Shoah
«Il 16 ottobre 1943 e quello zelo dei poliziotti fascisti nel rastrellare gli ebrei di Roma»
Ottant'anni fa l'operazione che costò la vita a più di mille persone spedite nei campi di sterminio. Parla la storica Anna Foa, tra i massimi esperti dell'occupazione nazista in Italia. E racconta il ruolo delle SS ma anche la solidarietà diffusa da parte dei non ebrei
La verità di quel giorno, il 16 ottobre 1943, è inchiodata a pochi numeri. Freddi e impietosi. A poco più di un mese dall’inizio dell’occupazione nazista, alle prime luci del mattino, gli ebrei di Roma vengono rastrellati casa per casa, portati in strada e poi deportati: 1259 persone - 689 donne, 363 uomini e 207 bambini - vengono strappate dalle loro abitazioni, dal loro lavoro, dalla loro vita. Per quasi tutti si apriranno le porte dei campi di concentramento, solo in 16 faranno ritorno nella capitale. È la razzia degli ebrei di Roma. Anna Foa, storica, già docente di Storia moderna a La Sapienza di Roma, autrice di opere sulla storia degli ebrei in Europa e in Italia, è tra i massimi esperti sull’argomento. Oltre ai tanti saggi, qualche anno fa raccontò in un libro struggente la vicenda di una casa e dei suoi abitanti nel quartiere ebraico, “Portico d’Ottavia 13” (Laterza). A ottant’anni da quel giorno, torniamo a riflettere su quei fatti.
Professoressa Foa, sappiamo tutto del 16 ottobre 1943?
«Come storica, non affermo mai di sapere tutto sui fatti storici. Possono emergere dai cassetti nuovi documenti, nuovi fatti sconosciuti, rimasti nascosti per decenni. Dettagli conservati dalle famiglie, storie di salvezza o di denuncia. In altri casi è già accaduto, anche a distanza di secoli. Qualche anno fa, ad esempio, con Lucetta Scaraffia abbiamo raccontato nel libro “Anime nere” (Marsilio editore, ndr) la storia di Celeste Di Porto, giovane ebrea amante di un fascista, che aiuta a scovare nel quartiere ebraico i suoi stessi vicini di casa, che con disprezzo la chiamano “Pantera Nera”. E la storia di Elena Hoehn, una ricca donna tedesca nella città liberata viene accusata di spionaggio, colpevole di aver dato rifugio a un carabiniere ricercato per aver arrestato Mussolini dopo la sua destituzione».
Dagli studi recenti è emerso qualche fatto rilevante sulla razzia degli ebrei di Roma?
«Negli ultimi anni Sara Berger, la storica tedesca specializzata nella storia dei campi di sterminio e della persecuzione nazista in Italia, ha messo in luce chi fossero i nazisti ad aver effettuato la razzia del 16 ottobre 1943. E chiarisce alcuni punti: ad esempio Theodor Dannecker, specialista dei rastrellamenti di ebrei, per realizzare l’operazione a Roma si è dovuto appoggiare a un gruppo di soldati SS non abituati ai rastrellamenti».
Cosa ci insegna questa vicenda?
«Quel giorno a Roma ci fu una grande unità. Un sentimento di solidarietà diffusa da parte dei non ebrei, a differenza dal periodo successivo alla promulgazione delle leggi razziali, nel 1938. La gente si mobilitò per salvare i vicini di casa affacciandosi dai balconi, alle finestre. È un pezzo significativo di storia romana, non solo ebraica. Quella di Roma è la prima razzia a essere coordinata direttamente dai nazisti. I fascisti organizzarono gli elenchi, quartiere per quartiere, furono particolarmente zelanti i poliziotti fascisti e Raffaele Alianello, il commissario di pubblica sicurezza che in seguitò compilò le liste dei condannati per le Fosse Ardeatine. Dopo il 16 ottobre, la maggior parte degli arresti viene effettuata da bande di fascisti agli ordini diretti di Herbert Kappler, non dei nazisti. E poi nella caccia all’ebreo è fondamentale il ruolo dei fascisti della Repubblica di Salò, quando gli ebrei vengono considerati stranieri e gli arresti si intensificano».
C’è chi ha rilevato analogie con il passato, di fronte alla recente strage del kibbutz di Kfar Aza, in Israele, oltre duecento persone uccise dalle milizie di Hamas, tra cui 40 bambini. Cosa ne pensa?
«Non c’è nessun rapporto tra i due fatti, dal punto di vista delle modalità. A Roma il 16 ottobre gli ebrei vengono rastrellati, non vengono aggrediti. Certo, poi verranno deportati nelle camere a gas, l’80 per cento di loro non farà mai ritorno. La strage di Hamas ricorda piuttosto i pogrom o il massacro di Babij Jar, in Ucraina durante la seconda guerra mondiale, dove decine di migliaia di ebrei furono trucidati e gettati nelle fosse comuni».