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Mondo
settembre, 2023

Guerra in Ucraina, per evitare che la controffensiva sia un fallimento ora Kiev corre

Il governo Zelensky rivendica i successi nell’avanzata. Ma con l’inverno sottrarre terreno ai russi diventerà più difficile. Mentre incombe lo spettro della corruzione interna e della fame

Stallo militare, carenza di armi, crisi economica, tradimenti, pressioni internazionali o calcoli spietati. Quale sarà l’elemento che porterà Ucraina e Russia a sedersi a un tavolo negoziale è difficile dirlo, ma negli ultimi giorni si è potuto osservare l’emergere di diversi fattori che è utile analizzare. L’incontro a Sochi tra il presidente russo Vladimir Putin e il turco Recep Tayyip Erdogan in cui Mosca ha ribadito il suo «niet» al ripristino dell’accordo sul grano, ad esempio. 

 

Le dimissioni (forzate) del ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, per l’ennesimo scandalo legato alla corruzione nell’amministrazione di Kiev. L’inchiesta del New York Times sulla scarsità di riserve nei depositi di munizioni russi e i conseguenti contatti del Cremlino con l’autocrate nordcoreano Kim Jong-un. I cento miliardi di forniture belliche ricevute dall’Ucraina e il fastidio dell’entourage di Volodymyr Zelensky per le analisi sulle difficoltà della controffensiva.

 

Partiamo dall’ultimo punto. I vertici di Kiev hanno scelto di passare al contrattacco mediatico per smentire quanti sostengono che la «controffensiva ucraina sia un fallimento». E, si badi bene, non ci si riferisce a Putin e ai suoi ministri che, per ovvi motivi, hanno tutto l’interesse a sostenere tale tesi. La vera spina nel fianco dell’Ucraina sono i media dei Paesi amici, Usa in primis. Tutti in Occidente si sono resi conto che la tanto attesa controffensiva non è la «cavalcata trionfale» che alcuni avevano immaginato. E tuttavia ci sono voluti due mesi per iniziare a riconoscerlo. A far da apripista i quotidiani statunitensi, con lunghi editoriali che lasciavano ben poco spazio alle speranze di vittoria. Un duro colpo per i vertici ucraini, che però con i giornali del loro principale alleato non potevano permettersi troppa veemenza. Il presidente Zelensky si limitava a chiedere «pazienza» e a ricordare il sacrificio dei suoi al fronte, abbassando i toni il più possibile e incentrando gli incontri pubblici su altro (F-16, ingresso nella Nato, Crimea).

 

Poi, inaspettatamente, l’inversione di rotta. La conquista del villaggio di Robotyne, a Sud di Zaporizhzhia, e il massiccio attacco di droni contro le strutture russe del 30 agosto, «il più importante e devastante sul suolo russo dall’inizio della guerra», hanno segnato il cambio di registro. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, a margine della riunione ministeriale Ue in Spagna, ha intimato: «Raccomando a tutti i critici di stare zitti, di venire in Ucraina e di provare a liberare un centimetro quadrato da soli». Meno assertivo Zelensky che però è tornato a parlare di «vittoria», alla quale, secondo lui, l’Ucraina «si sta avvicinando passo dopo passo».

 

Intanto i portavoce delle forze armate parlano di ulteriori avanzate verso Melitopol, obiettivo dichiarato della controffensiva, e di superamento della prima linea di difese russe. Il che ha fatto gridare alcuni entusiasti al capolavoro tattico: «Superare una linea di trincee e campi minati senza copertura aerea è un’impresa», si legge sulle pagine di diversi analisti militari. Ma ha costretto altri a essere più duri: «L’esercito russo non rimarrà fermo ad aspettare che gli ucraini erodano le sue difese metro dopo metro, il Cremlino vuole che la controparte si consumi negli assalti sul fronte sud». Per quanto si possano ritenere entrambe le affermazioni veritiere, il dato che interessa è quello temporale. Tra un mese le temperature inizieranno ad abbassarsi drasticamente, tra due arriverà il freddo e in molte regioni avanzare diventerà progressivamente più difficile. Allora bisognerà fermarsi e riorganizzarsi per la primavera prossima.

 

È dunque lecito supporre che Kiev abbia bisogno di accelerare i tempi il più possibile, mentre Mosca voglia congelarli. Il diniego di Putin alla riapertura della rotta commerciale del Mar Nero per il grano rientra in quest’ottica. Obbligare l’Occidente ad allentare le sanzioni contro le aziende russe al momento sembra difficile, ma tra qualche mese chissà. Nel frattempo l’artiglieria russa continua a prendere di mira le infrastrutture portuali di Odessa e delle città costiere ucraine riducendone le capacità di esportazione e, elemento da non sottovalutare, mettendo a rischio le riserve di cereali di un Paese che da oltre un anno e mezzo è in guerra. Mentre Putin lamenta il mancato rispetto dei patti da parte dell’Onu (Putin che rassicurava il mondo di non aver intenzione d’invadere l’Ucraina, ma che si trattava di esercitazioni), Mosca l’anno passato ha raggiunto livelli di esportazione di cereali da record. Di contro, l’Ucraina invasa ora ha i suoi migliori campi bruciati dalle esplosioni, minati, allagati dall’esondazione del Dnipro dopo l’attentato alla diga di Nova Kakhovka, occupati o, nel migliore dei casi, incolti. In altri termini, la fame è un rischio reale. Al netto dell’ingente supporto economico da parte dell’Occidente che, oltre alle armi, ha permesso all’apparato statale ucraino di continuare a funzionare. Ma tale apparato non è esente dai problemi che colpiscono il mondo in pace. La corruzione, il peculato, il nepotismo sono piaghe per qualsiasi società, ma in guerra hanno un impatto ancora maggiore. Zelensky dovrà riuscire a tenere insieme il governo e a non indispettire gli alleati se vorrà continuare a ricevere supporto incondizionato. E anche questa è una guerra in un Paese che fino a poco tempo fa aveva uno dei tassi di corruzione più alti d’Europa.

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