Di certo è una figura da romanzo: anche se il ruolo che Carlos Ghosn avrebbe in un romanzo ancora non è chiaro. Forse è un (ricco) innocente che ha rischiato di essere stritolato da un meccanismo più grande di lui. Forse un truffatore d’altissimo bordo che ha approfittato del potere per rubare milioni di euro alle aziende che dirigeva. Di certo i soldi che ha fatto, in modo lecito o illecito, li ha investiti bene: abbronzato e sorridente, si gode la latitanza in una elegante casa del martoriato Libano, suo paese d’origine. Che proprio in questi giorni rivive l’esplosione che ha distrutto il porto di Beirut e ha costretto a lasciare il Paese migliaia di libanesi meno ricchi del famoso latitante, protetto dalla mancanza di trattati di estradizione con i Paesi che vorrebbero vederlo in galera.
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A Carlos Ghosn, per oltre dieci anni amministratore delegato del gruppo automobilistico allora più grande del mondo (univa Renault a Nissan e Mitsubishi), arrestato nel 2018 a Tokio per corruzione e appropriazione indebita e fuggito rocambolescamente da Osaka dentro un baule, sono stati dedicati migliaia di articoli. Adesso arriva anche una serie di documentari: si intitola "Wanted: Carlos Ghosn" e sarà disponibile su AppleTv a partire dal 25 agosto, in quattro parti. La serie si basa sul rapporto più completo sulla vicenda, quello pubblicato in "Boundless" dai giornalisti del Wall Street Journal Nick Kostov e Sean McLain, ed è prodotta da AppleTv insieme al Wall Street Journal.
La versione dell’innocente stritolato dai poteri forti è ovviamente quella di Ghosn. Come ha spiegato a Diane Brady di Forbes in un’intervista, il governo francese era in imbarazzo dopo che una nuova legge aveva dimezzato il diritto di voto dei giapponesi nel gruppo Nissan-Renault: «Non sapevano come uscire dalla situazione, e hanno pensato che la cosa migliore fosse fare fuori me». Non per niente l'iniziativa più recente di Ghosn è stata fare causa alla Nissan per danni: loro lo accusano di aver rubato 16 milioni di dollari, lui ne chiede un miliardo.
Intanto, la sua vita va avanti: «È un riposo forzato ma me lo sto godendo, non soffro più di jet-lag, ho orari stabili per dormire e per mangiare, lavoro all’università, faccio seminari, scrivo libri, partecipo a film, aiuto startup libanesi: di fronte ai grossi problemi di questo periodo aiuto i giovani a mettere il Paese sottosopra». Però anche la Renault crede all’altra versione, quella del truffatore d’altissimo bordo: e in effetti lo ha denunciato per il furto di 15 milioni di euro. A tenerlo inchiodato in Libano, dall’anno scorso c’è anche un mandato di cattura francese.
Rischia di finire chiuso in uno Stato piccolo piccolo questo geniale manager che unisce nel suo curriculum quattro continenti: nato in Brasile da madre africana, ma con entrambi i genitori di origine libanese, ha fatto il liceo dai gesuiti a Beirut, l’università al Politecnico di Parigi per poi lavorare in Francia, Stati Uniti e Giappone.
Il serial segue questo «Icaro volato troppo vicino al sole» in tutta la sua carriera, spiega come è diventato uno degli uomini più potenti del mondo e perché è finito per più di tre mesi in un carcere giapponese, dove la detenzione è notoriamente durissima. Quando ottiene gli arresti domiciliari, Ghosn è controllato da telecamere 24 ore su 24 e seguito costantemente da investigatori della Nissan: malgrado tutto, con la complicità di due americani che per questo sono finiti in carcere, riesce a volare su un jet privato da Osaka a Istanbul. La sua vicenda a tratti ricorda quella del Gregory David Roberts di "Shantaram", anche se ne è una versione decisamente meno tragica e più jet-set.
Ghosn però detiene probabilmente un record: quello di ricercato più decorato al mondo. Ha ricevuto la Legion d’Onore e onorificenze equivalenti in Gran Bretagna, Spagna e Marocco. E anche se gli abissi dell’avidità umana sono insondabili e pieni di continue sorprese, è dura immaginare che un uomo che ha guadagnato per decenni cifre da capogiro abbia perso tutto per comprare uno yacht e finanziare il matrimonio con la moglie Carol, che condivide la latitanza dorata con lui (del resto è ricercata anche lei, per complicità nella fuga).
Progetta una carriera politica?, gli ha chiesto "The National", giornale multimediale in inglese degli Emirati Arabi Uniti. Lui ha risposto con condiscendenza: «No, sono il contrario di un politico, sono un tipo diretto, io. Mi piace lavorare per risolvere le cose, non per far finta di risolvere. Ma aiuterei i politici a capovolgere la situazione del Paese, se me lo chiedessero». Avanti, libanesi: basta chiedere!