Varietà resistenti al batterio killer, tecnologie per risparmiare acqua e uno sbocco economico per gli alberi secchi trasformati in pellet. Mentre la corsa verso nord del batterio forse rallenta, l’inventiva cresce

Il futuro del Salento corre a fianco della superstrada Brindisi-Lecce. Sono i piccoli olivi argentati che ogni tanto spiccano ai lati del nastro d’asfalto, con i loro tronchi sottili allineati in fitti filari legati con un tubo di plastica nera. È l’avanguardia dell’olivicoltura: piante piccole come alberi da frutto, pronte a offrire il raccolto a macchine in grado di raccogliere le olive rapidamente, riducendo tempi e costi del lavoro umano. 

 

Il passato è nei campi nati coperti di olivi inariditi, con i tronchi contorti circondati da una raggiera di rametti secchi, un’aureola grigia che chiunque abbia frequentato il Salento negli ultimi dieci anni ha imparato a riconoscere. Qualche decina di chilometri a Ovest, verso Gallipoli, alberi ormai morti da anni vengono sradicati, fatti a pezzi e trasformati in cippato, pellet di grandi dimensioni da bruciare nei termovalorizzatori.

 

Anche questa è una novità: fino all’anno scorso il legno degli olivi uccisi dalla xylella non aveva nessun valore. Con la guerra in Ucraina, però, con il crollo delle importazioni di legname e i prezzi del combustibile per le stufe schizzati alle stelle, si è aperto un mercato. A chi inorridisce all’idea che gli olivi vengano bruciati risponde Fernando Carlino, che ha iniziato a trasformare il legno d’olivo in cippato una ventina d’anni fa, quando il legno disponibile era solo quello della potatura: «Ogni estate vanno a fuoco decine di oliveti abbandonati, con grande rischio per animali, case e vigili del fuoco. E un inquinamento incontrollato: gli incendi producono diossina che nei termovalorizzatori, con la combustione a 800 gradi, si disintegra».

©Nicola Zolin 2019

Il futuro cresce nelle serre in cui si selezionano nuove piante resistenti alla xylella, il batterio che in poco meno di dieci anni ha ucciso quasi tutti gli olivi del Salento. Finora solo due varietà sono state certificate come resistenti alla malattia: una è antica, il leccino, l’altra moderna, la F17/Favolosa, selezionata dal Cnr. «Ma due sole varietà non bastano, non possiamo pensare di rilanciare l’olivicoltura locale con così pochi tipi di piante», spiega Giovanni Melcarne, olivicoltore di Gagliano del Capo che è da anni in prima fila nella ricerca di una soluzione all’epidemia. La prima frontiera è stato l’innesto: rami delle due varietà resistenti vengono innestati su tronchi secolari di altri tipi di olivi.

 

Tre anni fa Melcarne ha presentato il primo olio spremuto dal raccolto di piante innestate, ma presto questa strada ha mostrato i suoi limiti: «È una soluzione importante da un punto di vista paesaggistico perché permette di mantenere in vita olivi secolari, ma non è pensabile per una produzione che dia risultati economici accettabili», ammette. Sono di nicchia anche le prospettive di coltivazioni tropicali: «Ci vuole un terreno particolare, e anche l’acqua per l’irrigazione deve avere determinate caratteristiche. In Italia l’avocado, come le altre coltivazioni tropicali, resta una possibilità di nicchia, non una soluzione per una voragine economica come quella provocata dalla xylella».

Davide Pischettola/NurPhoto

Per questo i tecnici del Cnr che si appoggiano ai terreni di Melcarne stanno selezionando nuovi esemplari. «Abbiamo incrociato le due varietà resistenti con le piante tradizionali come la cellina di Nardò», continua Melcarne. «Le abbiamo fatte crescere qualche anno e in questi giorni stiamo inoculando il batterio della xylella». A guidare lo studio è Maria Saponari del Cnr di Bari, che è tra i massimi esperti del batterio. Ha anche partecipato al recente studio che fa risalire la contaminazione all’arrivo di una pianta di caffè dal Costa Rica nel 2008: due anni prima che gli agricoltori notassero i primi segnali di un disseccamento “strano”, e cinque anni prima dell’allarme ufficiale.

 

Questo significa che il batterio ha avuto cinque anni per correre libero nel Salento e oltre, trasportato nelle regioni del Nord dalle ruote delle macchine dei turisti al ritorno delle vacanze. Non solo: da quando è stata dichiarata l’emergenza, dal Salento non si può esportare neanche una foglia di cappero, una perdita enorme per i vivai locali. Per anni però è continuato lo scempio degli olivi sradicati e rivenduti in Norditalia. L’idea che tra il 2008 e il 2013 quegli alberi avrebbero potuto portare la xylella nell’intero Paese mette i brividi, ma evidentemente la Natura era dalla nostra parte. Del resto in California, dove un batterio simile aveva iniziato ad aggredire le viti, per salvare l’industria del vino è bastato spostare le coltivazioni verso Nord.

 

Come le guerre, i terremoti e le altre calamità, anche l’epidemia di xylella ha portato alla luce il meglio del Salento e della solidarietà di tutto il mondo. Alla fine di ottobre conosceremo i vincitori del concorso organizzato dall’Università del Salento e dal gruppo bancario Sella per idee innovative per il rilancio dell’economia e del territorio. Tra i progetti finalisti, adozione a distanza di olivi (Olivami) ma anche riforestazione (XFarms), rilancio della macchia mediterranea (Mirtiko!) e resistenza all’epidemia attraverso il controllo dell’insetto che trasporta il batterio (VAX) o lo sviluppo di microrganismi antagonisti (SIRITA).

 

È già partita invece la sperimentazione del progetto OliveMatrix, sostenuto dalla Coldiretti: un sistema di controllo fatto con sensori e droni collegati a un software finalizzato principalmente alla riduzione del consumo di acqua, un tema particolarmente importante per le nuove piantagioni che hanno bisogno di un’irrigazione continua, a goccia o sotto terra.

 

Intanto la Fondazione Sylva, ideata e presieduta da Luigi De Vecchi, continua a riforestare terreni demaniali incolti che diventano allo stesso tempo verde pubblico, scuola di ecologia, scrigni di biodiversità e bastioni contro la diffusione della xylella. Per questo alberi e cespugli (in un solo anno di vita la fondazione ne ha già piantati 50mila) sono rigidamente scelti tra specie che non rientrano tra quelle colpite dal batterio, che attacca oltre settanta specie, dal mirto alla rosa, dal cisto al pistacchio. L’ultimo progetto realizzato da Sylva sono dieci ettari a Minervino, il prossimo, grande il doppio, sarà a Specchia. «Prima della deforestazione che ha portato alla monocoltura di olivi, il Salento era un’enorme foresta di lecci e querce vallonee», racconta De Vecchi. «Noi cerchiamo di ricreare la biodiversità dando un esempio che speriamo venga imitato. Come stanno facendo le scuole: a Minervino abbiamo spiegato che oltre ai 3500 abitanti del paese stavano per arrivare altri 10mila esseri viventi, gli alberi. E l’entusiasmo dei ragazzi è stato tale che l’associazione Il Veliero, una rete di cinquanta scuole della provincia, ci ha già proposto di ripetere l’esperimento in altri comuni».

 

La morte degli olivi di Puglia ha colpito l’opinione pubblica in tutto il mondo. «Gli esperimenti sulle piante li facciamo in una “screen house” che ci è stata regalata anni fa da una rivista svizzera», ricorda Melcarne. «Un giornalista di Merum era venuto a intervistarci all’inizio dell’allarme. La redazione e i lettori sono rimasti così colpiti dalla storia da raccogliere trentamila euro, con una colletta che ha coinvolto tedeschi, svizzeri e austriaci».

 

Si rivolge ai finanziatori anglofoni invece Helen Mirren nel video girato da Edoardo Winspeare per Save The Olives, associazione portata alla Milano Design Week dall’azienda Natuzzi, che le ha dedicato l’installazione “Germogli". «Ventuno milioni di olivi sono morti», ricorda l’attrice inglese, che ha scoperto il Salento nel 2007, quando la campagna era ancora verde, e proprio negli anni in cui la xylella cominciava a diffondersi ha comprato l’ormai famosa masseria di Tiggiano.

 

Quest’anno è stato particolarmente duro in questa parte del Salento. «La costa tra Leuca a Otranto sembrava essere stata risparmiata», conferma Patrizio Ziggiotti di Save The Olives, «e ora sembra che gli olivi siano stati colpiti tutti insieme». La galoppata verso Nord invece sembra aver rallentato: alberi infetti sono stati trovati a Monopoli e Alberobello, ma a Canosa la strategia di eradicazione ha funzionato, facendo sparire i segni di infezione scoperti due anni fa. È forse la prima volta che si registra il successo di una strategia che fin dall’inizio è stata presentata come unica speranza ma che sembrava arrivare sempre troppo tardi: il batterio resta latente per almeno tre anni, quindi alberi che sembrano indenni possono essere malati e infettivi.

 

«Davvero non capisco perché tra Bari e Brindisi gli olivicoltori tendano a ripetere i nostri errori», si chiede Ziggiotti, «invece di fare quello che noi abbiamo imparato troppo tardi». Delusa finora la speranza di trovare un pesticida in grado di combattere il batterio (ma uno studio promettente sul controverso Dentamed è stato pubblicato in aprile da Nature), l’unica strategia concreta è l’innesto preventivo. «Si prende un olivo ancora sano, lo si pota completamente e si innesta con rami di una delle specie resistenti», spiega Ziggiotti. In due o tre anni la chioma è di nuovo folta: «Per gli alberi millenari tra Brindisi e Bari c’è ancora speranza, ma non si deve perdere tempo».

 

Intanto, a dieci anni dall’allarme per l’epidemia, gli ulivi uccisi dalla xylella conquistano un posto nell’immaginario pop e artistico. A Nardò un campo di olivi secchi è diventato un’opera di “land art” dopo l’intervento di Ulderico Tramacere, che lo ha intitolato “Il campo dei giganti”.  Tronchi rinsecchiti o sformati da potature parziali si incontrano anche nelle immagini che accompagnano una nuova canzone di Giuliano Sangiorgi, a denunciare il contrasto tra ieri e oggi, tra le fronde dei campi del Barese ancora sani e gli scheletri che costellano il Salento.

 

Scheletri che danno una fitta al cuore di chiunque sia cresciuto circondato da quel verde, che fanno pensare ai salentini quello che confida un’amica: «Per fortuna quando gli olivi hanno cominciato a morire, mia madre già non c’era più». Nel video di “Giovani wannabe” dei Pinguini Tattici Nucleari però il tronco secco di un olivo sorregge le effusioni di una coppia in vena di romanticismo: il contrasto non c’è più, la tragedia è passata, il dramma è finito. In fondo è normale, ai ventenni che affollano le discoteche di Ugento e Gallipoli questo paesaggio non fa impressione: loro gli ulivi del Salento li hanno visti soltanto così.