L’intervento dell’Anac sul Partenariato sgombera il campo sull’utilizzo dei finanziamenti europei per la realizzazione di infrastrutture, a partire dagli stadi. Ed è un'occasione che può contribuire al buon uso dei fondi

Qualche settimana fa l’Anac ha deliberato che nelle operazioni di Partenariato pubblico-privato (Ppp), gli investimenti europei a fondo perduto (grants), a differenza dei prestiti onerosi con obbligo di restituzione da parte dello Stato (loans), non rientrano nel novero dei contributi pubblici e quindi questi ultimi possono superare di fatto il 49% del costo dell’investimento complessivo (off balance) per la realizzazione di un’opera.

 

Ciò serve a cambiare completamente il paradigma del Partenariato che da strumento controverso di attrazione di risorse private (che ha avuto uno scarsissimo successo negli ultimi venti anni) diventa un formidabile strumento di attrazione di progettualità, know how e competenze, in un momento storico in cui le pubbliche amministrazioni non riescono a stare al passo con le opportunità del Pnrr ed hanno subito un drastico ridimensionamento del personale, specie di quello più esperto e qualificato non solo per effetto dei pensionamenti. Con gli attuali organici degli enti pubblici, e senza operazioni associative, sarà davvero impossibile portare a termine quanto il Paese si è impegnato a fare nei confronti dell’Unione Europea, viste peraltro le rigorosissime regole di rendicontazione.

 

Il Partenariato è una forma di cooperazione mista, con l’obiettivo di finanziare, costruire e gestire infrastrutture o servizi di pubblica utilità che attraverso una vasta gamma di modelli e metodologie attuative può essere utilizzato in tutti quei casi in cui il settore pubblico intenda affidarne al privato le varie fasi. Il Partenariato è insomma tutto quello che non è appalto pubblico in cui la pubblica amministrazione è meramente passiva. L’operazione economica, come oggi la definisce il nuovo codice dei contratti pubblici, può essere di tipo contrattuale (concessioni, finanza di progetto, locazioni finanziarie, contratti di disponibilità e di efficientamento energetico) oppure istituzionale (società miste, consorzi, fondazioni per i relativi affidamenti in house). Il partner privato è posto così nelle condizioni di fornire le proprie abilità progettuali, manageriali, commerciali ed innovative, ottenendone un ritorno economico sui ricavi.

 

La fenomenologia ha rappresentato negli ultimi anni una macro-questione assai controversa, su cui i governi, l’opinione pubblica ed i media hanno avuto posizioni contrastanti e talora conflittuali anche perché pone una serie di criticità funzionali e si presta a posizioni ideologiche. Se si guarda, ad esempio, al fenomeno della concessione ed alle cosiddette opere calde, c’è da dire che ha dato risultati molto deludenti, fatti di investimenti limitati nel tempo e di veri e propri privilegi che talora sono divenuti una vera e propria manomorta. Sul piano generale, nel nostro Paese manca la cultura della partnership mista e comunque la tematica sconta, più che in ogni altro caso, l’atavico problema italiano della «cattura del regolatore».

 

Ora però le risorse sono davvero tante (basti pensare che il Pnrr italiano è in assoluto il più grande in Europa) ed il Partenariato costituisce la più concreta soluzione operativa in uno scenario in cui si registra l’improvvisa disponibilità, da parte delle stazioni appaltanti, di enormi investimenti da mettere in campo, a fronte di una palese carenza di capacità progettuale (quale conseguenza dell’annosa contrazione della spesa pubblica nonché della centralizzazione degli acquisti, che le ha svuotate di competenze e conoscenze necessarie per la redazione di progetti). Le misure del Pnrr guardano in particolare ad innovazione, twin transition (ecologica e digitale), valorizzazione dei territori e occorre trovare immediate soluzioni per progettare, realizzare, rinnovare e soprattutto gestire e sfruttare infrastrutture e servizi, specie al Sud, per favorire il rilancio economico del Paese nell’ambito dei programmi triennali previsti dalla legge.

 

Il principio del «risultato dell’affidamento», contenuto nel nuovo codice, va applicato in una dinamica nuova fatta di netta separazione di ruoli, di regole certe, di standard chiari, di discrezionalità tecnica limitata e di rischi operativi che gravino sul privato. La variante più adatta è il project financing basato sulla realizzazione di un progetto di provenienza privata, con esclusione di quella pubblica in quanto duplicazione della concessione. In caso di approvazione, quest’ultimo diviene oggetto di una procedura in cui può essere disposto il diritto d’opzione a favore del proponente che, nella ipotesi di mancata aggiudicazione, può attivare comunque la prelazione aggiudicandosi l’affidamento (previo rimborso del costo di partecipazione all’aggiudicatario pretermesso). Ora che il privato non deve più metterci risorse finanziarie (anche per evitare il meccanismo del double funding con complicazioni di rendiconto) occorre solo una seria attività da parte del partner pubblico di valutazione preliminare, controllo e monitoraggio di procedure e modelli standard che non lascino alcun margine di manovra. Il settore in cui è stato più utilizzato il project è quello delle infrastrutture sportive ed è emblematico che qualche giorno fa il presidente della Uefa Aleksander Ceferin, a proposito dell’assegnazione degli Europei del 2032 a Italia e Turchia, abbia criticato duramente il nostro Paese, proprio con riferimento alla questione degli stadi, affermando che «il livello infrastrutturale dell’Italia, in confronto alla sua dimensione e al suo status, è davvero povero e che le istituzioni dovranno fare di più se vogliono ospitare la più importante iniziativa continentale».