L'ultima a tirarla fuori, ad Atreju mentre dibatteva con la ministra per Famiglia Roccella, è stata l'ex deputata del Pd Anna Paola Concia. Ma intorno a quelle due parole ormai da anni si combatte una guerra di posizionamento e propaganda. Che ignora la realtà e i diritti

«Sono stata definita fascista perché io mi batterò sempre contro tutto questo: le teorie gender che cancellano le donne sono teorie che io non condivido. L'ho dichiarato già a luglio». Così la coordinatrice del comitato organizzatore di Didacta Italia, Anna Paola Concia, nel corso del suo intervento in videocollegamento ad Atreju. Un po’ sorpresa, la ministra della Famiglia Eugenia Roccella si volta verso lo schermo che incornicia l’ex deputata del Pd, lesbica, sposata in Germania, non amatissima dalla comunità Lgbt, e sorride. L’asse Pro-Vita e anti-gender si rinforza e torna sui media la favola della “teoria gender”.  

 

Ma che cos’è questa teoria? Che forma ha questo spauracchio che da anni inquina il dibattito politico, frena leggi sui diritti, adombra la comunità lgbt italiana? Le espressioni “il gender”, “ideologia gender” o “la teoria del genere” sono categorie polemiche create dal Vaticano verso la fine degli anni ’90 con due obiettivi intellettuali e politici complementari. Il primo è quello di deformare, demonizzare e delegittimare analisi e teorie che pensano l’ordine sessuale come politico e storico e rivendicazioni e lotte elaborate dai movimenti femministi ed lgbt e per ridurre il sistema di inferiorizzazione che pesa ancora fortemente sulle spalle delle donne o delle persone non eterosessuali. 

 

Il secondo obiettivo è quello di riaffermare la visione essenzialista secondo la quale uomini e donne sarebbero gruppi naturali e naturalmente complementari, con tutto ciò che segue in termini di inferiorizzazione delle donne e delle persone lgbt. Da decenni e nella diversità degli approcci proposti, gli studi di genere e sessualità dimostrano che ciò che appare socialmente come "naturale" e come "normale" è, in realtà, il prodotto di rapporti di dominazione naturalizzati. Le teorie di genere, che sono diverse dalle bufale della teoria del gender, sono comprensibili attraverso una citazione semplice di Simone de Beauvoir: non si nasce donna ma ci si diventa. Ovvero, l’identità di genere non coincide banalmente con il sesso biologico. Gli studi di genere mettono in discussione alcune leggi che gli ultraconservatori vorrebbero considerare eterne e universali e che invece sono solo il risultato di una certa epoca. Che l’identità vera della donna sia essere madre e moglie servile è una credenza di alcuni e di un certo momento storico, non una verità.

 

 

A commentare le parole di sintonia tra Anna Paola Concia e la ministra Roccella Massimo Prearo, ricercatore in scienza politica dell'Università di Verona, da più di un decennio segue i movimenti pro-life e autore de "L’ipotesi neocattolica. Politologia dei movimenti anti-gender" (Mimesi) «Quelle che una certa retorica politica racchiude dentro l'espressione "la teoria gender" sono in realtà tutto un insieme di lavori, di approcci - tra cui gli studi femministi delle e sulle donne - e dunque anche di teorie che, nella seconda metà del Novecento in particolare, hanno introdotto una riflessione sulle forme di potere che strutturano la nostra società e che determinano la condizione di subordinazione delle donne, le disuguaglianze e le violenze di genere e anche l’oppressione delle minoranze sessuali, in una parola sul patriarcato. Il pensiero di liberazione e di emancipazione che queste stesse teorie hanno avanzato è ciò che ha permesso poi a livello istituzionale - prima a livello internazionale ed europeo, poi a livello nazionale - di elaborare un ampio ventaglio di misure, in costante evoluzione: per esempio, le politiche di parità, il gender mainstreaming, le politiche antidiscriminatorie, e più di recente anche il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT+. La dinamica è chiaramente espansiva e non esclusiva o concorrenziale. Esiste tutta una letteratura scientifica su questa espansione del campo delle politiche pubbliche aperto dal concetto di genere», spiega approfonditamente Prearo.

 

Un costrutto dunque, introdotto per opporsi anche a quella dinamica espansiva di riconoscimento dei diritti o di sperimentazione di pratiche inclusive: «(schwa, bagni neutri) rispetto a esperienze identitarie trans e non-binarie in particolare che hanno oggi una possibilità di espressione più ampia e aperta rispetto al passato». 

 

La guerra “al gender” e alla “grande sostituzione dei popoli europei da parte di popoli non europei” e la difesa della “famiglia naturale” e delle “radici cristiane dell’Europa” costituiscono ormai i cardini retorici e ideologici del nuovo manifesto politico della destra europea, da Vox in Spagna all’Afd in Germania, passando per la Lega o Fratelli d’Italia nel nostro paese. La conferenza intitolata “National Conservatism” che riunisce conservatori come Viktor Orbán o Marion Maréchal Le Pen o, su più vasta scala, i congressi del World Congress of Families sono, poi, la prova che i movimenti “anti-gender” e i partiti di estrema destra che ne raccolgono le istanze stanno ibridandosi, connettendosi e diffondendosi globalmente. 

 

«La teoria gender esiste in quanto dispositivo retorico elaborato dal Vaticano e da movimenti reazionari per mostrificare i saperi elaborati dal femminismo e da intellettuali vicini ai movimenti LGBTQIA+ e soprattutto gli interventi antidiscriminatori nelle scuole» spiega Lorenzo Bernini, professore associato di Filosofia politica al Dipartimento di Scienze Umane dell'Università di Verona. Ed è il fondatore di quel centro di ricerca PoliTeSse, acronimo per Politiche e Teorie della Sessualità, autore di Il gender (People)  «in ultima istanza per contrastare le conquiste sociali e politiche dei movimenti femministi ed LGBTQIA+. È uno dei collanti ideologici del populismo di destra, perché permette di individuare un popolo di mamme e papà bianchi chiamati a difendere i propri figli da una perversa ideologia che li pervertirebbe». 


Un linguaggio da guerriglia che negli ultimi anni è stato assorbito, come conclude Prearo: «Anche da voci del femminismo italiano o del mondo LGBT+, senz’altro a partire da radici teorico-politiche diverse, ma per esprimere la stessa opposizione all’espansione del campo dei diritti LGBT+, e più specificamente contro il riconoscimento dell’esperienza trans e non-binaria, o genderfluid, su pretesto che queste vite e gli spostamenti che la loro inclusione comporta sarebbero una negazione delle donne o dei diritti delle donne».