Geopolitica del futuro
Spazio, la battaglia dei lanciatori
A luglio il decollo di Vega C ma l’Europa va a rilento. E sconta lo stop russo per ritorsione alla missioni Soyuz
La strada che separa Caienna, il capoluogo della Guyana Francese, da Kourou, sede dello Spazioporto europeo, è lunga una sessantina di chilometri. Percorrendola, sembra di attraversare la luna boscosa di Endor, che per chi non conoscesse Guerre stellari significa vedere stazioni radar e rampe di lancio far breccia attraverso la foresta pluviale.
È da lì che lo scorso 13 luglio è decollato per la prima volta Vega C, il nuovo lanciatore spaziale della flotta europea.
Realizzato in gran parte da Avio, nei suoi stabilimenti di Colleferro, due ore dopo il lancio, Vega C aveva qualificato le sue migliorie rispetto al predecessore Vega - la “C” significa Consolidation – e rilasciato in orbite diverse il satellite scientifico “Lares 2”, dell’Agenzia spaziale italiana, e sei cubesat realizzati da altrettante università europee.
Un grande passo per l’Italia, ma forse un balzo troppo piccolo per l’Europa. Perché obbiettivi tecnico-scientifici a parte, è attraverso i lanciatori che si ha accesso alla partita dello spazio, quindi alla geopolitica del futuro prossimo. E nei primi otto mesi del 2022 quello di Vega C è solo il secondo lancio europeo; gli Stati Uniti ne hanno effettuati con successo 46, la Cina 24 e la Russia 10.
«Il dominio aerospaziale è la frontiera sulla quale si sta già svolgendo e si svolgerà la competizione in ambito scientifico, economico e militare a livello globale» scriveva il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) nella relazione sullo spazio pubblicata a inizio luglio. «Questo dominio vede costantemente crescere il suo ruolo nel contesto della tutela della difesa e della sicurezza delle Nazioni e il conflitto tra Russia e Ucraina ha dimostrato in maniera evidente quanto ciò sia vero».
Vero lo è di certo: quello di Vega C è stato, nell’anno in corso, il primo lancio di un vettore europeo per programmi spaziali europei, se si esclude il decollo, lo scorso 10 febbraio, di un Soyuz russo con a bordo satelliti della compagnia anglo-indiana OneWeb. Soyuz, opportuno ricordarlo, subito dopo bloccati dalla Russia, in risposta alle sanzioni occidentali per la guerra. Non è una questione marginale, visto che nel 2021 il vettore della Federazione aveva coperto 13 dei 19 lanci di Arianespace, la compagnia francese che li commercializza, che gestisce il marketing di Vega C e che afferisce al colosso ArianeGroup (joint venture di Airbus e Safran).
È stato uno stop dalle conseguenze immediate: come riportato da Andrea D’Ottavio sul sito del centro studi geopolitica.info da dal punto di vista delle missioni “istituzionali”, a pagarne il prezzo maggiore è stata “Galileo”, «la costellazione satellitare europea di posizionamento globale, concorrente del Gps statunitense, del Glonass russo e del cinese BeiDou». Nel 2022, due Soyuz avrebbero dovuto portarne in orbita quattro satelliti di seconda generazione (i Galileo 29, 30, 31 e 32), ma così non sarà.
Destino identico per il “Sentinel-1eC”, «apparato del non meno strategico programma satellitare europeo di Osservazione della Terra chiamato “Copernicus”». Come i sette satelliti che già oggi ne compongono la costellazione, avrebbe dovuto volare su un Soyuz, ma sarà un Vega C a inizio 2023 a rimediare al forfait russo. In un lancio che rischia di essere «il primo vero passo verso l’indipendenza spaziale dalla Russia» (sempre geopolitica.info).
Peccato che per l’altra missione europea orfana di Soyuz, la scientifica “Euclid”, la stazza del satellite escluda un volo riparatore con Vega C. A causa del rinvio al 2023 della nuova ammiraglia dei lanciatori europei, il vettore medio-pesante Ariane 6, se oggi si volesse lanciare “Euclid” sarebbe obbligatorio rivolgersi altrove, leggasi a SpaceX. Cioè alla concorrenza.
«Non si può trascurare come in un ambito dalle spiccate caratteristiche duali – cioè con obbiettivi sia civili che militari, ndr - la presenza di attori privati possa imprimere un salto di qualità, ma anche determinare dinamiche da governare affinché gli Stati nazionali possano mantenere il controllo dei propri assetti strategici» concludeva il Copasir.
«Se si vuole essere una potenza spaziale - replica Daniel Neuenschwander, direttore dei Sistemi di trasporto spaziale dell’Agenzia spaziale europea (l’Esa) - occorre libertà d’azione. Ciò che conta non sono i satelliti o i lanciatori, ma i dati per i cittadini. Per averne l’integrità è necessario controllare tutto il processo».
Motivo per cui Vega C costituisce il primo tassello di una strategia che è previsto si completi con Ariane 6. Con lui Vega C ha in comune il primo stadio, il nuovo P120C a propulsione solida, che costituirà i booster laterali di Ariane.
Il razzo di Avio è in grado di portare carichi, cosiddetti payload, fino a 2.300 chilogrammi in orbita terrestre bassa, contro i 1500 di Vega. Promette di trasportare il 90% dei satelliti del mercato delle orbite più prossime alla Terra, quelle fino a circa mille chilometri di altitudine. Parte sostanziale dei payload potrà essere lanciata sfruttando la capacità di portarne diversi in un singolo viaggio, grazie allo “Small Spacecraft Mission Service”, un adattatore capace di alloggiare oltre 50 micro-satelliti alla volta e, quindi, di ridurre i costi.
È un decremento possibile anche grazie a commesse “indirette”, come quella sottoscritta da ArianeGroup per la messa in orbita di 19 satelliti della costellazione Kuiper, di Amazon, per internet a banda larga. Per soddisfarla serviranno gli Ariane 64, una configurazione che impiega quattro P120C alla volta. «Sono volumi importanti, che promuovendo una produzione in scala ridurranno i costi di ogni propulsore. Un vantaggio di cui beneficerà anche Vega C» conferma Giulio Ranzo, l’amministratore delegato di Avio, che prima del lancio inaugurale poteva già vantare nove spedizioni prenotate - «È significativo per un prodotto che non aveva mai volato».
Occorre capire, però, se questo basterà per garantire all’Europa un ruolo importante nei trasporti extraterrestri. E non è un caso se a inizio luglio, a Palermo, l’Esa abbia radunato gli attori principali per parlarne.
«Il trasporto spaziale sta subendo grandi cambiamenti, che impongono all’Europa una riflessione» spiega Giorgio Tumino, moderatore a Palermo e Chief Technical Advisor dell’Esa per il trasporto spaziale. «Da un lato abbiamo il conflitto russo-ucraino e soprattutto una competizione particolarmente forte, che riesce a effettuare tre lanci di successo in 37 ore, riutilizzando elementi che hanno volato ventuno giorni prima – sì, sempre SpaceX, ndr - dall’altro il boom della new space economy rende l’accesso allo spazio uno strumento ancora più indispensabile. Per questo in Esa, con i 22 Stati membri, abbiamo considerato necessaria l’elaborazione di una visione condivisa del futuro del trasporto spaziale in Europa e sviluppato una roadmap che permetta di irrobustire la base tecnologica per rispondere alle sfide della propulsione a liquido, della riutilizzabilità, della modularità e della standardizzazione. Questo insieme ad aspetti altrettanto importanti come il ruolo delle agenzie e delle industrie negli sviluppi imminenti, la necessità di bilanciare la cooperazione e la competizione tra le aziende europee».
Un punto, la strategia comune, sul quale non mancano le perplessità. Come quelle di Morena Bernardini, vice presidente Strategia e innovazione di ArianeGroup.
«Oggi in Europa si vuole che l’azienda privata sostituisca l’istituzione nel finanziare programmi spaziali», dice, «va bene, ma sempre si garantisca il rientro degli investimenti. Non si può altrimenti chiedere di finanziare programmi costosissimi e per di più riferendosi alla crescita di un mercato, quello statunitense, che ci è inaccessibile».
Quel che Bernardini evoca è il Buy American Act, che impone, agli Stati Uniti, lanci rigorosamente “made in Usa”. È una forma di protezionismo i cui dati sono inequivocabili: il Dipartimento della Difesa americano ha commissionato 34 lanci entro il 2027. Secondo uno studio del Government Accountability Office, la sezione investigativa del Congresso che monitora anche le spese extra-atmosferiche, per lo sviluppo del progetto verranno spesi 6 miliardi di dollari. Il Gao menziona poi altri 191 lanci, per cui verranno stanziati 57 miliardi. Non è tutto: a maggio la United States Space Force ha fatto il primo passo verso la realizzazione di una costellazione nazionale e assegnato tre contratti per realizzare 126 apparati orbitanti, 42 a testa fra Lockheed Martin, Northrop Grumman e York Space Systems, ai quali andranno, rispettivamente, 700, 682 e 382 milioni di dollari.
«Basterebbe verificare la spartizione dei lanci per vedere che ad aggiudicarseli sono in due: SpaceX e United Launch Alliance (joint venture fra Lockheed Martin e Boeing, ndr)» incalza Bernardini. «Una potenza come gli Stati Uniti, che per il solo programma lunare “Artemis” spenderà 93 miliardi entro il 2025, concentra i propri investimenti su due compagnie. Noi rispondiamo ipotizzando decine di sistemi di lancio diversi. Non escludo il rischio di una lotta fratricida fra newcomer europei».
Sono in effetti molte le startup che puntano al mercato presidiato da Arianespace: tre sono tedesche (Isaar Aerospace, Rocket Factory Augsburg e HyImpulse), due britanniche (Orbital Express Launch e Skyrora), diverse le spagnole; c’è chi, come la gallese B2Space e l’iberica Zero 2 Infinity, studia il lancio di razzi sollevati da palloni, o trasportati da jet. Non mancano le sperimentazioni, come quelle della rumena Arca Space, che con finanziamenti della Comunità europea sta sviluppando un tristadio di cui il primo a vapore, o dell’italiana Sidereus Space Dynamics, del nemmeno trentenne Mattia Barbarossa.
Rimane, poi, un altro punto cruciale: quando nel 2014 l’Esa decise di sviluppare Ariane 6, considerò troppo audace fosse un sistema riutilizzabile, caratteristica poi rivelatasi vincente per i lanciatori Falcon 9 di SpaceX. Detto altrimenti, il prossimo Ariane sarà un’evoluzione, non una rivoluzione. «C’era un bivio e non abbiamo preso la strada giusta» ebbe a dire il Ministro francese dell’Economia e delle finanze, Bruno Le Maire. È una questione richiamata anche da Neuenschwander: «Nel lungo periodo dovremo cambiare, ma oggi è più sano dare ossigeno al comparto. Non è facile, ma dobbiamo attraversare questa fase se vogliamo trasformare il settore per farci trovare in forma domani».
Arduo prevedere cosa succederà. Di certo, qui dalla luna boscosa di Kourou, il panorama sembra proprio quello di Guerre stellari.