La prima rubrica uscì sul nostro giornale il 21 maggio 1998

Sono contento di tornare a scrivere su L’Espresso con continuità.

Credo che i lettori e gli amici capiranno questo mio sentimento: L’Espresso lo fondammo, Arrigo Benedetti, io, Antonio Gambino e pochi altri giornalisti e scrittori, 43 anni fa; da allora ci scrissi tutte le settimane fino all’autunno del 1975, quando cominciò il lavoro di fondazione di Repubblica che assorbì totalmente il mio tempo.

Ma oggi, dopo aver lasciato due anni fa in buonissime mani la direzione di quel giornale, posso finalmente realizzare un desiderio: quello di collaborare a entrambe le testate che ho contribuito a far nascere. Perciò considero il mio ritorno a L’Espresso un piccolo evento che mi rallegra, e che debbo all’amicizia e alle affettuose insistenze di Claudio Rinaldi.

 

Non sarei tuttavia interamente sincero se tacessi l’altra ragione che mi ha spinto ad accettare l’invito, ed è la prospettiva di affiancare a settimane alterne la Bustina di Minerva che Umberto Eco spedisce ai lettori infaticabilmente da oltre tredici anni.

Eco ha molto amabilmente preannunciato questo mio esordio e mi ha battezzato appunto come esordiente al suo fianco, ricordando che a mia volta fui io a chiamarlo a collaborare a L’Espresso nel 1965 (pensate un po’ quanti anni sono passati da allora). Tra noi due non si sa dunque chi sia il Giovanni Battista e chi il povero Cristo: direi di lasciar le cose nell’incertezza.

 

Scrivere a settimane alterne sulla stessa pagina di Umberto mi mette comunque in corpo molta allegria, e mi dà al tempo stesso qualche preoccupazione: ce la farò a tenere il passo? Non sarà facile con un competitor di quel calibro.

 

Dovevo trovare un titolo a questa mia rubrica che la distinguesse dalla Bustina ma restasse intonato sulla stessa lunghezza d’onda, e così avevo pensato ai Calzari di Mercurio. Ma poi m’è sembrato meglio evitare un eccesso di mitologia, e perciò la scelta è stata quella che i lettori vedono in testa a questa pagina. Il vetro soffiato vuole essere un’indicazione di leggerezza nel senso che Italo Calvino dava a questa parola come elemento essenziale della sua poetica, e ad essa è mia intenzione attenermi.

 

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Nei giorni scorsi, in mezzo a tanti fatti felici o luttuosi che hanno attirato l’attenzione del pubblico, ne ho colto uno piccolo piccolo ma non di meno significante: un concorso che il settimanale “Tuttolibri” della “Stampa” ha bandito tra i suoi lettori con il titolo “Di quale mito sei?”. Bisogna scegliere tra una cinquantina di personaggi mitologici, da Venere a Prometeo, da Persefone a Ercole e così via.

Hanno risposto in cinquecento, e primo per molte lunghezze è risultato Ulisse (63 voti) seguito da Icaro (25), Orfeo (21) e Atena-Minerva (20). Come dire: il viaggio consapevole, l’avventura spericolata, il sentimento amoroso, l’intelligenza fertile.

In realtà Odisseo e Atena formano una coppia, e infatti per tutta l’”Odissea” l’eroe è guidato e protetto dalla dea; sicché la scelta d’una vita che si realizza attraverso l’esperienza di sé e del mondo ha riscosso una schiacciante maggioranza di consensi.

 

Vedere messi ai voti gli dei e gli eroi come si trattasse di D’Alema e di Berlusconi m’è sembrato un po’ triviale e, lo confesso, mi ha indispettito. Ma qualche soddisfazione comunque quel sondaggio me l’ha data.

 

Mi piace per esempio constatare come tra i cinquecento che hanno risposto il coraggio irresponsabile di Icaro non abbia riscosso grande seguito; ancor meno ne ha avuto Achille (8 voti), che ricorda un terminator armato di lancia invece che di mitra. Venere ha avuto 8 voti ed Elena di Troia 5; in totale 13 voti per l’immagine della bellezza femminile, che mi sembrano francamente pochi.

 

Sono poi rimasto deluso dalla scarsa simpatia che i partecipanti al sondaggio hanno dimostrato per Ettore: soltanto 8 voti. Ai miei tempi, quando si cominciava a studiare l’”Iliade” in prima ginnasio (allora la media si chiamava così), i ragazzi si dividevano in due partiti: chi teneva per Achille e chi per Ettore; ma era Ettore ad attrarre le maggiori simpatie, l’eroe che difende la patria e perisce sotto i colpi di un invincibile favorito dagli dei. La partita era truccata, e noi ragazzi parteggiavamo per il più debole.

 

Guai tuttavia a scambiare i cinquecento di “Tuttolibri” per un campione rappresentativo. Si tratta evidentemente di lettori sagomati, che apprezzano la ragione più delle passioni e l’intelligenza più della forza. Ad essi, anche a nome di Umberto Eco assente giustificato, mando il mio solidale saluto.