Il caso
Nell’Ucraina piegata dalla guerra si torna a parlare di diritti
Nel Paese attaccato dalla Russia trovano nuovo vigore i movimenti civili e sociali, che puntano a ottenere leggi che tutelino la comunità Lgbt. E a chi obietta che ci sono cose più importanti a cui pensare rispondono: «Non è mai il momento sbagliato per proteggere i diritti umani»
Il 20 giugno scorso, l’Ucraina ha ratificato la Convenzione di Istanbul sulla violenza di genere. Una notizia passata in sordina rispetto alle notizie sulla guerra, ma per certi versi epocale: solo due anni fa, quando l’Ucraina aveva firmato ma non sottoscritto la Convenzione, il Consiglio delle chiese e organizzazioni religiose faceva sapere che «la maggioranza delle persone in Ucraina» non supportava la ratifica perché il testo «impone l’ideologia gender» e «nuoce gravemente ai principi morali e ai valori della famiglia della società ucraina». Una posizione condivisa da molti altri Paesi dell’Europa centrale e orientale, come l’Ungheria, la Slovacchia, la Bulgaria e la Polonia. Ma le cose stanno cambiando, anche tra quella maggioranza di persone.
Il conflitto in corso ha avuto tra i suoi effetti inaspettati quello di rinvigorire i movimenti civili e sociali che da anni cercano di invertire la rotta di un Paese finora conservatore, in cui gli attivisti si scontravano quotidianamente con l’estrema destra. Se nel 2016 oltre il 60 per cento degli ucraini aveva sentimenti negativi nei confronti delle persone Lgbtq+, nel 2022 la percentuale è scesa al 38 per cento. Negli ultimi cinque anni, la popolazione convinta che i gay debbano avere gli stessi diritti è aumentata dal 33 al 64 per cento. L’Ucraina resta però ancora indietro dal punto di vista legislativo: secondo il Rainbow index dell’Ilga, il coordinamento europeo delle associazioni arcobaleno, solo il 19 per cento dei diritti delle persone gay, lesbiche e trans è rispettato. L’Ucraina non ha leggi contro l’omofobia e non riconosce le unioni civili, ma per gli attivisti questo è il momento giusto per fare pressione su questi temi.
È stata proprio la guerra ad accelerare il processo: soldati e soldatesse gay e lesbiche, e i loro partner, non godono delle stesse tutele di quelli etero e, in caso di morte, non possono ottenere la pensione di reversibilità. L’organizzazione KyivPride ha lanciato sulla piattaforma All Out una petizione per la legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso, che fa seguito alla petizione formale, già presentata al presidente Zelensky, che ha raggiunto il numero minimo di firme per essere presa in considerazione dal governo. Il presidente ha ventilato l’ipotesi di approvare le unioni civili, pur ribadendo che finché è in vigore la legge marziale non è possibile cambiare la Costituzione.
KyivPride è fiduciosa del sostegno di Zelensky: gli ucraini «vogliono essere il più vicini possibile gli uni agli altri, abbiamo bisogno di pari diritti e il presidente e il governo lo sanno. I soldati Lgbtq+ al fronte sono i primi ad avere bisogno del matrimonio gay o delle unioni civili, per essere considerati legalmente una famiglia se uno della coppia venisse ucciso. Quindi Zelensky non può tradire chi ci protegge». A chi obietta che ci sono cose più importanti a cui pensare, KyivPride risponde che «non è mai il momento sbagliato per proteggere i diritti umani».
«Abbiamo una chance di ristrutturare la società e di chiedere diritti per coloro che prima erano oppressi», aggiunge Alona Liascheva, sociologa. «Anche se non si arriverà a ottenerli tutti, andrà comunque meglio che in Russia e nei territori occupati, perché lì per le persone Lgbtq+ non c’è nemmeno la possibilità di sopravvivere, figuriamoci di fare attivismo. È una delle ragioni per cui noi minoranze supportiamo la resistenza ucraina: se vincerà l’Ucraina avremo la possibilità di proteggere i diritti, se vincerà la Russia per noi sarà la fine».