Alcuni ingenui si erano cullati nella pia illusione che, con la saga della gallina, l’insulto piccino enunciato con veemenza contro Bianca Berlinguer nel lontano 2020 la presenza di Mauro Corona a “Cartabianca” fosse conclusa.
Invece la natura matrigna, che allatta con vigore quello strano luogo di parole incrociate altrimenti detto talk show, ha deciso che delle esternazioni dello scrittore che vien dalla montagna non si potesse proprio fare a meno, quasi come quelle del professor Orsini.
Così la somministrazione settimanale si è consolidata con implacabile rigore. In barba al detto che prova a mettere in guardia lo spettatore (per cui nel giorno di Marte “non si sposa, non si parte, non si da principio all’arte”), Maurizio Corona detto Mauro scultore, alpinista, sportivo e autore di innumerevoli volumi si regala al suo pubblico immoto come una cartolina. Inquadratura fissa, braccia scoperte e tono squillante, viene chiamato in causa ogni inizio di puntata per un tempo sempre più dilatato, che oltrepassa con agio la mezz’ora. Trentaquattro minuti per la precisione, in cui Corona descrive nel dettaglio la sua avvincente settimana, tra pelli di foca e neve fresca, e poi l’onore al dio Bacco, una buona fumata di sigaro, l’osservazione delle Dolomiti.
E tra un paesaggio e l’altro viene mescolato come una grande materia indistinta, la sua personale opinione sulla guerra, la coltivazione diretta, l’educazione dei figli, i prezzi, la conduzione sanremese firmata Amadeus, i cambiamenti climatici, l’igiene personale, la delocalizzazione, il nichilismo del Terzo Millennio, la lotta alla mafia, brava Meloni, mannaggia Pd e così via.
Il tutto sapidamente condito da due tormentoni, tipo il ritornello tanto caro ai sopravvissuti dell’Ariston. Innanzitutto, la mano che corre spesso sul microfono pronto alla minaccia (che purtroppo raramente si concretizza) di lasciare lo studio. E poi quel “Bianchina” con cui ostinatamente appella la padrona di casa, un diminutivo che nel 2023 risulta gradevole come le unghie sulla lavagna e che potrebbe essere giustificato solo se nel suo studio Vespa venisse chiamato “Brunetto”.
Insomma, dopo un quasi settennato imprescindibile a detta della stessa Berlinguer («Corona, lei ci sarà fino a che questo programma andrà in onda» ha dichiarato senza pietà), viene da chiedersi quanto sia bello il gioco quando, anziché poco, dura all’infinito. Perché si è capito che ognuno a suo modo ha deciso per amor di ascolti di pagare una tassa al pop neanche fosse una cartella esattoriale. Ma se si riuscisse seppur flebilmente a intravedere la luce della rottamazione in fondo al tunnel sarebbe cosa assai gradita.
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