Buone notizie. Ci sono ancora film fatti di immagini, immagini che non si limitano a servire un racconto ma resistono e ci interrogano. Ci sono corpi non conformi che imprimono in queste immagini il peso della loro singolarità. Soprattutto ci sono registi capaci di estrarre dal cilindro qualcosa che non avevamo ancora visto e li riguarda (ci riguarda) da vicino. Uno di questi registi è Giacomo Abbruzzese, nato a Taranto nel 1983, diversi docu fatti in Francia prima di questo esordio premiato a Berlino per la sontuosa fotografia di Hélène Louvart (poche volte foto e regia sono state più intimamente legate).
Corpo e volto non conformi appartengono invece a Franz Rogowski, il nazista esadattilo di “Freaks Out” che qualcuno ricorderà nei film di Christian Petzold. Un ex-ballerino, fisico snodato e sguardo laser (come il Denis Lavant dei film di Carax, evocati spesso da “Disco Boy”), che qui fa un migrante di nome Aleksei, partito dalla Bielorussia con un amico per approdare avventurosamente a Parigi solo e stremato.
Come il destino di Aleksei incrocerà in forme imprevedibili e poco razionalizzabili quello di Jomo e di sua sorella Udoka, abitanti del delta del Niger, converrà scoprirlo al cinema.
Basti sapere che in questo film di guerra coreografato come un musical - un musical a mano armata - compaiono la sempiterna Legione Straniera, un ufficiale addestratore che evoca per un attimo “Full Metal Jacket” (ma quelli erano americani in una guerra americana, questi sono apolidi gettati in guerre senza nome in cambio d’uno straccio di identità). E una memorabile scena madre girata con una telecamera termica che esalta ogni differenza e ogni affinità fra quei duellanti immersi nel Niger, coniugando suggestioni mitiche e lettura politica. Grazie a quella telecamera che non vede il colore ma la quantità di epidermide esposta, dunque vulnerabile, in quei contendenti così diversamente attrezzati.
Il resto è questione di musica (firmata Vitalic, stella francese dell’elettropop). Anzi di ritmo e in definitiva di trance. Quel fenomeno noto agli antropologi come ai danzatori più estremi che congiunge «lo sciamanico allo psichedelico» per dirla col regista. I riferimenti a “Cuore di tenebra” e “Apocalypse Now” sono palesi, ma Abbruzzese non cita: rielabora. E se l’epilogo è meno risolto, si può sempre dar retta all’addestratore: «Chiudete gli occhi, guardate col cuore». Lo spettatore farà bene a spalancarli. Guarderà comunque col cuore.
DISCO BOY
di Giacomo
Abbruzzese
Italia-Francia, 91’
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AZIONE! E STOP
Torna in sala restaurato “La maman et la putain”, il classico di Jean Eustache con Jean-Pierre Léaud diviso tra Bernadette Lafont e Françoise Lebrun nei ruoli del titolo (beffardo riferimento all’immaginario maschile che anche nel post-68 stentava a cambiare). Bianco e nero, 209 minuti, un film di 50 anni fa che non ha preso una ruga. Anzi.
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Tu quoque Bob. Anche Robert De Niro, dopo troppi ruoli un po’ opachi, passa alle serie tv con “Zero Day”. A detta dei capi di Netflix «un thriller sulle cospirazioni astuto e adrenalinico che terrà gli spettatori incollati alle sedie» (sottinteso: di casa loro). Sarà. Noi però per De Niro preferivamo attraversare anche tutta la città.