La scoperta è affidata, per ora, alle pagine di un romanzo, “Il sorriso di Caterina” (Giunti). L’autore del libro però è lo storico Carlo Vecce, professore all’Orientale di Napoli, tra i massimi esperti di Leonardo da Vinci. E infatti i documenti che dimostrano che la madre di Leonardo era una schiava circassa arrivata in Toscana dal Caucaso saranno esaminati nei dettagli in una biografia ancora in lavorazione. Il romanzo però ha già acceso una curiosità mondiale, come accade per ogni notizia che abbia a che fare con quello che non è più solo il più grande genio del Rinascimento, ma l’ispiratore di un blockbuster hollywoodiano come "Il Codice da Vinci”.
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I nuovi dettagli sull’identità di Caterina vengono da un documento in cui il padre di Leonardo, che era un notaio, firma l’atto di liberazione della donna dalla schiavitù. Il fatto che provenisse da una popolazione che in seguito avrebbe fatto parte del mosaico dell’Impero Ottomano fa sorgere una curiosità: non sarà che la caratteristica scrittura “al contrario” di Leonardo da Vinci è ispirata dai legami della madre con l’Oriente? No: ma c’è probabilmente un rapporto con l’arabo e l’ebraico, due lingue che si scrivono da destra a sinistra e che si usavano nel Maghreb, con cui in quegli anni i toscani commerciavano spesso. Lo scopriamo in questa conversazione affascinante che spazia da Leonardo alla schiavitù, dalle rotte commerciali del Quattrocento alle caratteristiche di ogni bambino che, anche oggi, inizia a scrivere con la mano sinistra.
Perché Leonardo scriveva da destra a sinistra?
«Semplicemente perché era mancino. Non solo scriveva al contrario, ma disegnava al contrario, un elemento che di solito si ricorda poco ma è uno degli indizi importanti per esempio per l'attribuzione dei disegni di Leonardo. Se disegni con la sinistra, anche il tratto, soprattutto il tratteggio del chiaroscuro, lo fai con un movimento inverso della mano, un risultato chiaramente riconoscibile rispetto a un pittore che non è mancino. E questo è un elemento importante per l'attribuzione dei disegni: e ricordiamoci che dire che un disegno è di un minore del 400 o che è di Leonardo porta a una differenza di valore di milioni di dollari… Però, come ha dimostrato molto bene Marco Cursi, qualche volta Leonardo scrive anche con la destra, ed è una scrittura molto bella, non mostra alcun segno di sforzo. Probabilmente non aveva avuto nessuna educazione regolare durante l'infanzia e nell'adolescenza. E Curzi ha dimostrato che c'è una grande somiglianza tra i suoi caratteri grafici e quelli del padre, il notaio ser Piero, ma anche del nonno Antonio da Vinci. La scrittura di Leonardo è una classica mercantesca dell’epoca: se la rifletti con uno specchio vedi una normale mercantesca scritta al contrario».
Quindi era mancino, non aveva perso l’uso della mano destra come si legge a volte…
«No, questo succede solo nella parte finale della sua vita. Alcuni viaggiatori che lo vedono ad Amboise negli ultimi anni di vita notano che ha una difficoltà dell'uso della destra, che però lui normalmente usava poco… C’è un altro elemento da considerare: come abbiamo detto Leonardo non ha avuto una educazione scolastica regolare e quindi si è probabilmente realizzato in lui un fenomeno che gli psicologi notano nei bambini mancini – l’ho notato anche in mio figlio. Se non li correggi, loro spontaneamente tendono a riflettere l'immagine, scrivono invertendo il senso dalla scrittura rispetto a chi usa la destra. A scuola poi, com’è successo a mio figlio, i maestri insegnano a scrivere regolarmente: però usando la mano sinistra finisci per pasticciare sul foglio perché mentre scrivi copri l’inchiostro e rischi di fare macchie».
Leonardo può essere stato influenzato dalla scrittura araba?
«Probabilmente sì: ma non c’entrano niente le origini orientali di sua madre, come vedremo. È una cosa che racconterò nei dettagli nel prossimo libro, la “Vita di Leonardo”, una biografia con documenti, note e bibliografia. Nel corso degli ultimi 3 o 4 anni ho scoperto diverse cose che riguardano il nonno di Leonardo, Antonio da Vinci, con cui in pratica lui vive i primi 10 anni della sua vita. Il padre non lo poteva prendere con sé a Firenze dove aveva sposato un'altra donna. A Vinci c'era la mamma di Leonardo, che lo allatta e lo accudisce, e ci sono i nonni. Fino a qualche anno fa non si sapeva niente di Antonio, si diceva che fosse un proprietario terriero. Poi sono saltate fuori alcune sue lettere commerciali e si è scoperto che era un mercante: da giovane, alla fine del 1300, era emigrato a Barcellona dove lavorava nella compagnia di Francesco Datini che lo ha poi mandato in Marocco. E ci sono le lettere autografe del nonno di Leonardo spedite da lì, dove era andato anche suo cugino Frosino. Diciamo che metà della famiglia da Vinci era partita per commerciare con i paesi arabi. In quel periodo a Fes, che era la capitale, c'era anche un rappresentante della compagnia degli Alberti, la famiglia del famoso Leon Battista. Alcune di queste cose sono anche nel romanzo, perché uno dei personaggi è Antonio che racconta in prima persona le sue avventure. È uno dei capitoli che mi ha divertito di più perché ho viaggiato in Marocco e rivissuto il mio viaggio in quello di questo fiorentino di vent'anni che per lavoro si trasferisce a Fes…».
Ma Antonio da Vinci aveva imparato a scrivere in arabo?
«Non possiamo saperlo, e non possiamo sapere se avesse portato con sé qualche libro in arabo o in ebraico – anche l’ebraico si scrive da destra a sinistra, e c’erano molti commercianti ebrei in Marocco dell’epoca. Sappiamo che Antonio aveva un portolano, e negli inventari di suo figlio risulta anche quello che viene chiamato “mappamondo”, cioè una carta geografica catalana, e una “bussola da navigare”».
E Caterina, che viene da un popolo che oggi è islamico ed era stata venduta come schiava a Costantinopoli, pochi anni prima della caduta della città in mani islamiche, c’entra qualcosa?
«Chissà che questa mamma non abbia raccontato poi al bambino delle sue avventure da giovane… Però delle carte in arabo di certo lei non le aveva. Caterina appartiene a un mondo totalmente privo di scrittura: le tribù circasse dell’epoca non conoscono la scrittura, e neanche il denaro. Però c’è un dettaglio interessante nell’Annunciazione, che è un quadro legato a Caterina. Lì c’è un particolare enigmatico: il libro che la Madonna stava leggendo è in una scrittura indecifrabile. È diverso dalle annunciazioni di Ghirlandaio o di Botticelli, dove si riesce a leggere nelle pagine dipinte. Invece se guardi attentamente il libro dell’annunciazione di Leonardo vedi una scrittura che somiglia a quella ebraica, scritta da destra a sinistra».
Forse potremmo immaginare, ripensando a quello che lei ha detto prima di suo figlio, che il nonno di Leonardo vedendolo scrivere al contrario gli abbia detto: “Ma sai che ci sono delle lingue che si scrivono così? L’arabo e l’ebraico, io li ho conosciuti…” La mamma invece essendo una schiava era sicuramente analfabeta, o no?
«Era difficile che una schiava potesse scrivere ma i circassi poi non sapevano nemmeno che cos'era la scrittura. A quell’epoca, prima del 400, non erano ancora musulmani: erano per così dire cristiani perché erano sono stati un po’ cristianizzati dai bizantini sulle coste. Ma in realtà erano pagani, avevano tante divinità, un po’ come i nativi d'America: veneravano come dei il vento, il cavallo, il lupo…».
La scoperta sulla mamma di Leonardo riporta in primo piano una cosa che si cerca di non evidenziare: anche in Italia fino a pochi secoli fa c’erano gli schiavi.
«Sì, la schiavitù continua fino al 700, anche se alla fine in forma ridottissima. Il traffico di schiavi verso l'Italia finisce quasi del tutto dopo la caduta di Costantinopoli, nel 1453, perché gli schiavi venivano soprattutto dall’est. I mercanti veneziani li prendevano lì perché gli italiani li preferivano agli africani. Soprattutto le donne dovevano essere alte, bionde, belle…».
C’è un libro di Jennifer Glancy pubblicato da Claudiana che sfata completamente il mito di un cristianesimo nemico della schiavitù.
«Sì, quella è una narrazione che è venuta dopo, e che ci fa vedere che il cristianesimo porta alla liberazione degli schiavi e quindi alla caduta dell'impero romano che si basava in gran parte sul lavoro servile. Ma in realtà nel Vangelo c'è l'idea che gli uomini sono tutti uguali perché tutti figli di Dio, però se sei nato schiavo resti schiavo. Quando muori la tua anima in cielo sarà uguale a tutte le altre, ma sulla terra le differenze restano. Addirittura c’è stato a lungo un dibattito all'interno della Chiesa per decidere se gli schiavi avessero l'anima oppure no. Alcuni teologi dicevano di no, soprattutto per quanto riguardava le donne schiave. In particolare su questo c’è il libro di un domenicano, Jacopo Canfora, che scrive il “Trattato dell'anima” all'inizio del 1400. L’autore è un religioso, è quasi un umanista, e ancora si chiede se gli schiavi hanno l’anima…».