Politica
Elezioni comunali, la sfida di Brescia. La città delle fabbriche che vuol diventare verde
La partita per il nuovo sindaco si gioca sui temi ambientali: recupero delle aree dismesse, nuova tramvia, una rete di parchi pubblici. E l’alleanza di centrosinistra cerca la riconferma per completare le opere avviate negli anni scorsi
Un giovedì qualunque di fine marzo. Di prima mattina, una mattina grigia, Piazza della Loggia è già popolata di comitive in gita. Poco distante, altri gruppi passeggiano in via Musei, tra Santa Giulia e il parco archeologico della Brixia romana. Queste immagini raccontano molto di Brescia e delle sue ambizioni. Una città che ha costruito la sua fortuna sulle fabbriche e ora corre verso un futuro in cui il turismo è un nuovo moltiplicatore di ricchezza, assieme alla ricerca e all’innovazione tecnologica.
Molta strada è già stata fatta e le elezioni comunali, in calendario il prossimo 14 maggio, decideranno chi si intesterà politicamente l’ultima tappa di un lungo viaggio. Laura Castelletti, candidata del centrosinistra, governa da dieci anni come vice del sindaco uscente Emilio Del Bono, il leader del Pd locale appena entrato in consiglio regionale sull’onda di 35 mila preferenze, record assoluto in Lombardia.
Castelletti rivendica i buoni risultati di un’amministrazione che ha dato smalto al centro storico, ha molto investito sul verde e ora cavalca il successo d’immagine legato al titolo di “Capitale della cultura 2023”, condiviso con la vicina Bergamo. Da settimane un ricco cartellone di eventi attira un esercito di visitatori nella città della Leonessa e finisce per trainare la campagna elettorale della giunta uscente, guidata da fine marzo dalla stessa Castelletti come facente funzioni del sindaco Del Bono, che ha già traslocato sul seggio di vicepresidente del consiglio regionale.
Fabio Rolfi, il leghista candidato dall’alleanza di centrodestra, è costretto a inseguire. Lo dicono i numeri, quelli del voto di febbraio che hanno confermato Attilio Fontana alla guida della Lombardia. A Brescia città, il dem Pierfrancesco Majorino ha battuto il governatore di quasi 2 mila voti e il Pd, con il 38,1 per cento, ha doppiato Fratelli d’Italia al 19,2 per cento, con la Lega crollata all’11 per cento dal 24,6 di cinque anni prima. Non è una sorpresa, allora, che Rolfi, 45 anni, già assessore regionale all’Agricoltura, per tentare la rimonta abbia scelto di allontanare il più possibile il suo nome dai partiti che lo sostengono, accreditandosi come una sorta di candidato civico, campione di un «centrodestra urbano» dai contorni, in verità, piuttosto sfuggenti.
L’esito della gara sembra già scritto, ma il centrosinistra dovrà fare i conti con l’incognita delle astensioni, che due mesi fa hanno raggiunto il massimo storico. Alle regionali sono andati alle urne soltanto 70 mila bresciani, 30 mila in meno rispetto alle politiche di cinque mesi prima. Un serbatoio di potenziali elettori che potrebbero garantire all’inseguitore i voti necessari al sorpasso. Per Rolfi, piuttosto, sarà complicato accreditarsi come candidato del nuovo che avanza, visto che tra il 2008 e il 2013 l’esponente leghista fece da vice all’allora sindaco berlusconiano Adriano Paroli.
Castelletti, al contrario, gioca la carta dell’esperienza e della continuità nelle scelte di governo del territorio. Il suo slogan elettorale - «Brescia. Sì, grazie» - rilancia senza troppa fantasia l’immagine di una città soddisfatta di sé e dei traguardi sin qui raggiunti. «Ma resta ancora molto da fare», dice all’Espresso la candidata sindaca, 60 anni, una veterana della politica locale, di formazione laica e socialista, senza tessere di partito, eletta la prima volta in consiglio comunale nel lontano 1991, agli sgoccioli della prima Repubblica.
Il progetto più impegnativo è senz’altro quello della nuova tramvia che entro il 2029 andrà ad aggiungersi alla metropolitana inaugurata ormai dieci anni fa, «nel segno - spiega Castelletti - del rispetto dell’ambiente e del trasporto pubblico a emissioni zero». L’opera ha già ottenuto da Roma un finanziamento di 360 milioni e nei piani della giunta uscente dovrebbe essere completata entro il 2029.
Intanto, nei giorni scorsi, verde pubblico e crescita sostenibile sono diventati occasione di nuove effimere polemiche elettorali. «Pianteremo 200 mila alberi entro il 2030», promette la coalizione di centrosinistra. E Rolfi, da destra, raddoppia, anzi, di più: «Possiamo a puntare a 500 mila», dice il candidato con targa leghista e attacca lo schieramento rivale che «è in ritardo - sostiene - nelle opere di bonifica delle aree industriali dismesse che circondano la città». La giunta Del Bono ribatte con il lungo elenco di zone verdi e vecchi edifici in disuso restituiti ai cittadini nell’arco dell’ultimo decennio.
La rigenerazione del cosiddetto «Comparto Milano», il quartiere che un tempo ospitava le grandi fabbriche, è stata però completata solo in parte e il centro commerciale Frecciarossa, aperto in quella zona una decina di anni fa, ha già chiuso i battenti travolto da debiti e perdite.
«Zero consumo di suolo è un punto fermo del nostro programma», annuncia Castelletti, che punta a completare i progetti già avviati per mettere sotto tutela quasi la metà del territorio comunale, dal Parco delle Colline a nordovest fino al Parco delle Cave a sudest. «Sono parchi solo sulla carta», insiste Rolfi, che vuole inserire tutti questi progetti in un sistema più ampio a carattere regionale.
Tra enfasi e promesse per il verde che verrà, resta ancora aperta la ferita della Caffaro, il grande stabilimento chimico che per decenni ha sparso i suoi veleni (arsenico, mercurio, Pcb) in un’area vastissima, oltre 100 mila metri quadrati, nella periferia cittadina. A più di vent’anni dal primo piano di bonifica, servirà ancora tempo e denaro per ultimare il risanamento di quei terreni inquinati in profondità e la città sarà così costretta a confrontarsi con un passato da cui ha preso da tempo le distanze. Franco Gussalli Beretta, presidente della locale Confindustria, cita l’esempio delle acciaierie del territorio che «sono diventate - dice - modelli di produzione sostenibile».
Brescia scommette sul turismo e sui servizi, ma resta il secondo polo manifatturiero d’Italia, alle spalle di Milano, e grazie all’alta velocità ferroviaria è sempre più legata alla metropoli, che può essere raggiunta in poco più di mezz’ora di treno. Il tradizionale pendolarismo con il capoluogo lombardo è diventato meno scomodo e negli ultimi anni è aumentato il numero dei giovani neolaureati che lavorano sotto la Madonnina ma restano a vivere a Brescia, dove è più facile trovar casa a prezzi abbordabili. L’alta velocità adesso punta verso Est. I cantieri sono già aperti per completare entro febbraio del 2026 la nuova tratta fino a Verona, che «alimenterà nuovi scambi e crescita economica», prevede Beretta.
Le statistiche più aggiornate raccontano di una macchina industriale che ha reagito con sorprendente vitalità al doppio colpo della pandemia e poi della crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina. Nell’ultimo trimestre del 2022 la produzione è cresciuta del 2,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021, con l’export che ha fatto segnare il record di vendite all’estero: 22,3 miliardi con un aumento del 17 per cento. Buone notizie anche dal mercato del lavoro. Alla fine dell’anno scorso, il tasso di disoccupazione era di poco superiore al 4 per cento circa, poco più della metà del dato nazionale (7,8 per cento).
L’industria di Brescia corre veloce, quindi, ma per affrontare i tempi nuovi servono «competenze che ancora la scuola non riesce a formare in numero sufficiente», sostiene Roberto Saccone, presidente della Camera di Commercio. Saccone rilancia l’idea di una cittadella dell’innovazione, «un luogo fisico per sostenere lo sforzo di cambiamento delle imprese».
Anche i lavoratori stranieri sono da tempo una risorsa indispensabile per le aziende. A Brescia i residenti nati all’estero sono quasi un quarto dei 200 mila abitanti ed «è scomparsa la retorica sugli stranieri che ci portano via il lavoro», racconta Paolo Corsini, memoria storica della sinistra cittadina, sindaco Pd tra il 1998 e il 2008 e poi parlamentare per un decennio. Adesso sono gli imprenditori a chiedere nuove norme sull’immigrazione per far fronte alla carenza di manodopera. «I bresciani si sentono parte di una vera comunità multiculturale», sostiene Corsini e l’immigrazione viene gestita come una «questione di ordinaria amministrazione».
Anche la Lega ha cambiato toni e argomenti. Rolfi adesso predica l’inclusione, ma non rinuncia alla polemica sulla sicurezza nei quartieri di periferia, «abbandonati a sé stessi - dice - dalla giunta Del Bono-Castelletti». Un allarme che però, alle regionali di febbraio, non sembra aver fatto molta presa tra gli elettori, che hanno premiato il sindaco uscente targato Pd. Tra poco più di un mese si torna alle urne e in città è attesa una visita di Giorgia Meloni. Il centrodestra spera che l’effetto Giorgia spinga la rimonta. Vedremo se basterà per conquistare il Comune.