In mostra a Londra proiezioni e animazioni per raccontare il pittore britannico.Tra polaroid e passione per le tecnologie

Più di qualcuno aveva storto il naso quando David Hockney, il più importante pittore britannico, aveva iniziato a dipingere prima con l’iPhone e poi con l’IPad, ma lui di complessi e imbarazzi non ne ha mai avuti. E così come non si è fatto alcun problema qualche mese fa a presentarsi al sontuoso ricevimento annuale di Buckingham Palace per l’Ordine al merito in ciabatte gialle («che belle calosce David», gli ha detto il padrone di casa Re Carlo, «danno un tocco di colore alla serata»), con l’utilizzo di un’app per dipingere ha spiegato al mondo che l’arte deve comprendere la tecnologia e sfruttarla.

 

E allora quando la 59 Productions e la London Theatre Company hanno deciso di dare vita a Londra a un nuovo spazio per spettacoli immersivi, Lightroom, è venuto naturale chiedere a Hockney di inaugurarlo con un’esposizione che tra proiezioni su larga scala e animazioni ci racconterà la vita e la tecnica del Maestro nato a Bradford 85 anni fa. Sarà la voce di Hockney a guidarci in un percorso che partirà proprio dai primi anni passati nello Yorkshire, quando il padre lo porta spesso nei musei che da quelle parti però si limitano a collezioni di quadri vittoriani. I suoi punti di riferimento da ragazzo sono Matisse e Picasso: il primo per il colore, il secondo per il tratto. La sua agognata iscrizione al Royal College of Art deve aspettare due anni, perché è costretto a prestare servizio presso un ospedale: come da tradizione di famiglia infatti è obiettore di coscienza e si rifiuta di svolgere il servizio militare (non così scontato negli anni ’50).

 

Sosteneva di essere cresciuto tra Bradford e Hollywood per la quantità di cinema americano che vedeva da ragazzo e proprio per questo decide a metà degli anni ’60 di trasferirsi a Los Angeles. Quella decisione cambierà completamente lo stile di Hockney, che fa della luce della California il suo principale alleato: i suoi quadri diventano una sorta di miraggio del sogno americano, con prati verdi e curatissimi, il mito della forma fisica, le ville. Soprattutto, le piscine: ne dipingerà una ventina nel corso della sua vita e quello diventerà il suo tratto distintivo, la serie più iconica. La sua pittura ci restituisce scene di vita anche molto drammatiche, attraverso una sorta di minimalismo teatrale.

 

Lavora anche per il teatro, realizzando scenografie per l’opera e per il balletto che vedremo riprodotte da Lightroom. Sperimenta poi con la fotografia, iniziando quasi per caso: scatta alcune polaroid a una villa che avrebbe voluto dipingere, e una volta assemblate per cominciare il lavoro pittorico, capisce che questo medium aveva una dignità tutta sua. Diventa uno dei pittori più acclamati (nel 2018 è suo il record, con quasi 91 milioni di dollari, dell’opera d’arte più costosa di un artista vivente) e i suoi quadri vengono contesi dai grandi musei del mondo e amati dal pubblico, perché capaci di una luce nuova, raggiante nelle primavere, cristallina nella trasparenza dell’acqua, sfavillante nei paesaggi. Non poteva esserci titolo migliore per questa sua nuova avventura: “Bigger & Closer (not smaller & further away)”, asserzione che ha il sapore quasi di uno sfottò al mondo dell’arte che si allontana dal pubblico. Ci sono voluti tre anni per prepararla e dal 22 febbraio sarà finalmente visitabile, in quattro piani e sei capitoli. Oltre alla voce di Hockney, troveremo una partitura composta appositamente da Nico Muhly. L’unico commento arrivato finora da Hockney sulla mostra ci dice che «il mondo è bellissimo se lo guardi, ma la maggior parte delle persone non lo fanno: puntano gli occhi a terra mentre camminano senza guardare davvero le cose con intensità. Io voglio ribaltare questa attitudine».

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