A preoccupare non sono i busti di Mussolini in salotto, ma i comportamenti, una cultura e un’educazione. L’antifascismo e l’essere democratici devono nascere dalla famiglia e dalla scuola

È grazie al coraggio e alla professionalità del giovane giornalista Pietro Mecarozzi che questa settimana L’Espresso può offrire ai suoi lettori il racconto di uno spaccato inquietante, ma molto vero, di cosa succede, chi sono, come sono organizzate le nazi-fascio-gang di Milano e del Nord Italia. Mecarozzi ha fatto l’infiltrato utilizzando la strada dei social per i primi approcci. Poi le strette di mano, i saluti romani, le riunioni, i contatti diretti. Alle volte, ammette, «mi rendevo conto che non ero uno di loro». E ha avuto timore di essere scoperto. «La paura più grande», scrive infatti nel suo articolo, «è quella di tradirsi perché una volta dentro c’è una sola porta dalla quale, nel caso, poter fuggire. E decidono loro quando aprirla».

 

Accanto al racconto del “nostro infiltrato speciale”, che fotografa la parte più arrabbiata dei giovani di ultradestra, pubblichiamo altri articoli e servizi per cercare di spiegare cosa è il fascismo oggi, visto che se ne fa un gran parlare, proprio in questi giorni. Non abbiamo analizzato tanto i fatti specifici, ma il fenomeno. Che è ancora più allarmante.

 

C’è quel film divertentissimo con Frank Matano, “Sono tornato”, che racconta un improbabile Mussolini che all’improvviso ricompare ai giorni nostri e va in giro per Roma. Magari, assassinio del cagnolino a parte, il capo del fascismo fosse stato quello lì. Il Mussolini che si aggira per l’Italia non si vede, ma è come un refolo di vento che soffia tra le strade, penetra gli animi e ancora detta i comportamenti: arroganti, prepotenti, sprezzanti con gli umili, osannanti alla cultura del super uomo. Le curve degli stadi di calcio sono piene di esempi di fascisti del ventunesimo secolo. Ma anche le vie e i palazzi. La nostra società, la politica hanno aspetti di fascismo nei comportamenti, nella cultura. Manifestati dai politici, ma ormai e sempre più, anche dalla gente. Non deve far paura il passato, ma dobbiamo stare vigili sul presente. Impedire che la società, quasi inconsciamente, si faccia trasportare verso un buio moderno, diverso da quello del ventennio, ma comunque inaccettabile per un Paese democratico nato proprio dalla lotta al fascismo e dalla Resistenza, con una delle Costituzioni più avanzate dei Paesi civili che ci dobbiamo impegnare a difendere a qualunque costo.

 

Il fascismo è disperazione, ha scritto Oliviero Toscani nella sua copertina di questo numero. In effetti il fascismo oltre a esserlo, come dice Oliviero, è nato dalla disperazione, da quella dei reduci della Grande Guerra, dalla disperata fame di ricchezza di certi agrari e industriali dell’epoca, dalla disperazione di un Paese entrato con una guerra, cioè nel modo più sbagliato, nel Novecento.

 

In effetti la disperazione è proprio quello che fa più paura, non tanto i busti del duce conservati in salotto. Quello che deve far paura non sono i cimeli, ma i comportamenti, la cultura, l’educazione. La disperazione, appunto. E soprattutto l’educazione e la cultura possono darla solo la famiglia e la scuola. Insomma, l’antifascismo, ma più in generale il sentire, l’essere democratici, deve nascere dalla famiglia e dalla scuola. Deve muovere i primi passi della vita. Si può essere di destra o di sinistra ma se non si è inclusivi, aperti, soprattutto con i propri figli a cui dobbiamo insegnare il rispetto, la tolleranza, l’educazione, l’onestà, i valori del lavoro e della scienza, si è genitori semplicemente sbagliati. O disperati.

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