Bancomat
L’incapacità italiana di usare il Pnrr sta zavorrando il Paese
Nelle casse dello Stato al 31 ottobre 2023 sono entrati 85,4 miliardi di euro. Di cui è stato speso meno di un decimo. E nella Nadef non ci sono indicazioni sui tempi per realizzare i progetti previsti
Recentemente (il 26 ottobre) la Bce ha deciso di «lasciare invariati i tassi di interesse dal momento che l’inflazione continuerà il trend di discesa verso il conseguimento del 2% (fine 2025), mentre il tasso sui depositi presso l’Eurosistema, che determina le condizioni di finanziamento per banche, imprese e famiglie resta al 4%, salvo piccoli ribassi». Sembra che gli effetti di questa decisione sulle prospettive dell’economia siano stati sottovalutati, sia dal governo sia dall’opposizione, come da tanti commentatori interessati (associazioni imprenditoriali, sindacati e stampa specializzata). Pare non si vogliano fare i conti sulle cause dell’inflazione da costi, né sui fattori che hanno sorretto il Paese nell’ultimo decennio.
Nessuna obiezione sull’apprezzamento per la diminuzione dei prezzi energetici, rispetto a quelli di ottobre 2022. Tali prezzi, però, sono tuttora più del doppio rispetto a quelli che famiglie e imprese sostenevano prima della guerra in Ucraina. Il dato spiega la differenza tra l’inflazione «core» rilevata a ottobre (1,8%) e quella del costo del paniere della spesa intorno all’8%.
Le conseguenze della crisi fiscale dello Stato dal 2011 fino al 2021 sono state superate dal fatto che i governi, le imprese e le famiglie hanno potuto barcamenarsi nella razionalizzazione dell’esistente, in virtù di un costo del denaro bassissimo, riferito all’Euribor ancorato al meno 0,50%. Per questo periodo, il costo dei prestiti non ha superato il 2,5%. Oggi oscilla intorno al 6-7%. Gli effetti sono chiari, sia nel servizio del debito pubblico, già ora, oltre il doppio di quanto costava nel 2021, sia su quello dei debiti finanziari a tasso variabile delle imprese e delle famiglie. Un salasso di più di 4 mila euro per ogni centomila euro presi a prestito.
A fronte di un incremento dell’occupazione che, purtroppo, non sembra in grado di stimolare la domanda interna, la crescita zero del Pil del terzo trimestre sembra quasi grasso che cola, anche per gli scarsi ritorni degli interventi del Pnrr. Nel primo semestre i prestiti per l’acquisto di abitazioni sono diminuiti del 33%, mettendo in ginocchio l’edilizia, dall’agosto 2022 all’agosto 2023, gli ordini per l’acquisto di macchine utensili sono crollati del 45%, i prestiti alle imprese sono diminuiti del 6,7% (più di 50 miliardi di valore).
Per dare una spinta propulsiva alla crescita costante del Pil occorrerebbe fondamentalmente un intervento straordinario della finanza pubblica. Nelle casse dello Stato al 31 ottobre 2023 sono entrati 85,4 miliardi del Pnrr, di cui è stato speso meno del 10%. Nel terzo trimestre si registra un calo del 46,6% nella pubblicazione di bandi gara del Pnrr a causa della frenata impressa dal Codice degli appalti. Lo stesso Fmi ha sottolineato che l’Italia «deve lavorare duro per spendere bene i soldi del Next Generation EU. Il governo, senza indugio, dovrà impegnarsi a fondo per realizzare le riforme previste dal programma del Nge che sono importanti per dare impulso alla crescita nel breve-medio periodo».
Dalla lettura della Nadef, inoltre, non è offerta nessuna indicazione circa i tempi della sua attuazione sia sugli effetti che dovrebbero derivare sulla crescita del Pil dagli investimenti finanziati con i 200 miliardi del Pnrr, una cifra addirittura superiore a quella del piano Marshall. È una dimenticanza?