Fuoriluogo
Cosa si nasconde dietro la nostalgia del manicomio
In tema di salute mentale occorre una riforma radicale per superare il contrasto tra custodia e cura
L’attacco del governo alla legge 180 e la costituzione di un nuovo tavolo tecnico sulla salute mentale da parte del ministro Orazio Schillaci destano preoccupazione. Il pensiero di Franco Rotelli ci può aiutare, contro la demagogia e la propaganda. Psichiatra legato a Franco Basaglia, alle esperienze di apertura dei manicomi prima della loro chiusura nel 1978 con la legge 180, il suo orizzonte si era allargato. Sognava che la salute mentale fosse affidata non agli specialisti, ma ad altri attori: ad artisti, a persone di cultura, in altre parole al mondo della vita.
La chiusura degli Opg, gli orrendi manicomi giudiziari, mi vide protagonista come commissario unico e trovai in Rotelli un alleato prezioso. Al contrario di chi paventava il rischio che le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) si rivelassero dei mini Opg, comprese che si era aperta una felice contraddizione e che tante energie erano coinvolte in una rivoluzione, che io definii «gentile».
La decisione del tribunale di Trieste di assolvere l’assassino di due poliziotti in quanto incapace ci scandalizzò e fu l’occasione per presentare la proposta di legge elaborata dalla Società della Ragione per cancellare il doppio binario del Codice Rocco. Oggi la proposta torna di attualità, dopo l’assassinio della psichiatra Barbara Capovani da parte di un soggetto che la dottoressa stessa aveva definito consapevole e capace, seppure narcisista. L’urgenza è dettata dalla strumentalizzazione di una tragedia per manifestare l’odio contro i basagliani ed esprimere senza pudore la nostalgia del manicomio.
Si accusano le Rems di essere poche, con posti insufficienti, nascondendo che sono destinate ai prosciolti e non sono un luogo di internamento preventivo. Vengono richieste misure per prevenire atti violenti, trascurando che esiste già la libertà vigilata in seguito a un giudizio di pericolosità sociale.
La verità è che, mentre registriamo la riduzione dei reati gravi e in particolare degli omicidi (318 nel 2022 rispetto ai 1.916 del 1991), assistiamo a un aumento della sofferenza mentale. L’evidenza dei dati ci dice che la soluzione dei contesti chiusi fa esplodere gli eventi critici. La sicurezza sociale richiede altri interventi, in primis la costruzione di un patto sociale con risorse adeguate.
L’attacco è forte e la risposta non può essere difensiva. Occorre una riforma radicale. È indispensabile affermare il criterio della responsabilità anche dei soggetti con disabilità psicosociale, come prevede la Convenzione dell’Onu del 2006. Il processo aiuta la consapevolezza e il giudizio, senza accanimento, può facilitare percorsi individuali di cura per scontare la pena in strutture non carcerarie. Insomma, la responsabilità è terapeutica. Al contrario, la designazione di «incapace di intendere e volere», lungi dal proteggere la persona, spinge inesorabile verso la vecchia logica custodiale, travisata da cura.
La proposta di legge 1119 presentata dall’onorevole Riccardo Magi permette di sciogliere la contraddizione e rappresenta anche una risposta alla sentenza 22/2022 della Corte costituzionale: salvando la legge 81/2014 che chiuse gli Opg, ha lanciato un forte monito al legislatore per risolvere alcuni problemi ancora aperti.