero via. Erano contro l’occupazione. Io comunque ero contrario a quella guerra».

2022 Getty Images

Spetta ai popoli abbattere i propri dittatori. L’impressione è che gli Usa siano un impero privo di cultura imperiale. E per questo spesso creano disastri.
(sorride) «È vero. Siamo pessimi come imperialisti. Non impariamo le lingue. La nostra cultura non apprezza le culture altrui, non mandiamo antropologi in giro, come facevano invece i britannici. Non sappiamo neanche far vincere le elezioni ai nostri candidati, come è accaduto in Iraq nel 2005, dove il nostro uomo fu sonoramente sconfitto».

 

Intanto sembra che ci sia pericolo di una guerra civile negli Stati Uniti.
«Se si immagina una guerra come quella degli anni Sessanta dell’Ottocento, sbaglia. Ma temo che ci saranno molti episodi di violenza politica in cui verranno sfidate le nostre istituzioni, la polizia e l’esercito. Fra il 2020 e il 2021, i poteri forti dello Stato, sono rimasti fedeli alla Costituzione, così come del resto i cittadini normali. Ed è stata questa postura a salvarci da un regime dittatoriale. Ora invece ho l’impressione che una parte della gente, così come alcuni uomini e donne di potere, hanno perso il senso delle istituzioni. Sono preoccupato per il ruolo delle milizie armate e per i possibili rifiuti di riconoscere gli esiti delle elezioni. Noi, americani non abbiamo una grande storia di non violenza, abbiamo invece una storia di violenza di classe molto più radicale dell’Europa».

 

Cambiamo tema. Cosa significa essere di sinistra?
«Rispondo così. Seguendo i procedimenti parlamentari che riguardano il tentato golpe del 6 gennaio, sono rimasto colpito di alcuni repubblicani, persone di destra, che hanno avuto il coraggio di dire no a Trump. La prima cosa di sinistra nel mio Paese è dire: appoggio questa gente. Sono avversari ma difendono la Costituzione e dobbiamo riconoscere la loro onestà. Ma l’impegno fondamentale della sinistra è la lotta per l’uguaglianza o comunque per una maggiore uguaglianza. In Occidente, i laburisti e i socialdemocratici hanno accettato il discorso liberista e così hanno finito per aiutare a creare le disuguaglianze sempre più crescenti. Hanno abbandonato la classe operaia, che contrariamente a quanto si dica, esiste. Così, negli States, molti operai, perfino sindacalizzati, hanno votato Trump. La sinistra deve tornare alle sue origini sociali. Lo vediamo in Cile e in Colombia dove sta vincendo una sinistra democratica non più populista. La differenza? Il populismo redistribuiva le risorse fra i più poveri ma non faceva nulla per costruire un’economia sostenibile. Finiti i soldi si è ricorso alla repressione. Ma la gente finalmente ha capito che ci voleva un’alternativa sia a una destra aggressiva sia a una sinistra populista».

 

In Francia Jean-Luc Mélenchon ha federato le sinistre.
«Ha costruito un programma basato su questioni di politica interna, e che io penso sia giusto per la sinistra. Lui sembra un performer, un uomo non proprio impegnato a governare il Paese. Però potrebbe riportare la sinistra nel cuore della politica francese, o forse lo ha già fatto. Non sono contento di alcune sue dichiarazioni riguardanti Israele e ebrei».

 

Cosa è l’Occidente?
«È l’eredità dell’epoca dei Lumi, con tutte le sue contraddizioni. Ho scritto un libro sull’aggettivo “liberale”. Comincia con i fratelli Rosselli e il socialismo liberale e parla pure di nazionalismo liberale. Ecco, quell’aggettivo è un’invenzione occidentale. Significa che il potere della maggioranza è limitato dal rispetto dei diritti umani e delle libertà civili. Per quanto riguarda il socialismo, l’egualitarismo estremo e le ideologie avanguardistiche (sta parlando del bolscevismo e i suoi eredi, ndr) sono limitati dai valori democratici. La politica in Occidente non può fare a meno dell’aggettivo liberale. E la sinistra non può fare a meno del socialismo liberale. Carlo Rosselli, appunto».

 

Sinistra è anche solidarietà e empatia.
«Ovvio».

 

E allora, torniamo al nostro punto di partenza, l’Ucraina. Perché una parte della sinistra non riesce a essere empatica e solidale?
«Perché coltiva persistenti fantasie riguardanti l’Urss e il comunismo. Detto questo, certo, c’è il problema dell’ultranazionalismo ucraino del passato e il più recente fenomeno di corruzione. Voglio essere chiaro. Noi, la sinistra democratica, storicamente, abbiamo appoggiato l’Fln in Algeria anche se avevamo riserve rispetto ad alcune loro idee e prassi. E lo stesso valeva per la Repubblica spagnola, anche se non ci piacevano coloro che facevano stragi di preti e stupravano le suore».

 

E neanche ci piacevano le pratiche repressive degli stalinisti in Spagna.
«Certo. Oggi abbiamo qualche problema con l’elaborazione della memoria e della storia in Ucraina».

 

Intende immagino, storie di antisemitismo e di collaborazionismo ai tempi della seconda guerra mondiale.
«Il 73 per cento degli ucraini ha votato per un presidente di origini ebraiche. Quindi l’antisemitismo non è un discorso di stretta attualità ma riguarda i conti con la storia e memoria».

 

Indispensabili. Ma che si possono fare solo in condizioni di relativa sicurezza e libertà. E comunque i giovani delle città vogliono vivere come a Berlino o Parigi.
«Vorrei fare due considerazioni. La prima: Zelensky da candidato presidente era a favore dei diritti della lingua russa e lui stesso oltre a essere ebreo è russofono, fa parte di ben due minoranze, quindi. E molti fra coloro che erano contro di lui ora lo appoggiano. La situazione è complessa e sorprendente. La seconda: dal momento che difendiamo l’indipendenza dell’Ucraina, da donne e uomini di sinistra possiamo dire che sosteniamo certi ucraini contro altri all’interno di una dialettica politica democratica. E comunque nessuna decisione riguardante il Paese può essere presa contro la volontà degli ucraini. Sono loro, non noi a stabilire ciò che è giusto per loro».

 

Come risponde a chi consiglia la disubbidienza civile e esclude il ricorso alle armi?
«Sono un convinto sostenitore dei metodi di resistenza civile e di lotta non violenta nelle democrazie. Per quanto riguarda i conflitti internazionali invece, la non violenza ha senso se è in grado di mobilitare l’opinione pubblica del Paese dominante. I britannici hanno usato violenza contro Ghandi e i suoi seguaci, ma poi non erano più in grado di farlo, causa la loro opinione pubblica. Non mi sembra che i russi abbiano un’opinione pubblica simile e che il potere a Mosca sarebbe disposto a tollerarla anziché reprimerla».

2021 Getty Images

E con la Cina che facciamo?
«Dobbiamo essere idealisti e al contempo realisti. Dobbiamo sostenere coloro che lottano per i diritti umani e al contempo avere diplomatici che parlino coi cinesi dell’ambiente e del nucleare».

 

Il cambiamento climatico in un mondo multipolare…
«La lotta concreta deve essere locale, in ogni nazione, Stato, Paese. Se le vinciamo, può esserci una cooperazione, ma solo dopo tante vittorie intorno ai temi locali. La salvezza globale come punto di partenza è un’utopia. Ma forse questo è un tema per un altro colloquio».