Contraddittorio ben poco, moderazione parecchia: la nuova striscia del giornalista di Porta a Porta non aggiunge granché all’informazione

Cinque minuti. Dura ben cinque minuti la nuova striscia di Bruno Vespa che accompagna lo spettatore reduce dal Tg 1 nelle braccia accoglienti dei “Soliti ignoti”. Ed è una sorta di ponte tibetano, quello in cui bisogna fare attenzione a ogni singolo passo, perché il precipizio è lì sotto che ti guarda.

Da una parte infatti l’artista di “Porta a Porta” deve sottoporsi all’annoso confronto con “Il Fatto” di Enzo Biagi, mattone preserale ormai mitologico della storia del giornalismo ma da cui Vespa ha recuperato l’idea niente male di un tavolo in studio. Dall’altra c’è il tempo che si sa, è tiranno.

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Per cui, nel faticoso tentativo di non ciondolare nel vuoto, per respingere al mittente le critiche sulla velocità inevitabile che gli sono state mosse da più parti, ha pensato bene di puntare sulla domanda vaga ma solo per non rischiare di sforare la scaletta.

Così Bruno Vespa tira dritto, ospite inchiodato al tema di puntata e via al quasi monologo o al suo contrario, quattro giornalisti stretti stretti tra cui "Alessandro” (Sallusti) che lancia bombette sul pericolo delle piazze e poi basta, linea ad Amadeus. Una sorta di corsa di lotta e di governo anche se al momento la lotta appare alquanto flebile, mentre sul governo ci stiamo lavorando parecchio.

La prima puntata di “Cinque minuti” aveva esordito con la presidente Meloni in collegamento su argomenti a piacere, tipo interrogazione programmata (ci parli della guerra, ci parli della neo segretaria del Pd, ci parli dei migranti) con un montaggio che alternava gli occhi lucidi della premier in Ucraina e le foto della strage di Cutro, giusto per mettere a tacere le malelingue che l’avevano accusata di non essersi recata sulla spiaggia dello strazio.

Ma la somiglianza smaccata dell’intervista a un comizio aveva lasciato la platea, in attesa ansiosa del binocolone, un po’ interdetta. Forse per questo Bruno Vespa ha cominciato ad aggiustare il tiro, alternando serio e faceto, passando dal ricordo di Alberto Sordi con Carlo Verdone (che sarebbero il serio) al ministro Piantedosi eterno incompreso («Quello che intendevo dire sul naufragio era “fermatevi, verremo noi a prendervi»).

Alla fine, il risultato della camera in un angolo della cosiddetta terza Camera (lo studio è lo stesso di “Porta a Porta”, la moderazione anche) è che 300 secondi sembrano decisamente troppi. E che cambiando titolo e relativa sigla, andrebbero assai bene tre minuti. “Tre minuti solo tre minuti per parlarti di me, forse basteranno a ricoprirti di bugie come se io dovessi mostrar di me quello che ancora no, non sono stato mai” cantava il buon Giuliano Sangiorgi. Che in fondo è quasi un nome da ministro.

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