La grande raffineria siciliana eviterà la chiusura grazie alle forniture garantite dalla multinazionale delle materie prime. Che negli anni scorsi ha concluso contratti miliardari per rivendere il greggio di Mosca sui mercati internazionali

Tutte le strade portano a Trafigura. C’è il colosso mondiale delle materie prime dietro il groviglio di affari che parte dalla Russia di Vladimir Putin e lega in un’unica trama, una trama nera come il petrolio, due grandi raffinerie distanti seimila chilometri l’una dall’altra.

 

Si parte da Priolo, non lontano da Siracusa, e si arriva a Varinar, sulla costa occidentale dell’India. L’impianto siciliano lavora il 20 per cento di tutto il greggio che approda in Italia ed eviterà la chiusura grazie alle forniture garantite da Trafigura, dopo che i russi di Lukoil sono stati costretti a farsi da parte, causa sanzioni internazionali. Sulle rive dell’Oceano Indiano la scena si è ribaltata. Qui Trafigura ha venduto una quota del 25 per cento circa del capitale e si è allontanata dai suoi tradizionali alleati con base a Mosca. È così entrato in scena un nuovo azionista, l’italiano Filippo Ghirelli, che si è messo in società con il gruppo Rosneft guidato da Igor Sechin, vecchio sodale di Putin.

 

Le due operazioni sono state annunciate tra il 9 e l’11 gennaio, a poche ore di distanza l’una dall’altra. «Una pura coincidenza», taglia corto Ghirelli, 42 anni, residenza a Montecarlo, uffici in Svizzera e a Roma, noto alle cronache più che altro per svariate iniziative nel campo dell’energia sostenibile. In India però il nuovo azionista di Nayara Energy, questo il nome della società indiana, punta sui carburanti tradizionali, investendo in uno stabilimento, tra i più grandi di tutta l’Asia, capace di raffinare fino a 20 milioni di barili di petrolio all’anno e forte di una rete di oltre seimila distributori di benzina. «In realtà - sostiene Ghirelli - il nostro obiettivo è partecipare alla riqualificazione energetica dell’impianto, dal recupero del calore allo sviluppo di bioplastiche». Un programma ambizioso. E a lungo termine. Trafigura invece è riuscita da subito a tagliare i ponti con suoi soci russi, compagni di strada imbarazzanti dopo l’invasione dell’Ucraina e le sanzioni economiche contro il regime di Putin.

Jeremy Weir, ad di Trafigura

Negli anni scorsi la multinazionale del trading con sede a Ginevra e Singapore era diventata il principale partner di Rosneft, un’intesa cementata da innumerevoli affari in giro per il mondo. La flotta di Trafigura trasportava il petrolio russo in ogni angolo del pianeta, ma soprattutto verso l’Europa. Ai rapporti commerciali si sono poi aggiunte iniziative comuni anche in campo industriale, dalla raffinazione alla ricerca e allo sfruttamento di nuovi giacimenti. L’intesa aveva fatto un salto di qualità nel 2015, quando il gruppo di Sechin, finito nella lista nera europea dopo l’invasione della Crimea dell’anno precedente, aveva ottenuto proprio da Trafigura nuova liquidità per oltre un miliardo di euro sotto forma di pagamenti anticipati per forniture di greggio.

 

L’embargo deciso l’anno scorso dai Paesi occidentali ha costretto tutti i grandi trader internazionali a cambiare rotta. Il greggio di Mosca però non è scomparso dal mercato. In parte ha trovato nuovi sbocchi in Asia e un flusso tutt’altro che trascurabile ha continuato a raggiungere l’Europa anche grazie a complicate triangolazioni in cui però Trafigura, più volte tirata in ballo, ha sempre negato ogni ruolo. Il calo in volume dei traffici è stato comunque ampiamente compensato dal boom dei prezzi delle materie prime in generale, dagli idrocarburi fino ai metalli.

 

Il bilancio 2022 del gigante del trading si è così chiuso con numeri da record: i ricavi sono esplosi a quota 318 miliardi di euro, oltre il 50 per cento in più dell’anno precedente e il migliaio circa tra azionisti e trader del gruppo, guidati dall’amministratore delegato Jeremy Weir, si sono spartiti circa 1,7 miliardi dividendi (oltre un milione di euro ciascuno, in media) su profitti complessivi per 7 miliardi.

 

Dopo l’invasione dell’Ucraina, però, Trafigura non ha potuto fare a meno di prendere le distanze dai tradizionali alleati di Mosca anche su altri fronti. La ritirata strategica dal mercato russo è stata avviata con la vendita della partecipazione del 10 per cento nella Vostok Oil, una società controllata da Rosneft nata per sfruttare le immense risorse petrolifere nascoste nel sottosuolo delle regioni artiche. A dicembre del 2020 il colosso del trading aveva sborsato ben 7 miliardi di dollari (circa 6 miliardi di euro) per partecipare all’affare, benedetto da Putin in persona. Nel luglio scorso, a meno di due anni dalla firma di un accordo che fece grande scalpore negli ambienti diplomatici e finanziari, una società di Hong Kong costituita solo pochi mesi prima ha preso il posto di Trafigura al fianco dei soci russi nel capitale di Vostok Oil. I dettagli finanziari dell’operazione non sono stati resi noti. In sostanza, non è chiaro quanto l’acquirente abbia pagato le azioni e neppure tempi e modi del saldo. Mancano informazioni precise anche sul disimpegno dalla raffineria indiana. Si sa che l’affare è transitato dal Lussemburgo. Nel paradiso fiscale del Granducato ha sede la Hara capital, che per conto di Ghirelli ha rilevato la quota del 25 per cento circa ceduta da Trafigura. A quale prezzo? «No comment», replica l’imprenditore italiano che spiega soltanto di essersi finanziato «sui mercati internazionali». L’unico dato certo è che le azioni passate di mano erano iscritte nel bilancio del venditore per 165,9 milioni di dollari e che, come recita un comunicato ufficiale, la transazione ha ricevuto tutti i via libera necessari da banche e autorità.

 

Il controllo del grande impianto asiatico, che ha il doppio circa della capacità di raffinazione di Priolo, rimane comunque in mani russe. Oltre a Rosneft, il principale fornitore di greggio, con una quota del 49,5 per cento, a libro soci troviamo anche una partecipazione del 25 per cento circa che fa capo al gruppo moscovita Ucp guidato dal finanziere Ilya Scherbovich, da sempre legato al Cremlino e in particolare a Sechin.

 

La raffineria di Varinar, in posizione strategica sulla costa nordoccidentale dell’India, ha grandi prospettive di crescita. Come detto, per effetto delle sanzioni, buona parte del petrolio siberiano un tempo destinato all’Europa ha preso la via dell’Asia. Priolo invece è stata costretta ad affrontare il problema opposto: la scarsità di greggio da raffinare una volta esaurite le forniture di Lukoil, azionista unico dell’impianto messo fuori gioco dall’embargo deciso da Europa e Stati Uniti. Peggio ancora, le banche creditrici, in prima linea Unicredit e Intesa, avevano chiuso i rubinetti dei prestiti, nel timore di finire a loro volta nella lista nera delle sanzioni americane in quanto finanziatrici di una società controllata da Mosca.

 

Per scongiurare il crac serviva al più presto un nuovo socio che prendesse il posto di Lukoil. Nelle settimane scorse è così arrivata dagli Stati Uniti l’offerta del fondo Crossbridge, mentre il governo di Roma era pronto a nazionalizzare temporaneamente la raffineria come ultima ratio per evitare una chiusura che avrebbe lasciato senza lavoro oltre 3 mila persone, tra dipendenti diretti e indiretti. Alla fine, a sorpresa, l’ha spuntata un fondo d’investimento di Cipro, Argus New Energy, che si è fatto avanti tramite la propria controllata, Goi Energy, anche questa con base nell’isola del Mediterraneo, centro offshore per eccellenza della finanza russa.

 

La nota ufficiale che ha annunciato l’operazione non ha fornito alcuna indicazione sul prezzo pagato dagli acquirenti. Un fatto è certo, però: Trafigura si è impegnata a rifornire di greggio l’impianto siciliano e provvederà anche a rivendere i prodotti petroliferi una volta raffinati. Questo è quanto prevede l’accordo siglato nei giorni scorsi. In altre parole, usciti di scena i russi, sarà la multinazionale del trading, antica alleata di Mosca, a garantire un futuro a Priolo. Per comprendere i reali equilibri tra le forze in campo basta un particolare. Al posto di comando del fondo Argus New Energy c’è Michael Bobrov, un manager che fino a settembre lavorava in Israele per Trafigura. Il mondo è piccolo.