Ordinanze per vietare gli alcolici, chiudere i locali o multare i ragazzi. Da Nord a Sud l’obiettivo è evitare che la socialità serale si concentri in aree ristrette, cercando di gestire il fenomeno. Ecco come

A Genova ha vinto la linea dura: in tutta la città, da quest’estate, è vietato passeggiare con una birra in mano dopo mezzanotte. Si può bere solo nei locali o nei dehors, per chi sgarra 500 euro di multa. Nel centro di Trieste la musica va spenta alle 22,30 in settimana e alle 23,30 nei weekend, salvo deroghe, mentre l’alcol d’asporto è illegale dalle 22; a Cervia e Milano Marittima, nella riviera romagnola, addirittura dalle 21. In centro a Lecce basta musica alle 24, in molte località del Salento stop ad alcol e balli alle 2 di notte, e pazienza se sono il succo dell’estate. Tra raccolte firme a Napoli, lettere appello a Messina ed esposti a Palermo, il nemico è sempre lo stesso: la movida.

 

Nella prima estate di pandemia senza limitazioni, l’intera penisola è infatti attraversata da proteste contro il ritorno della vita serale e notturna. «Non ne possiamo più di ubriachi, risse, spaccio, urla», protesta Dina Nascetti del Comitato vivere Trastevere, che sta preparando un class action contro il Comune di Roma: la guerra dell’amministrazione ai minimarket e la promessa di istituire un sindaco della notte non è bastata a calmare gli abitanti. Stesso discorso a Milano, dove un comitato ha chiesto i danni all’amministrazione ispirandosi al successo di iniziative simili a Torino e Brescia. E pensare che quando negli anni ’90 il termine «movida» è entrato nella lingua italiana - ispirandosi al movimento della movida madrileña, nato dopo la caduta del regime franchista – indicava situazioni divertenti e animate. Oggi non è più così, o almeno non solo. A parte città come Trento, Bologna e la stessa Roma che hanno inserito l’economia della notte nell’agenda politica, a monopolizzare i discorsi sono soprattutto le polemiche e i conflitti: da una parte la voglia di divertirsi e fare commercio, dall’altra l’esigenza di riposare per chi abita intorno i locali.

 

Tutti scontenti
«Nella prima fase di pandemia la situazione si era tranquillizzata», spiega Simonetta Chierici, paladina degli antimovida torinesi e fondatrice del “Coordinamento nazionale No degrado e mala movida”. «Ma negli ultimi mesi c’è stata un’escalation pazzesca».

 

Gli spazi all’aperto dei locali si sono infatti moltiplicati ovunque, e a Torino poco è servito il divieto di alcol d’asporto dopo le 21 nei quartieri più movimentati. Anche nel centro storico di Genova - dove il divieto in vigore da un anno dopo le 24 è stato esteso in tutta la città - le proteste dei residenti non si sono mai fermate. Anzi, i limiti hanno creato malumori pure tra commercianti e frequentatori della movida.

 

«Quello che accade dopo le 24 ormai è un tabù», protesta Lorenzo Azzolini di “Genova dopo che osa”, associazione che ha portato in piazza centinaia di giovani a favore della vita notturna. «Si consente solo il consumo in chiave commerciale, con una visione superata della città». «Prima di pensare alla repressione bisogna chiedersi quali sono le alternative», attacca Fabio Parodi, 31 anni, barista della Negroneria genovese e vicepresidente della rete Contatto Genova. «Dopo la pandemia, i club notturni sono scomparsi e i piccoli eventi culturali pure. Noi gestori teniamo vivo il centro storico e siamo accusati di portare degrado». Fa un discorso simile Paolo Sassi, titolare del Leccomilano a Milano, locale simbolo della movida di Porta Venezia e protagonista del Milano rainbow district. «Gli abitanti ci odiano, ma si dimenticano che grazie alla movida i loro appartamenti hanno raggiunto un valore di 8mila euro al metro quadro».

 

L’urbanista: “Regole condivise” 
Secondo il professor Luca Tamini, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, la capacità della movida di rigenerare i quartieri è indubbia, come quella di creare conflitti. «E infatti non bastano le ordinanze di divieto. Serve un intervento integrato, tra pubblico e privato», spiega. «Bisogna coinvolgere commercianti, abitanti e frequentatori dei locali, parlare di mobilità, acustica, occupazione dello spazio pubblico». Trattandosi di un fenomeno spontaneo per il professor Tamini la movida è difficile da pianificare, e infatti non è semplice spostarla in aree dove non possa dare fastidio. «Ma si può gestire», assicura. «Sappiamo che i dehors producono un terzo di rumore rispetto ai tavolini. E ci sono strumenti per migliorare l’impatto sui quartieri: fonometri che avvisano quando c’è troppo rumore, la climatizzazione dei locali per favorire la permanenza all’interno, la presenza di steward, una gestione condivisa dei rifiuti, l’unione tra locali per ripensare lo spazio pubblico».

 

Sperimentazioni così sono già in corso a Milano, dove i 17 locali del Milano rainbow district si sono dotati di steward, ma esistono anche strategie di “riduzione del danno”. A Torino il progetto Pin dell’Asl prevede un camper nelle piazze per misurare il tasso alcolemico, fornire acqua e informazioni su alcol, droghe e sesso, oltre a organizzare spettacoli di artisti per sensibilizzare. A Firenze esiste una “chill out”, ovvero uno “spazio di decompressione” dove rilassarsi e ricevere aiuto in un momento di difficoltà dopo l’uso di alcol e droghe. A Napoli l’Università Federico II e il Comune hanno sperimentato incontri notturni con un team di psicologi. «Molti minorenni stanno scoprendo una socialità deformata dal Covid-19 e dalla comunicazione digitale», spiega la professoressa Maria Clelia Zurlo, docente di Psicologia Dinamica all’Università Federico II. «E tutto questo senza mediatori culturali come il cinema, il teatro, i concerti. La movida è diventata un fenomeno di massa, estremo, è facile che degeneri. Bisogna evitare che migliaia di ragazzi si incontrino solo per bere».

 

“Vent’anni di stretta”
Il sociologo Enrico Petrilli, assegnista di ricerca alla Bicocca di Milano, autore di “Notti tossiche” (Meltemi, 2020), si spinge oltre: le tensioni legate alla movida sono anche l’effetto delle politiche di securitizzazione della notte. «La distruzione della vita notturna è frutto di vent’anni di attacchi verso questo genere di locali e di chi li frequenta», spiega. Petrilli individua i germogli della movida odierna con la reazione repressiva verso le stragi del sabato sera: dall’inizio degli anni Duemila lo Stato ha infatti emanato leggi restrittive sulla guida in stato di ebbrezza - utili come deterrente - senza però prevedere una mobilità alternativa in orario notturno. «E così la vita notturna si è concentrata nel luogo più facile da raggiungere: il centro». Ma mentre la socialità serale da movida si basa «sul consumo di alcol e cibo, in spazi ristretti che danno problemi di ordine pubblico», la socialità notturna comprende anche cultura, musica live e performance di artisti. Ed è per questo che in una economia della notte che va dalle 18 alle 6, secondo Petrilli, bisogna supportare l’offerta di club e discoteche nella fascia dalle 24 alle 6, perché aiutano a far «abbassare la pressione» nei quartieri della movida.

 

Il sindaco della notte
Questi temi entrano nell’agenda politica in casi rari. A Roma la nomina del sindaco della notte sembra imminente, a Trento esiste già da un anno: è la 25enne consigliera comunale Giulia Casonato. «Lavoro con i locali e la comunità studentesca. Insieme abbiamo creato una nuova movida all’interno di un parco, in modo da non dare fastidio ai residenti», racconta.

 

Mostra interesse al tema anche la vicesindaca di Bologna Emily Clancy, 31 anni, che studia le città attive 24 ore con un’economia della notte molto sviluppata, come New York, Amsterdam o Londra, e le confronta con quelle ancorate a una vita di 18 ore, con un buco di attività tra le 24 e le 6. «Una città delle dimensioni di Bologna, europea e universitaria, deve mescolare i due modelli», spiega. In autunno, Bologna comincerà un percorso partecipato con i protagonisti della vita notturna (dai commercianti ai residenti, dalle forze dell’ordine alle attività culturali), per arrivare a un “Piano sulla notte” che individui la figura che se ne occupi. Potrebbe essere un delegato del sindaco, una figura del mondo della cultura, oppure una consulta. «Davanti ad attività notturne in gran parte a gestione privata, le amministrazioni devono cercare un bilanciamento degli interessi in gioco», spiega Clancy. «Il conflitto è presente, perché sinora i problemi della notte sono stati messi sotto il tappeto. Ma finché una politica non è impostata, è difficile regolarla».