Si fa un nome con i ritratti di Mao Zedong. Ma è in Europa che scopre il suo stile unico. Che gioca a ping-pong con la Storia

Yan-Pei Ming è nato a Shanghai nel 1960, è cresciuto nel pieno della rivoluzione culturale e proprio a Mao Zedong (la cui immagine era diffusa ovunque) deve tutto. E quando diciamo tutto intendiamo prima di ogni cosa gli aspetti più cupi, quelli legati alla negazione della libertà che vive fin da giovanissimo, quando all’età di sei anni vede la sua famiglia espulsa dal tempio in cui viveva per fare spazio al commissariato di polizia di quartiere. Finiranno, in cinque, in un appartamento di diciotto metri quadri. Ma deve al presidente del Partito Comunista Cinese anche il germe dell’arte, perché è proprio vedendo un vicino dipingere quell’effigie che decide anche lui di provare e da quel momento dirà che «Mao per me è una specie di laboratorio. Faccio tutte le mie prove, i miei esperimenti sui suoi ritratti». Respinta la sua domanda di ammissione alla Scuola di arti applicate di Shanghai, ancora una volta grazie al “Grande Timoniere”, attraverso i dipinti che gli dedicava e che il mondo ammirava, si trasferisce prima a Parigi e poi a Digione, dove frequenta l’École Nationale Supérieure des Beaux Arts.

 

Inizia qui la carriera di un “pittore d’assalto”, chiamato così per il vigore delle sue pennellate che creano grandi tele di Storia e di storie, lavori che giocano una partita di ping-pong tra oriente e occidente e fissano nel tempo grandi capolavori della storia dell’arte, autoritratti, foto di cronaca e di famiglia. La carrellata delle oltre 30 opere della mostra a Palazzo Strozzi (curata da Arturo Galansino e visitabile fino al 3 settembre) comincia con un trittico in cui Yan-Pei Ming si fa Cristo e ladroni, eliminando però la croce e spingendoci a cercare in un’immagine drammatica una familiarità che riconosciamo anche senza il simbolo più potente. E ancora scippa alla cronaca i corpi senza di vita di Mussolini appeso a testa in giù, di Pasolini ritrovato in spiaggia e di Aldo Moro in un bagagliaio, affidando loro una certa dose di sacralità. Fa la stessa cosa con tigri, draghi, Hitler, Putin, Buddha, Zelensky, Bruce Lee. Un frullatore esattamente come lo è la storia, a cui consegna questi profili.

 

Con “Il funerale di Monna Lisa” Yan-Pei Ming si appropria definitivamente dell’iconografia: ne esaspera le dimensioni, amplia il paesaggio, aggiunge la figura del padre in ospedale e di lui stesso morto. «Monna Lisa è un mistero», dice l’artista, «come la morte stessa”. Così Yan-Pei Ming trasforma il pubblico in privato, così Leonardo torna attuale e commenta il rapporto con il padre e, soprattutto, la morte sbagliata di un genitore che sopravvive al figlio. «Perché la storia è una tragedia, crudelissima, che travolge l’umanità».

 

LUCI
478 oggetti saccheggiati dagli olandesi durante il loro dominio coloniale, verranno restituiti dal Rijksmuseum di Amsterdam allo Sri Lanka e all’Indonesia. Ad annunciarlo il ministro della Cultura Gunay Uslu, che ha detto: «Stiamo semplicemente restituendo oggetti che non avrebbero mai dovuto essere nei Paesi Bassi».

 

E OMBRE
Il delegato del Governo inglese per l’immigrazione, Robert Jenrick, ha dato ordine di cancellare da un centro di accoglienza per minori alcuni murales raffiguranti personaggi Disney. «Troppo accoglienti, danno un messaggio sbagliato», ha detto il politico al quale, in quanto a moralità, Crudelia De Mon spiccia casa.