John Landis: «Hollywood è al collasso, ma il cinema sopravviverà. E quel sequel di “Una poltrona per due...”»

L’avanzata dell’estrema destra nel mondo, la Brexit, l’incubo nucleare. E poi il futuro della settima arte e la situazione italiana: «Non vi mancano gli autori, ma i produttori di livello». Parla il regista dei mitici “Blues Brothers”

L’umorismo nella vita è tutto, se non ce l’hai meglio che ti spari subito... Parola di John Landis, cineasta arguto di 72 anni, autore di film-cult sopravvissuti al grigiore del tempo come “The Blues Brothers”, “Animal House”, “Una poltrona per due”, “Il principe cerca moglie” e il celebre videoclip “Thriller” con Michael Jackson. Recentemente ha diretto Arnold Schwarzenegger per doppiare una serie animata (“Superhero Kintergarden”) e ha ricevuto un premio alla carriera al Magna Graecia Film Festival, di cui ha presieduto la Giuria Internazionale.

 

Godard diceva che tutto il cinema è politico: oggi tra terrapiattisti, no-vax e nuove guerre c’è parecchio materiale per il cinema, non trova?
«Non per una commedia, c’è poco di cui ridere, il mondo è diventato un posto assai bizzarro. Siamo sulla soglia di uno scontro nucleare, Putin è pazzo».

 

Concorda quindi con Abel Ferrara che ha detto a L’Espresso che siamo sull’orlo di un olocausto nucleare?
«Molto, ci siamo più vicini di qualsiasi altro momento storico, dal tempo della crisi dei missili cubani. Viviamo un periodo folle e fuori controllo, mi ricorda gli anni Trenta. Il fatto che Putin abbia invaso l’Ucraina non è casuale, poi, è un Paese che produce più del 50 per cento del grano mondiale».

 

L’intervista
Abel Ferrara: «Siamo a un passo dall’Olocausto nucleare ma nessuno parla di pace»
12/8/2022

Il cinema ci salverà?
«Magari, mi piacerebbe, ma sappiamo che non è così. In America abbiamo avuto una serie di problemi con Trump che si ripercuotono tuttora, è spaventoso vedere tanti politici nel mondo più simili ai cartoni dei Looney Tunes che a governanti di spessore».

 

Che cosa la spaventa di questi politici, oltre al fatto che siano spesso ridicoli?
«Mi preoccupa l’avanzata dell’estrema destra nel mondo. Pensiamo all’assurdità dell’Inghilterra con la Brexit, un’idea profondamente stupida che è diventata realtà. Lo trovo allarmante».

 

Torno a dire che un regista di commedie corrosive come lei ne avrebbe di materiale da portare sullo schermo. Perché non lo fa?
«Perché anche ad un regista come me occorrono soldi per girare un film. Persino le piattaforme oggi tremano a rischiare i propri soldi per finanziare i film. Per non parlare della qualità: su Netflix trovi quattrocento film, ce ne fossero due buoni».

 

“Irishman” di Martin Scorsese...
«Martin è un mio caro amico, ce l’ha a morte con i film di supereroi della Marvel, ma è vero, ha collaborato con Netflix. Riguardo alle piattaforme penso questo: è positivo che permettano ai film di circolare in tutto il mondo, ma è triste vedere un film in tv, noi registi giriamo i film pensando al grande schermo con un audio di altissimo livello».

 

Nel frattempo il trend dei sequel al cinema sta andando forte: Top Gun 2 è andato bene in tutto il mondo.
«Non mi sorprende, Jurassic Park è arrivato al quinto capitolo e continua a fare soldi. A me hanno proposto diversi sequel che ho rifiutato, lavorare mi piace, ma i film che mi piacerebbe fare non sono gli stessi che piacciono agli Studios. Mi propongono cose stupide e avendo avuto successi alle spalle non ho voglia di sprecare un solo anno della mia vita».

 

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Ha rifiutato anche il sequel di “Una poltrona per due”?
Certo, la sceneggiatura che mi avevano proposto faceva pena. A me hanno rifiutato di produrre il sequel di “Un lupo mannaro americano a Londra”, dicendo che era troppo forte».

 

Ne farà mai una serie?
«Mi piacerebbe molto, vediamo. Nulla è reale finché non è reale. Mi fa ridere pensare che l’idea mi è venuta quando avevo 19 anni e ancora mi entusiasma. Vampiri e lupi mannari sono idee idiote ma divertenti. E al cinema funzionano».

 

Tornando a “Una poltrona per due”, sa che è un cult amatissimo in Italia?
«Merito della sceneggiatura originale, molto intelligente, l’ho amata a prima vista. Era un tipo di commedia screwball alla Frank Capra che mi divertiva, sono felice abbia divertito anche il resto del mondo».

 

Che cosa prova quando riguarda “The Blues Brothers”?
«Per dieci anni non l’ho più visto, poi qualche mese fa ero a Bologna, insieme a undicimila persone per Il Cinema Ritrovato a piazza Maggiore. L’ho rivisto e ho pensato: Ma guarda che razza di film strano che ho fatto».

 

Che cosa le manca di più di Belushi?
«La sua amicizia. John era divertente e caloroso, gli volevo un gran bene e sono ancora furioso con lui per la stupida dipendenza dalla droga che lo ha ucciso».

 

È stato il pioniere delle metamorfosi al cinema con “Un lupo mannaro americano a Londra”, cosa prova oggi a vedere i tanti film con protagonisti mutanti pronti a trasformarsi?
«Un po’ li invidio: noi ci mettemmo una settimana intera a girare quella scena in ogni minimo dettaglio, oggi con la CGI (computer generated imagery per scene, effetti e immagini creati con un software per computer, Ndr.) è tutto più facile».

 

Il cinema sopravviverà all’avanzata delle serie tv?
«Ma certo, pensiamo a Bollywood che continua a sfornare successi nel mondo, o al mercato cinematografico cinese che è molto florido».

 

E Hollywood come sta?
«È al collasso. Prima c’era una decina di major, studios che di fatto erano industrie prolifiche che producevano film di qualità incredibile. Poi è arrivata la televisione e tutto è cambiato. Andare al cinema è diventato un evento, non so come evolverà, nessuno lo sa, è un caos».

 

Il futuro del cinema secondo Landis? Coraggio, osi una profezia.
«Mi piace pensare a un futuro pieno di giovani talenti. Per i cineasti non ci sono più scuse, oggi è possibile realizzare un film professionale con il proprio cellulare, per questo i talenti che racconteranno storie continueranno a crescere. E il cinema non morirà».

 

Parliamo del cinema italiano. Ha detto più volte di amarlo molto e da sempre, ma anche che i grandi maestri non si sono curati di lasciare eredi. Lo pensa ancora?
«Dai capolavori di Fellini a “I soliti ignoti” passando per i film di Totò ho amato tutto, avete sempre avuto un grande cinema in casa che ha fatto scuola nel mondo. Più che di maestri ed eredi, oggi parlerei dei produttori: dove sono i produttori italiani di qualità del livello di Dino de Laurentiis? Forse sta qui il nocciolo del problema». 

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