Dopo l’ok alle indagini sul brigatista Lauro Azzolini, assolto già nel 1987, buio sul terzo uomo scomparso dalla scena del conflitto a fuoco in cui morì Mara Cagol. I documenti rivelano che l’identità della terrorista rimase incredibilmente incerta

Sulla base di nuove prove, anche dopo molti anni e di fronte a reati che non si possono prescrivere come omicidi e stragi, è possibile ancora procedere contro persone già assolte o prosciolte e, se per altra tipologia di reato, anche se già condannate.

È il caso di Lauro Azzolini, 79 anni, ex capo della colonna milanese delle Br. Per lui (assolto con formula piena nel 1987) dopo l’udienza dello scorso 9 maggio davanti alla giudice delle indagini preliminari, Anna Mascolo, si sono riaperte ufficialmente le indagini sull’omicidio dell’appuntato Giovanni D’Alfonso avvenuto il 5 giugno 1975 durante la liberazione dell’imprenditore Vallarino Gancia finita in uno scontro a fuoco, e nel quale ha perso la vita anche Mara Cagol, la br a capo dell’operazione-sequestro.

Vicenda di cui L’Espresso si è occupato ad aprile con nuovi elementi d’inchiesta.

 

Azzolini, Zuffada e Curcio.

Come avevamo scritto, l’indagine sui fatti accaduti 48 anni fa nell’Alessandrino avrebbe potuto riservare delle sorprese via via che proseguiva. È accaduto a esempio lo scorso 4 maggio quando è emerso che anche un altro ex Br, Pierluigi Zuffada, era stato iscritto nel registro degli indagati. Le sue impronte sono state rilevate dai Ris dei carabinieri sulla lettera di riscatto inviata al tempo all’azienda di famiglia. Mentre il primo a finire sotto le lenti degli inquirenti è stato Renato Curcio.

Le impronte di Azzolini, undici, erano state individuate invece sulla relazione che il terzo brigatista, coinvolto nel sequestro e fuggito durante lo scontro a fuoco, aveva steso per rendere conto all’organizzazione terroristica dei fatti accaduti alla Cascina Spiotta. Il terzo uomo della sparatoria rimasto sconosciuto, a tutt’oggi però è da considerarsi un fantasma.

Infatti, come ha scritto lo stesso Azzolini sui social: «Sono fogli tenuti fra le mani da decine di compagni perché gli stessi servirono per la pubblicazione sul primo nostro giornale clandestino».

Anche l’avvocato dell’ex br milanese, Davide Steccanella, si era opposto alla riapertura dell’inchiesta contro il suo assistito, sulle basi della incompetenza territoriale del giudice e anche su elementi oggettivi – secondo l’avvocato – che non porterebbero al coinvolgimento di Azzolini.

C’è poi la questione della sua altezza che per L’Espresso resta un elemento lampante di contraddizione rispetto alle dichiarazioni rilasciate al tempo dai militari sull’uomo desaparecido: «Esile, vestito elegante, alto un metro e 75».

Ma per Nicola Brigida, il legale della figlia dell’appuntato ucciso, Cinzia D’Alfonso, il provvedimento è «equilibrato e accurato. E potrebbe consentire di fare piena luce su quei tremendi fatti che hanno segnato la storia del Paese». Insomma è solo un passo in più verso la ricerca della verità che potrebbe non riguardare soltanto la sparatoria di Arzello. Lo stesso pensiero è condiviso da Bruno D’Alfonso l’altro figlio dell’appuntato, Giovanni che accoglie con sollievo e attesa di nuovi sviluppi il provvedimento.

L’elemento di novità sul quale la Gip si era riservata di decidere, infatti, è ora stato giudicato sufficiente a revocare la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Alessandria nel 1987 nei confronti dell’ex br meneghino in virtù del fatto che «gli accertamenti tecnici del Ris posti alla base della richiesta del pubblico ministero risultano esperiti sulla base delle più aggiornate tecniche di investigazione».

La sentenza in questione, che la Procura e le cancellerie hanno cercato di recuperare in tutti i modi, è andata distrutta durante un’alluvione avvenuta ad Alessandria nel 1994 e con essa l’intero fascicolo. Dell’assoluzione di Azzolini esisteva solo un’attestazione nel registro del 1977 in cui via via venivano riportati gli aggiornamenti tecnici sulla vicenda dal punto di vista processuale.

 

Nuovo Materiale sul Sequestro Gancia.

Esiste tuttavia altro materiale disponibile riguardante quei fatti, e forse non ancora in possesso della Procura di Torino e dell’antimafia. Materiale conservato presso l’Archivio di Stato di Roma ottenuta da L’Espresso. Si tratta di oltre centocinquanta pagine non ancora digitalizzate provenienti dalla Divisione degli Affari Riservati, l’ex servizio segreto del Viminale. Molte sono comunicazioni via telefax e articoli di stampa sul processo scambiati tra le forze dell’ordine sulle due giornate del 4 e del 5 giugno 1975, ma in mezzo ecco emergere anche qualche carta interessante. Come a esempio un foglio aggiuntivo alla relazione scritta dall’agente della Polizia Stradale di Acqui Terme, Alfredo Cima Sander, intervenuto sul luogo della sparatoria: entrambi i fogli sono datati 5 giugno ‘75, solo che nella nota aggiuntiva veniva subito individuata in Mara Cagol la donna uccisa durante lo scontro a fuoco. Mentre, al contrario, nei due giorni successivi alla sparatoria, gli inquirenti indicavano ancora un’altra ex br che poi risultò viva e vegeta. Interessante, a questo proposito, è anche un telegramma redatto dalla polizia giudiziaria dei carabinieri e inviato al Ministero dell’Interno in cui si indicava come sconosciuta e priva di «precedenti dattiloscopici» la donna uccisa alla Spiotta secondo l’allora casellario centrale. Forse è solo questione dei limiti tecnici del tempo, ma la Cagol era già stata arrestata in precedenza. Tanto altro si trova nelle 150 pagine conservate dal Ministero dell’Interno e sulle quali anche la Procura torinese nei prossimi sei mesi (questo il tempo indicato dalla GIP) potrebbe rivolgere il suo sguardo.