Il genere musicale nato in Algeria entra nel Patrimonio immateriale dell’umanità. La canzone più famosa è un inno all’amore e ai diritti delle donne musulmane. Cantato da Cheb Khaled ma scritto da un ebreo francese. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale arabo-islamica

Bellissima canzone, “Aicha” di Cheb Khaled. Tanto bella da meritare un posto nel Patrimonio immateriale dell’umanità stabilito dell’Unesco. Stiamo esagerando, ma non di molto: perché quella canzone del 1996 è l’esempio più famoso in tutto il mondo del genere musicale chiamato “ raï ” (con la i allungata), una creazione fondamentale della cultura araba del Novecento.

 

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Come spesso succede quando si parla di mondo arabo, sulla sua origine c’è una competizione tra due stati, Algeria e Marocco (che tornano, curiosamente, nella biografia di Cheb Khaled, nato in Algeria ma naturalizzato marocchino). La candidatura l’ha presentata l’Algeria, forte del fatto che Orano – la città della “Peste” di Albert Camus – che ha dato i natali a molti protagonisti del genere musicale, è considerata la capitale del raï e organizza il festival più importante. La decisione però è stata presa in Marocco, a Rabat, dove si è riunito a dicembre il Comitato intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.


L’Unesco definisce il raï “canto popolare algerino”. Nato alla fine dell’Ottocento, si è diffuso tra le tribù nomadi ed è diventato particolarmente popolare dopo l’indipendenza dalla Francia, nel 1962. Raï significa “la mia opinione” e in effetti queste canzoni hanno spesso nascosto dietro al ritmo sinuoso e ai virtuosistici vocalizzi non solo temi esistenziali (l’amore) ma anche sociali (la lotta contro il colonialismo, la libertà contro i tabù della società islamica). La rivista Africa spiega che «dal punto di vista musicale, il raï proviene dall’incontro nel porto di Orano delle culture sefardite spagnola, francese, araba, africana ed ebraica. Diventa così la musica dei souk, dei bar e delle case chiuse del porto algerino, dove il genere musicale si evolve rapidamente in fusioni».


Cercando i nomi più famosi, si passa dagli anni Trenta (Hachemi Bensmire e Cheikh Khaldi) agli anni Ottanta, quando oltre a Khaled si fanno notare la cantante Cheika Remitti e il gruppo Raïna Raï. Negli anni Novanta, quando in Algeria scoppia la guerra civile, il raï attira l’attenzione degli islamisti: nel 1994 viene ucciso il cantante Cheb Hasni, l’anno dopo viene assassinato il produttore Rachid Baba Hmed.


Ma tornando ad "Aicha", è un successo mondiale che ha conosciuto decine di incisioni diverse. È stata cantata in versione salsa, rock, a cappella. L’originale francese è stato tradotto – oltre che in arabo da Khaled che nella sua incisione alterna le due lingue – in urdu, in turco, in inglese, in serbo, in polacco, in malese… Ce n’è una versione ebraica e una islamica, con ritmo e musicalità più tradizionali. È bello che la canzone più famosa del raï parli, seppure in maniera simbolica e poetica, di una rivendicazione di diritti della donna. Nel testo, un uomo promette alla ragazza dei suoi sogni perle, gioielli, oro, frutti pregiati e la sua stessa vita, e poi poemi, musiche celestiali, perfino i raggi del sole. Ma lei gli risponde: «Tieni per te i tuoi tesori, io valgo molto di più. Le sbarre di una gabbia sebbene di oro, sono pur sempre sbarre. Voglio gli stessi diritti che hai tu, voglio il rispetto ogni giorno, voglio solo l'amore».


Questo inno al fascino femminile è anche un omaggio ai grandi classici degli anni Sessanta, dal Brasile al Belgio: richiama la malinconia della ragazza che passa davanti al poeta e non lo nota mai di “Garota de Ipanema” di Vinicius de Moraes e Antonio Carlos Jobim («Guarda che cosa bellissima / piena di grazia / è la ragazza / Che viene e che passa / ancheggiando dolcemente, cammina verso il mare») ma anche le promesse iperboliche di Jacques Brel in “Ne me quitte pas” («Io ti regalerò / perle di pioggia / venute da paesi / dove non piove mai. / Io scaverò la terra / anche dopo la mia morte / per ricoprire il tuo corpo / d’oro e di luce / e creerò un regno / dove l'amore sarà re, / dove l'amore sarà legge, / dove tu sarai regina»).

 

Nella strofa finale però c’è una rivendicazione di autonomia femminile e di diritti della donna che era strettamente legata alla situazione politica algerina degli anni Novanta ma non è meno attuale oggi. “Aicha” è un inno alla libertà delle donne arabe musulmane che – potere della musica - non perde niente della sua forza anche quando scopri che l’autore è in realtà è un ebreo francese: il cantautore Jean-Jacques Goldman, amatissimo in patria ma poco conosciuto nel resto del mondo.

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