Dopo la nostra inchiesta ci ha scritto una giovane mamma che ha avuto due esperienze molto diverse: in Lombardia l’epidurale le è stata “concessa” con il contagocce, ha ricevuto pochissima assistenza post parto e zero attenzione una volta tornata a casa. Mentre in Francia, le cose sono andate molto diversamente

Dopo l’inchiesta dell’Espresso sulla violazione dei diritti delle partorienti italiane, riceviamo e pubblichiamo la lettera di Valentina Montalto, che racconta i suoi due parti: il primo avvenuto in un ospedale pubblico del Nord Italia, il secondo a Parigi.  

 

“Quando lo avrai tra le braccia, dimenticherai tutto”. Questa è la tipica frase che viene detta alle madri che osano chiedere in cosa consista esattamente il parto.

 

A inizio 2021 ho dato alla luce il mio primo figlio. Ricordo perfettamente i dolori e le urla. E penso che li ricorderò per tutta la vita. Soprattutto non dimenticherò mai che l’epidurale è durata solo due ore, a cui se ne sono aggiunte altre due, più tardi, solo perché il ginecologo ha avuto la buona idea di passare e chiedere come stavo. L’ostetrica mi aveva detto che non potevo più averla, altrimenti non avrei sentito le contrazioni. Risultato: quattro ore di epidurale, su 12 ore di travaglio, per partorire un bimbo di oltre quattro chili. Ci ho messo dieci giorni per tornare a camminare. So che non è così per tutti, tra le mie conoscenze ci sono persone che hanno avuto esperienze migliori. L’impressione, infatti, è che, nonostante la possibilità di beneficiare dell’epidurale sia un diritto della donna, nei fatti dipenda dalla volontà dell’ostetrica di turno. Come se mancasse un protocollo condiviso. 

 

Mi sono tormentata di domande da allora. Non riuscivo a capire e ad accettare il perché di tanta sofferenza per un evento così importante nella vita di una donna. E mi sono sempre chiesta perché non si possa fare altrimenti.

 

Non credo di avere ancora tutte le risposte. Ma vorrei condividere l’esperienza del mio secondo parto, a Parigi, un mese fa. Non solo per mostrare che delle alternative esistono ma anche e soprattutto perché credo ci sia un gran bisogno di parlarsi. Tutt’oggi una donna non sa a cosa va incontro quando va a partorire. Il parto è tabù. Di conseguenza è impossibile porre le giuste domande. E resta diffusa l’idea che il parto non possa che essere doloroso.

 

Rispetto all’esperienza italiana, tre sono le cose che mi hanno più di tutte colpita del mio parto in Francia in un ospedale pubblico.

 

Prima di tutto la piena attenzione umana e la grande competenza medica nell’approcciare una donna che viveva ancora nell’incubo del primo parto. Mi hanno tutti spiegato che avrei avuto l’epidurale nel momento in cui sarebbe iniziato il travaglio e fino al momento del parto. E che avrei potuto regolare io stessa il dosaggio, per adattare l’anestesia alla mia personale soglia del dolore. È stato esattamente così, come da protocollo. Non ho sofferto e dopo il parto ero in piena forma. Niente di più importante per avere la lucidità mentale e le forze fisiche per occuparsi di un neonato. Inoltre, tutta l’equipe medica era al corrente del mio precedente parto e ogni mia richiesta - di chiarimento o assistenza - è stata affrontata con grande attenzione e cura. Un’ostetrica mi ha detto: “In quanto donna, non voglio che tu soffra e farò di tutto per farti affrontare il parto nel modo più piacevole possibile”.

 

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Secondo, l’assistenza del servizio maternità è stata esemplare. Nessuna domanda risultava banale e il personale, la notte dopo il parto, si è offerto di tenere la piccolina, vedendomi esausta dopo cinque ore di pianto della bambina. In Italia, quando ho fatto presente che non avrei potuto prendere mio figlio per allattarlo perché non avevo le forze, mi hanno detto di tenerlo nel letto con me. Non mi ha stupito, purtroppo, la tragica notizia di Roma.

 

Terzo e non da ultimo, nonostante la carenza di pediatri in Francia, esiste una sorta di consultorio di prossimità (gratuito) che si mette in contatto con tutti i neogenitori per offrire la propria assistenza in merito a questioni come allattamento, monitoraggio del peso o svezzamento. Questo è molto importante, non solo per la qualità del servizio offerto ma perché non ti fa sentire mai sola. Inoltre, per il post-parto, l’ospedale prescrive, e il servizio sanitario rimborsa, un percorso di riabilitazione del perineo. Chi ha partorito sa quanto sia importante, ma in Italia non ne ho mai sentito parlare. Ciliegina sulla torta: l’ospedale mi ha invitata a riempire un questionario di soddisfazione via email, a riprova del fatto che l’attenzione al paziente esiste. Non solo sulla carta.

 

Non è esterofilia. E so bene che c’è un problema di risorse nella sanità pubblica che non si può risolvere dall’oggi al domani. Ma in base alla mia esperienza, mi pare che intorno al parto ci sia innanzitutto un grave problema culturale da cui deriva una mancanza di protocolli condivisi. È ora di permettere alle donne di operare scelte informate e consapevoli. Per davvero. Non si tratta di un capriccio o di una mera scelta valoriale. Ne va della salute della madre e del bambino.

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