È stata l’unica cura possibile per la sua patologia. Alfredo Ossino, ex maresciallo della Guardia di Finanza, ha raccontato il suo caso in un libro. «L’osso del collo me lo sono rotto per servire lo Stato. Ora mi dovrei nascondere?»

«Sembra veramente incredibile: a diciotto anni indossavo la divisa della Guardia di Finanza ed ero nel gruppo operativo antidroga più importante d’Italia, quello di Roma, per poi trovarmi a chiedere la cannabis al mercato nero». A raccontare la sua storia di contrappasso è Alfredo Ossino, maresciallo della Finanza in congedo. Tutto inizia nel 2001 quando gli viene diagnosticata l’artrosi del tratto cervicale: comincia una discesa lenta e dolorosa, le cure non servono, i dolori sono persistenti, una vita di notti insonni e malessere.

 

Il corpo militare lo mette in aspettativa per settecentotrenta giorni, se la situazione non si stabilizza o peggiora dovrà andare in congedo. Ma è solo l’inizio: seguono anni difficilissimi, due protesi alla cervicale, ma soprattutto un deterioramento che sembra impossibile fermare: «Dal servizio operativo, sono passato al letto, mi hanno intossicato, sono arrivato a pesare 90 chili, prossimo alla morte sia per la mia salute, sia perché ero depresso».

Fino al 2013 sono gli oppiacei la terapia di Ossino, lo consumano e alienano. Vuole cambiare, gli prescrivono la lirica che induce a idee suicidarie nelle prime settimane, «Mi sono rifiutato, non volevo gli oppiacei, ma nessun medico riusciva a darmi alternative, allora ho cominciato a consultare internet: conoscevo la cannabis per motivi di servizio, ma non sotto l’aspetto terapeutico. Così mi rivolgo al mercato nero, ho dovuto fare delle prove, ma mi ha salvato la vita».

 

Se la salute va meglio i suoi rapporti no. «La mia famiglia non lo accettava, “Sei diventato uno che si droga”, mi dicevano, per questo ho iniziato a nascondermi da loro e da tutte le mie conoscenze».

Ma Ossino non può tornare indietro dopo anni di insuccessi medicinali, già dalle prime assunzioni passa la depressione e comincia ad alzarsi dal letto. Intanto riceve il primo piano terapeutico dall’ospedale, che poi passa al medico di base dopo sei mesi: «Lui tutto schifato mi guardò: “Cosa sono ste storie di cannabis, io non ne prescrivo”».

«Nel 2015 riacquisto un po’ di dignità familiare grazie al decreto Lorenzin che parla di terapia del dolore, così mia sorella, medico, inizia a prescrivermi la terapia. La cannabis da strada non garantisce la qualità e costa tanto». Il piano terapeutico prevede tre grammi al giorno di infiorescenza secca, che non sempre è disponibile: «Spesso in farmacia non si trova il quantitativo per me ed altri pazienti. Per la mia terapia lo Stato spende mille euro al mese, ma è cannabis olandese, perché non produrla noi?». Andare nelle piazze di spaccio oggi per lui è completamente diverso da quando aveva la divisa, ha sempre paura e si guarda intorno timoroso: «E se incontro dei colleghi come faccio a dirgli che sono malato e quella è la mia cura?».

I disagi maggiori Ossino li ha con la vita di tutti i giorni, lo stigma e le difficoltà nel socializzare lo hanno allontanato da tutti: «Devo inalare cannabis dodici volte al giorno, in pratica ogni ora, ma non so dove andare. Se tiro fuori il vaporizzatore mi fanno domande, se sono al bar mi chiedono per l’odore, sono osservato, divento agli occhi della gente una specie di tossico».

Ossino gira sempre con un certificato medico che spiega la sua condizione e ogni volta raccontare la sua storia è un giustificarsi faticoso: «Non ho relazioni da nove anni, ormai mi sento un eremita. Vivo a Catania, non so se altrove è così. Mi sento toccato nella mia libertà e dignità che sono valori costituzionali». Per questo molti giorni non esce neppure, troppa umiliazione: «Non riesco a farmi amici perché la disinformazione e la propaganda proibizionista sono forti. L’osso del collo me lo sono rotto per servire lo Stato. E ora mi devo nascondere?».

Quando Meglio Legale va a casa sua per un’intervista nel 2021 Ossino decide di rendere pubblico con il vicinato la sua condizione, anche perché da poco aveva acquistato casa. Sei mesi dopo la vicina gli invia una lettera di diffida dall’avvocato dove l’accusa di immettere odori di marijuana nell’aria e che forse poteva pure trafficarla svolgendo attività illecita. Aggiunge che molti nel palazzo si erano sentiti male per gli odori. «Un atto intimidatorio, perché pur sapendo della mia condizione mi ha diffamato anche con i negozianti vicini a cui ho dovuto poi raccontare la mia storia. E se non avessi avuto il certificato medico sarei potuto finire in galera».

Ossino da paziente ha cambiato totalmente la sua visione nei confronti della cannabis, che vorrebbe fosse legalizzata per tutti: «Ogni giorno Gasparri, La Russa, Salvini, Santanché vanno a dire che se ti fumi la cannabis sei un drogato. Parlano di cultura dello sballo quando tra gli adolescenti le serate sono a base di alcool: potremmo fare percorsi fuori dalle discoteche, salvare vite. Iniziamo a insegnare alle elementari cosa sono le sostanze, non vietandole. La salute non può essere ostaggio delle ideologie politiche».

Ora Ossino ha 59 anni, è rinato, ha un fisico palestrato perfetto, fa attività tutti i giorni e ha raccontato tutto nel libro “Cannabis. La vera storia di un agente Antidroga” (Edizioni Effetto): «Hanno congedato un ispettore con tanta esperienza perché non sono stati in grado di darmi la terapia giusta in tempo, oggi lavorerei ancora». E purtroppo Ossino non è l’unico. «La scorsa settimana mi ha scritto un collega ancora in servizio, nella mia stessa condizione, lo stanno imbottendo di oppiacei, ma non può assumere cannabis, altrimenti sarebbe positivo al drug test».