Poesia
Vivian Lamarque: «L’amore è una quercia e l'autoironia è la mia salvezza»
Un cuore grande, capace di ospitare molto di più di quando si è giovani. La poetessa riflette sulla bellezza delle emozioni nella terza età: «Con gli anni è come se il muscolo cuore si fosse un po’ rilassato, dilatato, e avesse acquistato maggiore capacità di contenimento»
L’amore da vecchi, quando c’è, è universale e scanzonato. È incauto, perché è finito il tempo dei conti e della prudenza. Ed è curioso, goloso, di tutto ciò che è vita, allo scoperto. Animali alberi umani e post-umani, parole e lettere, occasioni ricordi e premonizioni, piccole cose di casa, sorprese – tutto merita attenzione e gratitudine. E non è già, tutto questo, amore?
L’amore dei vecchi non teme l’inverno, perché ne ha abitati tanti, e nemmeno il tempo, perché non contano i progetti e l’avvenire. È assoluto e scardinato, libero.
L’amore da vecchi non ha nulla da perdere, solo da vincere e sbalordire, perché è un regalo a prima vista, e a volte è oscuro il mittente. È insomma fuori misura, ma non fuori tempo.
Al tema, con la solita levità, autoironia e irriverenza, Vivian Lamarque ha dedicato l’ultimo suo libro, “L’amore da vecchia” (Mondadori), vincitore del premio Strega poesia 2023, assegnato il 5 ottobre scorso.
E a lei chiedo: quale amore?
«Non so per gli altri, conosco il mio amore da vecchia. Con gli anni è come se il muscolo cuore si fosse un po’ rilassato, dilatato, e avesse acquistato maggiore capacità di contenimento, come un magazzino di maggiore metratura. Ora può ospitare più numerose forme d’amore, in giovinezza era per me il trono, ogni volta, per un nome solo. Nel magazzino cuore ora c’è spazio per molto di più, dalla fogliolina di basilico nuova, avvistata alle otto del mattino, sino a notte. Persino il passaggio sotto casa di un tram, con tutta quell’umanità che vedo scendere salire scendere affannata a volte mi cattura. Sì ora può starmi anche un tram intero nel cuore».
A proposito di tram, c’è quella poesia sulla linea 90, che per lei esprime la vita intera: “La 90 è un continente un viaggio / ci sono fiumi e pianure e catene montuose e gli Incas, i favolosi Incas e profili aztechi /…”.
«I milanesi non la amano la 90. Dicono che là ti derubano, infatti è vero, anche a me è capitato, ma anche sull’1, sul 14, sul 19, sul 33… E dicono che là non pagano il biglietto, ma nel finale ho una risposta».
Lo diceva pure il filosofo Manlio Sgalambro, che certo non era un sentimentale: “Una sessualità totale succede a quella genitale”. Anzi “la sacra carne del vecchio” – azzarda nel suo “Trattato dell’età” – si oppone a quella del giovane, mera res extensa buona per la riproduzione”. Come la vede lei?
«Quando le amiche negli anni scorsi mi chiedevano cosa stavo scrivendo e rispondevo “L’amore da vecchia”, non poche dicevano “Noooo, ti prego cambia il titolo!”. Invece a me la parola vecchio piace. Non si dice forse che bella e vecchia quercia, che bel vecchio ulivo? Comunque non è solo l’amore l’unica strada, certi restano vivi per odio, desiderio di possesso, di vendetta, sopraffazione, per avidità. Ma sto scivolando fuori tema, torniamo all’amore».
“Anche vecchiaia è bellezza / capelli color della neve / pelle rigata come belle cortecce / e alcuni che ti vogliono bene / e alcuni che ti cedono il posto in tram…”. Nei suoi versi nomina Guido Gozzano ed Emily Dickinson, e a volte, come qui, ci sono tutti e due.
«L’autoironia è il mio scudo, la mia arma, la mia salvezza. Non mi fa piacere quando, quasi ottantenne, mi dicono che sono infantile, però è vero che dell’infanzia una cosa mi è rimasta appiccicata addosso peggio che con l’attak, lo stupore. Basta un niente, un filo d’erba fuori sede, il luccichio di una carta di cioccolatino, l’incredibile velocità di Google nel rispondere alle mie domande per restare incantata, è una fortuna, alleggerisce tanto il peso della vita».
“Colpo di fulmine in assenza di metà fulmine… Non accadrà tramonto di un astro mai sorto / mai lasciata mai essendo stata avvistata”. Nella sezione I nomi degli amanti parla di trasalimenti, incanti segreti. Succede ancora?
«Ogni tanto sì. Capitano ancora dei batticuori. Ma mi guardo bene dal rivelarlo all’interessato, chi vorrebbe essere corteggiato da una quasi ottantenne? A volte mi festeggio anche il primo anniversario di questi unilaterali batticuori».
“Certi fotogrammi in bianco e nero / nella nostra mente certi giorni sanguinano”. Nel suo libro c’è un grande spazio dedicato ai film.
«Da bambina ho passato giornate intere nei cinematografi e questo ha contribuito certo a spalancarmi gli occhi, però alla lunga mi ha anche creato non pochi problemi nel distinguere il reale dall’immaginato: “avevo cancellato con una bianca gomma / l’inutile linea di confine”. Ha dovuto tanto lavorare il Signore d’oro, cioè il dottor B.M., con decenni d’analisi junghiana, per ridisegnarmela».
Lo teorizza: “Tenere sempre appuntita / la rima vita-matita”. A me ricorda quel verso di Valentino Zeichen, “È bene tenere le unghie corte / lo stesso vale per i versi”. Occorre metodo per vivere. Limare, raccogliere, meravigliarsi. E allenare lo sguardo tra le cose minime e quelle invisibili.
«Ho una decina di temperini e un esercito di matite, anche colorate. Non riesco a staccarle quelle due, vita/matita come vita/poesia, ho provato in tutti i modi. Niente, si inseguono come pulci l’una con l’altra. Ogni mattina, in cucina metto il disordine/in ordine alfabetico/e in rima».
“Nessuno si meraviglia / se uno alla sua età / muore. / Nessuno. Ma lei sì. / Lei che sarei io, sì. / Lei si meraviglierà / Io mi meraviglierò. / Tanto! Le sembrava poco tempo fa / che era nata.” Affronta la morte con giocoso realismo. Può servire a familiarizzare, a non temerla?
«Sono gentile con lei sperando di essere ricambiata. Ci sono anche versi che riguardano non l’ultima tappa, ma la penultima, cioè l’ospedale: io lo vorrei rumoroso come la mia casa, con sotto le finestre i tram e persino i Tir, se no sembra di essere già morti. E scrivo di averne trovato uno che potrebbe fare al caso mio».
“Certi giorni la poesia / come mascherina / mi si posa sul viso – mi indossa / L’occhiale si appanna / vedo e non vedo”. La poesia aiuta a “vedere” altrimenti, a evocare un non-tempo condivisibile e misericordioso?
«Ecco, vivere in un tempo altro. L’ho fatto fin dall’infanzia, ma troppo a lungo diventa un tempo minato, si rischia la psicosi. Come quando per strada da bambina pedinavo persone che mi parevano somiglianti, convinta che fossero miei consanguinei, la mia ricercata famiglia d’origine. Il tempo addosso non lo sento pesante, perché vicina di posto della mia vecchiaia ho seduta la mia infanzia, la bambina fa da badante alla vecchina».