Con l’esecutivo relegato agli affari correnti si rischia un blocco che non possiamo permetterci

Che fosse un momento difficile della vita politica italiana era evidente, ma era francamente inimmaginabile che la soluzione fosse bloccare la Nave Italia nel bel mezzo delle tempeste, che si susseguono da qualche tempo. Eppure è successo, con governo e  alcuni partiti irretiti dalla sindrome Schettino, senza neanche un De Falco che ordinasse agli irresponsabili di tornare al loro posto.

Fermare i motori della Nave Italia non è senza conseguenze.

Il Paese è sconquassato dal moltiplicarsi di troppe crisi, in un contesto europeo e internazionale segnato da guerra, divisioni e competizioni sempre più aspre: la crisi energetica, che ha assunto uno spessore inaspettato per la guerra scatenata dalla Russia e che richiederebbe una strategia seria e veloce per uscire dal fossile; la crisi sociale, dove l’impennata inflattiva ed i costi insostenibili dell’energia mettono in ginocchio famiglie vulnerabili e imprese; la crisi sanitaria, che, puntuale, non abbandona la nostra vita quotidiana e richiederebbe un’inossidabile volontà di difendere la salute pubblica. E su tutto aleggia la crisi climatica, mai così violenta e distruttiva, che oggi provoca disastrose siccità a cui faranno seguito inondazioni e frane alle prime piogge e che intersecandosi con le altre in un groviglio devastante soprattutto per i più vulnerabili, dovrebbe diventare il volano di una vera ripresa del Paese, nel segno della giustizia ambientale e sociale.

Ma per farlo serve un cambio di passo, a partire dalle politiche energetiche: troppo timidi i segnali di dinamismo con gli 822 MW installati nei primi 5 mesi del 2022 e i 6 GW di grandi impianti autorizzati, troppo forti le contraddizioni sul gas. Basti pensare che mentre la Germania (preceduta da Austria e Olanda), si sta attrezzando per uscire dal gas ed ha deciso che, a partire dal 2024, qualsiasi impianto di riscaldamento di nuova installazione dovrà funzionare con il 65 per cento di energia rinnovabile, escludendo di fatto le caldaie a gas o a gasolio, il governo italiano ha appena stanziato per i rigassificatori risorse pubbliche fino al 2043, dando così un chiaro segnale che di uscire dal gas non se ne parla.

Intanto Elettricità futura, l’associazione confindustriale delle rinnovabili, vede passare i mesi senza che il suo piano, che prevede 85 nuovi GW di potenza rinnovabile al 2030, pari all’84 per cento di elettricità rinnovabile nel mix elettrico, sia stato preso seriamente in considerazione dal ministro Cingolani, nonostante gli effetti virtuosi che avrebbe su bollette, occupazione e riduzione delle emissioni climalteranti.

Avremmo avuto bisogno di un governo capace di accelerare e invece ci troviamo con un governo vincolato al «disbrigo degli affari correnti», a cui seguiranno i tempi morti del passaggio di consegne e le possibili retromarce, soprattutto se vincessero gli scettici dell’Europa, del cambiamento climatico, dei vaccini, del ruolo del pubblico.

Intanto le scadenze si affollano. Il 21 agosto scadono gli sconti sulle accise per i carburanti e il 30 settembre i tagli alle bollette. Dal novembre 2021 attendiamo i decreti attuativi di misure in carico al Mite: la definizione delle aree idonee per l’installazione degli impianti di energie rinnovabili, le misure tecniche per liberare le comunità energetiche rinnovabili dagli attuali vincoli, e gli incentivi per l’eolico, il fotovoltaico e le altre tecnologie mature, per le fonti meno competitive come eolico in mare, geotermia e biomasse, per l’idrogeno e il biometano.

Poi c’è la sfida del Pnrr. Molte le misure in attesa di decreti e stanziamenti entro il 2022: il 30 per cento delle risorse per il Parco agrisolare, 1,1 miliardi per l’agrivoltaico, la forestazione in aree urbane ed extraurbane, 2,2 miliardi per le comunità energetiche nei piccoli comuni, la promozione delle tecnologie Fer innovative, le misure sul biometano, i progetti per l’approvvigionamento idrico e sull’idrogeno e quelli sulle filiere nazionali di fotovoltaico, eolico e batterie, e ancora sulla mobilità sostenibile nei Parchi nazionali, su smart grid e resilienza climatica delle reti.

Una massa di misure che si trovano a stadi diversi del loro iter, ma tutti dipendono da come verrà inteso il vincolo dell’ordinaria amministrazione. Nonostante il presidente Mattarella abbia sottolineato, nell’annunciare lo scioglimento delle Camere, che «il periodo che attraversiamo non consente pause» e la circolare emanata dal presidente del Consiglio, per regolamentare la fase di transizione, ribadisca che si potranno adottare «atti urgenti, ivi compresi gli atti legislativi, regolamentari e amministrativi necessari per fronteggiare le emergenze nazionali, le emergenze derivanti dalla crisi internazionale e la situazione epidemiologica da Covid-19», è facile prevedere che il governo sarà bloccato dai veti incrociati.

La discrezionalità dei singoli ministri rimarrà molto alta e, se fino ad oggi il titolare del Mite si è mosso con lentezza e straordinaria attenzione agli interessi del gas, non c’è ragione per pensare che cambi atteggiamento, e visto che gran parte dei provvedimenti dipendono dal suo dicastero, non c’è da aspettarsi nulla di buono, e certo non perché al Mite manchino le competenze. D’altra parte, come dimostra l’azione del ministro Giovannini al Mims, se si vogliono accelerare le trasformazioni, si può fare.

Il consiglio dei ministri ha deliberato il via libera di undici parchi eolici, bloccati dal ministero dei Beni culturali da svariati mesi: quasi una beffa, se si considera che quella è una quota minima dei tantissimi progetti eolici e fotovoltaici bloccati dal Mibac che un po’ alla volta, e senza criterio, vengono sbloccati dal consiglio dei ministri. Con la caduta del governo addio consiglio dei ministri, almeno per qualche mese, e gli impianti per la produzione di energia verde, di cui avremmo urgente bisogno in vista di un inverno durissimo, restano congelati chissà per ancora quanto tempo.

A completare il quadro si aggiunge la mancata stesura del Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) che deve recepire i nuovi obiettivi dell’Ue al 2030 definiti dal RepowerEU (riduzione del 55 per cento delle emissioni di CO2 contro l’attuale 40), nonché la Strategia per l’economia circolare che doveva arrivare a giugno 2022 ed il decreto sulle aste per i certificati bianchi, in lista d’attesa da un anno, che dovrebbe rilanciare il risparmio energetico.

Chi pagherà tanto immobilismo? Ci risponde il sarcasmo di una vecchia canzone di Giorgio Gaber, che racconta di una nave nella tempesta: «La nave è una nave di classe […]. Sul ponte che è fatto a tre piani / in terza in seconda e / anche in prima si sentono rantoli strani […]. Il mare diventa più grosso / dai piani di sopra / su quelli di sotto si vomita addosso / quelli di prima vomitano su quelli di seconda, quelli di seconda su quelli di terza, lo scontro è sfrenato, violento. […] Quelli di sopra hanno la meglio …. ». Ecco, uno scenario che ci piacerebbe prevenire.