Piazze di spaccio, persone ai margini, l’illusione dell’amore. Il racconto polifonico di “Jastemma”, il nuovo cd-book della band di Daniele Sanzone, appena premiato al Tenco. Con i testi di quindici scrittori

Gli ‘A67 nell’anima nera di Scampia: «Là dove non c’è nulla ti devi reinventare il mondo»

«Per capire dove siamo bisogna buttarsi in un mondo fatto di storie e colori», che per lui significa immergersi in un universo di vicoli, periferie, personaggi di una Napoli-ventre di sentimenti, relazioni, amori. Daniele Sanzone, autore e voce della band partenopea 'A67, non ha mai avuto paura di gettarsi a capofitto in un vortice di storie e persone da sempre ai margini, forse perché in quell’universo di ultimi ci è nato e cresciuto e «là dove non c’è nulla ti devi reinventare il mondo, immaginando ciò che vorresti». La sua musica, dunque, parte da lì, da Scampia, tra piazze di spaccio e luoghi di incontro fra boss e camorristi. E a quelle strade resta ancorato per scovare un’anima da ascoltare attraverso il linguaggio della musica e delle parole.

 

Non a caso è un racconto polifonico dalle infinite sfumature il nuovo album degli 'A67, “Jastemma” (Squilibri editore), composto da 10 brani musicali che mescolano rock, reggae e blues, e 15 racconti scritti da altrettanti scrittori, poeti, narratori. Sono Viola Ardone, Alessio Arena, Luigi Romolo Carrino, Giuseppe Catozzella, Marco Ciriello, Amleto De Silva, Luca Delgado, Gennaro Della Volpe (Raiz), Raffaella R. Ferré, Nicola Lagioia, Loredana Lipperini, Carmen Pellegrino, Angelo Petrella, Alberto Rollo e Gianni Solla. Una bella pattuglia di autori, insomma.

 

“Jastemma”, neovincitore del Premio Tenco (sezione “Album in dialetto”), è un progetto multivocale e multiforme verrebbe da dire, illustrato da Mimmo Palladino che campeggia sin dalla copertina con quel suo volto aureo, «un artista con il quale avevamo già lavorato», dice Sanzone: «Un amico come i tanti artisti che hanno scelto di collaborare all’album», nato in un periodo molto particolare come la pandemia.

 

«Dopo l’uscita del nostro ultimo disco, “Naples calling” (Full Heads), eravamo tutti un po’ demoralizzati perché con la pandemia non siamo riusciti a fare concerti. Ma proprio in quel periodo si è aggiunto alla band Mirko De Gaudio alla batteria, che ha portato nuova linfa al gruppo, che era formato da me, Enzo Cangiano alla chitarra e Gianluca Ciccarelli al basso. Fra di noi si è creata una particolare alchimia e nel silenzio del lockdown ci siamo messi a suonare. E così sono nate delle canzoni d’amore, canti di vita contro la morte. A quei brani si sono ispirati gli scrittori che hanno creato racconti inediti, stimolati da una parola, da un ritmo musicale, da un ricordo. Dalla narrazione musicale, quindi, è nato un nuovo racconto che ci porta ad immergerci in un mare fatto di tanti colori e sfumature diverse. E chissà dove possono portarci ancora le sue maree».

 

Ci sono tante storie risolte o irrisolte in “Jastemma”. Si parte dal mondo degli ultimi, per i quali l’amore, per esempio, sembra essere più un’illusione che non riesce ad alleggerire né a curare i dolori e le ferite di una vita ai margini, per poi insinuarsi tra le pieghe degli affetti consumati dall’abitudine e dalla routine e infine lasciarsi andare alle passioni senza tregua. Dopo tante disavventure a prevalere è un inno alla vita. Non si tratta, quindi, di schierarsi solo con chi sta ai margini, come spiega bene Stefano De Matteis nella prefazione al cd-book: «Perché questa volta c’è anche un altro distacco, che muove verso coloro che non hanno la necessità di fare, che non sentono il bisogno di opporsi, di mettersi in contrasto con tutto quanto c’è di storto nel mondo e con tutti coloro che ne sono complici... a cominciare dalla vita. E questo perché i veri morti non sono quelli a cui hanno sparato, ma quelli che sono spenti dentro da una vita che li ha uccisi prima e poi li ha dimenticati».

 

Come cantano gli 'A67 «pecché ccà e veri muorti nun so’ / chilli sparati ma chilli stutati a dinto / da na’ vita ca primma l’accise e po’ sele scurdate».

 

E non poteva che essere il napoletano la lingua-megafono di tante storie che nascono e si mescolano per gridare l’amore in ogni sua forma. «Ho cercato di coinvolgere narratori verso i quali nutro un sentimento di amicizia o di stima, scegliendo i brani ai quali ispirarsi seguendo un po’ il mio istinto. Quando ho mandato “Sape ‘e niente” a Viola Ardone, per esempio, lei ha risposto dicendomi «mi hai distrutto» e poi ha scritto un racconto bellissimo. Nel brano “Jastemma” mi sono immedesimato in una donna e ad Alessio Arena ha ispirato una storia di omosessualità sulla difficoltà di crescere e che poi si è ampliato nel racconto di Marco Ciriello. Ho cercato di interpretare il sentire degli altri per questo album dell’anima blues. Per esempio, a proposito dell’ultimo brano, quello strumentale, “SS 162”, ho pensato ad Angelo Petrella perché suona la tromba e ho immaginato che in qualche modo il brano potesse parlargli».

 

Il punto di partenza della musica degli 'A67 non è mai cambiato. La periferia di Scampia è il luogo in cui la band continua a creare, a gridare attraverso la musica qual è il mondo che vorrebbero. «Ho provato a vivere a Roma, ma poi sono tornato a Scampia. La periferia è qualcosa che mi appartiene» racconta Sanzone. Può essere la periferia un punto di forza? «Là dove non c’è nulla, puoi reinventare il mondo, immaginando tutto ciò che vorresti. Quello che non avevo l’ho trovato con la musica. Io sono nato in una piazza di spaccio, da lì è partito il mio urlo. Ha cercato di placare il conflitto fra i valori dei miei genitori (pittore mio padre, casalinga mia madre) e ciò che trovavo in strada. Quando si formò la band era morta da poco Annalisa Durante, la giovane di Forcella uccisa per sbaglio durante uno scotro fra clan. In quel periodo ero iscritto alla facoltà di Filosofia di Napoli e nella pausa tra una lezione e l’altra mi fermavo a prendere il sole in un convento del 1300. Un giorno passò un ragazzo, mi fissava. Io cominciai a innervosirmi. L’episodio si è ripetuto. A Napoli per uno sguardo si può morire... Ad un certo punto una mia amica mi disse che quel ragazzo era strabico. Quel giorno ho capito che avevo portato il codice del mio quartiere in un altro contesto. Io ero intriso di quei valori, ma ero un portatore sano e quell’episodio mi ha fatto riflettere. Poi quando uscì il primo disco, “A camorra song’io” (Polosud 2005), ci intervistarono tutti e un boss disse: “Ma se loro sono la camorra, noi chi simm?”. Insomma, avevamo provocato una crisi d’identità della camorra!».

 

Negli anni la band ha collaborato con grandi artisti, da Edoardo Bennato a Pino Daniele, e ora c’è “Jastemma”, che sarà presto in tournée. Per ora segnate queste date: 10 ottobre all’Auditorium Parco della musica di Roma e 20 novembre al Teatro Trianon di Napoli.

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