Con l'aumento delle persone eterosessuali che scoprono di aver contratto l’Hiv, sempre più donne assumono la pillola per non contrarre il virus. Ed è un farmaco rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale. Anche se c'è ancora pochissima informazione

«Sono io a decidere come fare sesso e prendermi cura della mia salute sessuale. Senza dover demandare ai partner». Antonella si racconta nella giornata mondiale contro l’Aids e l’Hiv del primo dicembre e ribalta la prospettiva sul virus e la sua prevenzione. Donna, trent’anni, eterosessuale. Per decenni la narrazione mediatica è stata incrinata da un difetto di rappresentazione: sotto i riflettori la comunità gay, fuori dal cono di luce le persone eterosessuali, soprattutto donne. Un’esclusione che ha cancellato dall’immaginario collettivo la possibilità di contagio di un virus che resta, a distanza di più di 40 anni, nell’ombra, invisibile solo perché abbiamo deciso di non occuparcene. Non vogliamo. Nonostante la curva delle nuove infezioni sia in netta discesa da oltre un decennio, il 58,8% delle persone che nel 2022 hanno ricevuto una diagnosi per Hiv era già in Aids o prossima a questa fase. Sono i cosiddetti late presenter, persone che scoprono di aver contratto l’Hiv tardi, cioè quando il loro sistema immunitario è già compromesso o quando sono già in Aids, cioè mostrano i sintomi delle patologie correlate.

 

I dati elaborati dal Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di Sanità registrano un aumento per tutte le modalità di trasmissione ma con profili di rischio più alti nella popolazione eterosessuale, soprattutto maschile. In particolare, nel 2022 hanno ricevuto diagnosi tardive i 2/3 degli eterosessuali maschi (circa il 66%) italiani e stranieri e più della metà delle donne eterosessuali.

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La prevenzione è il passo fondamentale. Testarsi innanzitutto, come prassi ordinaria e non solo quando si è consapevoli di essersi esposti a un rischio: se una persona con Hiv assume i farmaci e ha una carica virale non rilevabile, quella persona non trasmette il virus. Anche per questo la Società italiana di malattie infettive e tropicali, cioè i professionisti della Sanità che si occupano di infettivologia, assieme a dieci associazioni, tra queste Lila Onlus, Arcigay, Asa Milano, Plus Aps e Anlaids, ha deciso di patrocinare la campagna nazionale dallo slogan semplice e icastico: “U=U impossibile sbagliare”. Ovvero Undetectable=Untrasmittable.

 

In Italia da qualche anno è disponibile, a carico del sistema sanitario nazionale, una pillola blu che protegge dal virus. Una rivoluzione che avviene sotto silenzio, passa da associazioni e medici volenterosi di informare, e riguarda non solo la comunità Lgbt: «Mi consente di fare sesso senza rischio alcuno o senso di colpa», spiega Antonella che è paziente al Milano Check point Ets, centro community based per la salute sessuale. La pillola è la PrEP, Profilassi pre-esposizione: uno strumento di prevenzione per l’Hiv ma che non previene altre malattie sessualmente trasmissibili. Il dibattito è aperto tra gli infettivologi, terreno spesso di scontri e riflessioni lunghe (leggi l’articolo in queste pagine) «eppure sta liberando molte donne», spiega a L’Espresso Alessandra Bianchi, psicologa e psicoterapeuta al Check point del capoluogo lombardo: «Le donne che vengono qui e decidono di iniziare la PrEP lo fanno per non affrontare negoziati estenuanti e spesso perdenti con il proprio partner sull’utilizzo del condom. Quello che raccontano moltissime è sinonimo di una cultura e di uno stigma ben radicato: se io ti chiedo di utilizzare il condom per molti uomini vuole dire o che non ti fidi di me oppure chissà cosa combini. Per l’uomo che fa sesso l’unica preoccupazione e che la partner non rimanga incinta. L’utilizzo della PrEP per molte donne, oggi, è anche un modo per occuparsi della propria salute senza dover incorrere in una negoziazione». Le donne che attraversano il Check point arrivano qui per caso, per scelta o per necessità, portano con sé cammini, storie individuali a volte solitarie, altre collettive e ognuna con la sua storia si racconta. Daniela ha 32 anni, una relazione con un uomo di cui dice chiaramente: «Non mi fido molto. Ho scoperto di questa possibilità e ho deciso così di tutelarmi e anche autodeterminarmi. Usiamo anche il preservativo. Non sempre e allora perché non avere uno strumento in più?». Claudia che di anni ne ha 40 dice di sé: «Della mia salute sessuale me ne occupo io. Sono single, incontro persone su Tinder. C’è chi utilizza il condom e chi no. È più facile utilizzare la PrEP che stare a questionare». Marta vive un matrimonio difficile: «So che mio marito va con altre donne, prostitute. Sono cose molto personali, scavano nell’intimo e non ho bisogno della compassione di nessuno, non mi serve. Non voglio lasciare mio marito. Ma posso proteggere me stessa». «È una storia finita ma faccio fatica a interrompere il matrimonio – racconta Lucia – ho una relazione con un altro uomo. Per questo, per una questione di responsabilità personale, ho deciso di iniziare questo percorso. Provate a imporre il condom a un cinquantacinquenne eterosessuale che non lo ha mai utilizzato. È faticosissimo. Lo faccio per me, intanto, mi sento ancora più protetta di prima».

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Nel periodo di tempo in cui si assume la PrEP, è necessario sottoporsi a controlli regolari almeno ogni tre mesi: test Hiv, screening delle malattie sessuali, monitoraggio della funzionalità renale, test di gravidanza. Spiega la dottoressa Bianchi: «Naturalmente la PrEP andrebbe usata assieme al preservativo. Ma non lo si può imporre e spesso la PrEP aiuta anche a contrastare problemi di ansia e ipocondria da rapporti sessuali. Per molte pazienti è un supporto per una sessualità più serena».

 

«Ci sono tanti motivi e tante storie», racconta Nicoletta Frattini, volontaria del Check point: «Le donne non sempre parlano della loro sessualità, neanche con le amiche. Qui possono trovare un porto sicuro. Quando mi trovo davanti tutte queste donne quasi mi commuovo. Si controllano, ogni tanto decidono di intraprendere il percorso per la profilassi Pre-Esposizione. Mi sembra che le donne abbiano preso in mano la situazione, come dire: non lascio in mano all’uomo la mia salute sessuale. In questo senso, sì, una rivoluzione che fa sperare. Peccato che si faccia così poco per l’informazione, peccato per questa sessuofobia anche misogina dura a morire e che rischia di fare anche tantissimi danni».