Il lavoro dell'Espresso su sessismo e discriminazioni nel mondo dell'advertising continua a far parlare. E molte società si espongono. Across: «Sbagliammo, ora ambiente inclusivo». Tonetti, ex Was: «Denunciai io l’esistenza della chat». E il nostro lavoro non finisce qui, inviateci le vostre segnalazioni

La copertina che L’Espresso ha dedicato la scorsa settimana a un’inchiesta esclusiva su sessismo e discriminazioni nel mondo dell’advertising italiano ha scosso l’intero settore: le reazioni non mancano e, per quanto possibile, si corre ai ripari.

 

«La condivisione online dell’inchiesta è stata enorme, ma ha fatto breccia solo nei profili di junior, stagisti e middle. Nessun ceo o direttore ha speso una parola su quanto è stato rivelato e questo denota l’ambiente malato. Nessuna agenzia, da quello che sappiamo, ha fatto qualcosa, anche i clienti tacciono», fa sapere Tania Loschi, del collettivo Re:B, che continua a raccogliere segnalazioni. 

 

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Una delle aziende citate nell’articolo, Across, di Torino ha inviato a L’Espresso una lunga nota, per ribattere alle tesi sostenute dalle fonti, prendendo le distanze da chat e iniziative svolte da dipendenti al di fuori dell’azienda. Il ceo Sergio Brizzo chiarisce anche «che in passato era stato aggiunto alla chat (su WhatsApp, ndr) da persone terze, ne è uscito volontariamente condannando e dissociandosi da quel genere di contenuti e affermazioni». «Across –  spiega la nota –  ammette con trasparenza e profondo dispiacere l’esistenza in passato di una chat presente sui sistemi aziendali – la piattaforma Skype, precisamente – in cui venivano condivisi commenti inappropriati». Secondo Brizzo la faccenda non sarebbe caduta nell’oblio ma lui stesso «ha convocato una riunione ufficiale con tutti gli appartenenti alla chat in cui ha comunicato la chiusura e ha diffidato chiunque a reiterare quel generare di comportamenti sul luogo del lavoro». Across, che si dichiara «parte lesa» in relazione all’esistenza di altre chat, cita anche un’indagine interna sul gradimento da parte dei dipendenti. Brizzo conclude: «Come fondatore e ceo di Across voglio scusarmi profondamente per quanto accaduto in passato nella chat aziendale, è stato un grave errore di cui mi sono già assunto le responsabilità e di cui mi scuso. Dalla comprensione della gravità di quanto accaduto, ho impegnato tutte le energie e le risorse della società per costruire un luogo di lavoro sano, positivo e inclusivo».

 

Attraverso i propri legali, l’ex account manager di Was, Paola Tonetti, pur confermando i contenuti della vicenda, si ritiene chiamata in causa in modo inesatto e tiene a precisare di avere avuto un ruolo attivo nel denunciare la vicenda ai piani alti dell'azienda. A quanto risulta a L’Espresso, in effetti, Tonetti ha comunicato nel 2017 per mail l’esistenza della chat ai tre ceo di We are social, Gabriele Cucinella, Stefano Maggio e Ottavio Nava. Da quel momento in poi, però, la segnalazione non avrebbe avuto seguito. Del resto, è lo stesso Cucinella in un’intervista rilasciata a Repubblica il 23 giugno 2023, pur non nominando Tonetti, a confermare la ricostruzione. Il ceo racconta di aver ricevuto la segnalazione della collega, non controllando però in prima persona i contenuti della chat sessista. Lui e gli altri due ceo non presero provvedimenti nei confronti dei membri del gruppo. La chat, come raccontato da un partecipante a L’Espresso, si svuotò una mattina all’improvviso ma solo dei big. Il testimone sentito da L’Espresso aveva attribuito la soluzione precipitosa ai rapporti tra Tonetti e uno dei membri della chat. Un’ipotesi che Tonetti, sempre tramite i legali, smentisce seccamente ritenendo lesiva della sua onorabilità anche solo l'idea che possa avere avuto un interesse a silenziare il caso. Come testimoniato dalla mail con cui sollevò la questione davanti ai responsabili dell'azienda. Anche Was si è rivolta a un legale, sostenendo che i comportamenti descritti dalle fonti a L’Espresso non corrispondono al vero e contestando presunti comportamenti sessisti attribuiti a Nava.

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Le segnalazioni di molestie sui luoghi di lavoro continuano ad arrivare anche a #lavoromolesto, lo spazio anonimo di denuncia de L’Espresso con lo scopo di combattere ogni genere di discriminazione sui luoghi di lavoro. «Avevo 28 anni e lavoravo in una gioielleria. Il capo un giorno è arrivato all’improvviso. Mi ha abbracciata da dietro, sfiorandomi il seno. Mi ha messa al muro. “Perché?”, mi chiedevo: “Perché fa così?”, “Non sono brava abbastanza?”. Quando ho chiesto spiegazioni, lui si è giustificato dicendo che erano coccole. Come quelle che dava al suo cucciolo di cane. Io me ne sono andata». Così racconta una lettrice. E un’altra: «Ricordo un collega che mi disse: “Se hai voglia di provare qualcosa di nuovo perché non vieni qui sotto al tavolo?».

 

Molestie e non solo. «Ho 43 anni, un dottorato, e 16 anni di esperienza. Ora, di certo non mi faccio chiamare “dottore”, nemmeno “dottoressa”, ma non accetto “dolcezza”, “tesoro”, “ciccia”, “bella di casa”. Non accetto neanche che venga invaso il mio personale spazio fisico con mani sulle spalle che fanno un “massaggino” perché ho sbuffato per lo stress. Non accetto nemmeno che a una collega di 55 anni dicano: “Ma metti i fuseaux all’età tua? C’hai er culo che fa provincia!”. E giù sghignazzi mentre la collega con una risata avalla un comportamento becero», racconta una lavoratrice che è rientrata in Italia dopo un lungo periodo negli Usa.

 

#lavoromolesto ha preso forma il 25 novembre del 2021, con l’obiettivo di promuovere un cambiamento con un occhio di riguardo a lavoratrici e lavoratori vittime del pensiero maschilista dominante. Per condividere le vostre esperienze scrivete a dilloallespresso@lespresso.it e noi pubblicheremo tutto. Perché è ora di rompere il silenzio.