Mathieu Kassovitz: «Il cinema di denuncia non serve più purtroppo»

La delusione politica, la guerra in Ucraina, la passione per la boxe. L’attore francese, regista de “L’odio”, a Roma per la manifestazione dei ragazzi del Piccolo America: “I film? Meglio lo sport”

«Jusqu’ici tout va bien», «fino a qui tutto bene». Gli è rimasta incollata addosso la celebre battuta de “L’odio”, il film-manifesto che a metà anni Novanta lanciò la sua carriera di regista e quella di attore di Vincent Cassel, fissando nell’immaginario di una generazione la rabbia della banlieue. Così come risulta difficile dimenticare il suo sguardo romantico in scooter con Audrey Tautou per le vie di Montmartre, nell’altro cult movie “Il favoloso mondo di Amélie” (2001) di Jean-Pierre Jeunet. Da allora Mathieu Kassovitz, 55 anni ad agosto, ne ha fatta parecchia di strada, come regista e soprattutto come attore. In tempi recenti ha interpretato in modo magistrale la spia Guillaume Debailly, nome in codice Malotru, l’antieroe di “Sotto copertura” di Éric Rochant, serie tv sui servizi segreti francesi. E adesso lavora come regista a un film di animazione sulla guerra mondiale degli animali, in parallelo alla Seconda guerra mondiale. «Non lo sa nessuno ma noi abbiamo le prove: c’è stato il conflitto tra gli esseri umani e anche tra gli animali. Facciamo un film su questa storia», ironizza Kassovitz su Zoom mentre si accende una sigaretta, a petto nudo e in bermuda nella torrida estate romana. Perché l’attore francese, sarcastico e irrequieto, ormai deluso dalla politica e dal cinema, ha poche incrollabili certezze: la passione per la boxe, lo sport e l’amicizia con i ragazzi del Piccolo America, che lo porta spesso a Roma. Non a caso, alla manifestazione “Il cinema in piazza” ha voluto partecipare all’incontro con Bebe Vio e Martin Castrogiovanni per presentare “Rising Phoenix”, documentario sulla storia delle Paralimpiadi.

 

A proposito di sport, lei pratica la boxe a un buon livello. E qualche anno fa ha recitato in “Sparring”, film ambientato nel mondo del pugilato. Cosa la affascina?
«Un buon atleta si spinge al limite e assume dei rischi. Se riesce a ottenere un risultato soddisfacente forse anche tu puoi, se invece non si è allenato risulta ridicolo. È affascinante questo aspetto oggettivo, molto motivante. L’arte invece è soggettiva: se fai un brutto film c’è sempre qualcuno che lo troverà straordinario. Nello sport o vinci o perdi, è più interessante di tante forme d’arte. Anzi, lo sport è una forma d’arte».

 

Per la quarta edizione di fila è stato ospite della manifestazione estiva organizzata dal Piccolo America. Cosa la lega a questi ragazzi?
«La prima volta mi hanno invitato per presentare il mio film “L’odio”. Di solito non vado ai festival, ma mi ha colpito il loro spirito positivo. Non si assegnano premi, è solo un luogo per vedere film, ogni volta che me lo chiedono vengo volentieri. Anche a Cannes c’è uno spirito positivo, ma ci si va perché si vincono premi, è un festival orientato al business. Hanno 75 anni di storia e un budget colossale, qui a Roma invece è tutto più informale, le persone partecipano perché adorano il cinema, ci sono ospiti di qualità e si affrontano discussioni profonde. Dietro le quinte fanno un lavoro enorme ma con semplicità. Tutto questo è molto felliniano».

 

Cosa pensa del cinema italiano?
«Non lo seguo molto, negli ultimi anni mi sono allontanato dal cinema, sono fermo a Vittorio De Sica (ride). Negli ultimi tempi, però, ho visto film più interessanti, sia francesi sia italiani: giovani autori, attori, sceneggiatori e produttori che hanno voglia di cambiare le cose, con strumenti nuovi e un’energia che la mia generazione non ha più».

 

Uno dei personaggi più riusciti che lei ha interpretato negli ultimi anni è Malotru, l’agente segreto controverso e ambiguo di “Sotto copertura”. Le serie tv stanno sostituendo il cinema?
«Si tratta di due esperienze molto diverse. Nel caso delle serie tv bisogna essere sicuri di scegliere bene un progetto, perché ogni anno si ricomincia, se sbagli diventa una tortura. Nel caso di “Sotto copertura” sono stato fortunato: non ho trovato particolarmente interessante il mio personaggio, in realtà, quanto la trama. Purtroppo la serie si è conclusa».

 

Se ora dovesse girare un film sulla banlieue cosa racconterebbe?
«Dovrebbe chiederlo a un ragazzo di 25 anni che abita in periferia, non a me. Io ho più di cinquant’anni. Non è più il mio mondo da tanto tempo, anche se ho ancora amici in banlieue. Sarebbe come chiedere a me cosa penso del razzismo, lo domandi a chi lo subisce tutti i giorni».

 

Il suo film “L’odio” è stato la bandiera di diverse generazioni. C’è un tema sociale che oggi le interesserebbe indagare?
«Oggi non vale più la pena di fare un film per denunciare qualcosa, lo fa benissimo YouTube. Il cinema si concentra sulla dimensione intima, umana e spettacolare. Non serve più il cinema politico, purtroppo».

 

Le recenti elezioni legislative, in Francia, hanno sancito la vittoria dei due poli opposti, Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. La preoccupa l’exploit dell’estrema destra?
«Vuole che le dica la verità? Non me ne frega niente. Non cambierà nulla, è solo rumore di fondo. Non mi interessa la politica francese, ma il mondo: come si muovono le grandi potenze, la guerra in Ucraina, gli Stati Uniti. Amo la Francia, ma i personaggi della scena politica non hanno nulla di rivoluzionario, non mi interessano, Macron non è peggio degli altri. Negli anni abbiamo visto governi di destra, di sinistra, di coalizione: non cambia nulla, un po’ come in Italia mi sembra».

 

La foto del suo profilo Instagram è una bandiera ucraina. All’inizio della guerra, a marzo, è andato a Leopoli insieme allo street artist JR, per inaugurare un murale gigantesco e sostenere il popolo ucraino. Cosa pensa del conflitto?
«Metterei sul mio profilo la bandiera di qualunque Paese aggredito in questo modo. Sono andato in Ucraina, ho dato una mano alla gente che portava aiuto ai rifugiati alla frontiera con la Polonia. Tornato in Francia ne ho parlato sui media ed è nato un movimento di solidarietà: in tanti sono partiti dalla Francia per portare cibo, hanno messo in piedi un luogo di accoglienza per quaranta donne e bambini, un lavoro magnifico».

 

Spente le telecamere in Ucraina si continuerà a morire nell’indifferenza?
«Da almeno quarant’anni le guerre vengono ignorate, dappertutto nel mondo. Adesso ci preoccupiamo dell’Ucraina perché si trova a un’ora di volo dalle nostre città, ma come è avvenuto in Siria, in Africa, in Asia un giorno chiuderemo gli occhi e ci volteremo dall’altra parte».

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