L'intervento
Prendere o lasciare: il capitalismo online è fondato sul ricatto
Apro un account, cedo i miei dati ma posso essere sospeso in qualsiasi momento senza strumenti di tutela. Il modello economico che da consumatori ci trasforma in merce prescinde dal diritto
Cerco di collegarmi a Facebook (o altra piattaforma) per conoscere il programma politico di un candidato. Per entrare devo aprire un account accettando di cedere diversi miei dati. Se non accetto non entro. Sono così escluso dalla più importante piazza politica virtuale. I miei diritti di cittadinanza sono condizionati. Vengo invitato a una riunione Zoom dalla scuola dei miei figli. Per partecipare devo cedere i miei dati, dare il mio consenso. I miei diritti\doveri di genitore sono così condizionati. Voglio capire come funziona ChatGpt per poterne parlare con cognizione di causa in una prossima lezione all’università. Anche qui devo sottostare alla stessa procedura: prendere o lasciare. Una volta ottenuto l’accesso, la mia permanenza è a sua volta condizionata. Non devo essere sospettato di divulgare fake news perché il mio account, può sempre essere sospeso. Il modo migliore di non rischiare la sospensione (perdendo il contatto con migliaia di persone che nel frattempo hanno deciso di diventare miei follower) è di evitare posizioni eccessivamente critiche o controverse, aggiustando il mio linguaggio o i miei contenuti al mainstream.
Sulla disponibilità dei dati di quante più persone possibile si basa l’economia della Rete, nota anche come capitalismo cognitivo o della sorveglianza, che ci offre servizi apparentemente gratuiti ma in realtà pagati con una moneta molto preziosa: la nostra privacy. La condizionalità, ossia la logica del prendere o lasciare, costituisce il principale sostrato istituzionale di questo nuovo modello economico. Grazie a questa logica, i consumatori sono trasformati direttamente in merce, senza necessità di alcuna mediazione da parte del diritto. Infatti, mentre il passaggio da cittadino attivo (portatore di diritti e doveri costituzionali di partecipazione) a consumatore è stata una metamorfosi creata attraverso il diritto (il consumatore, a partire dagli anni Sessanta, è “creato” dal diritto che tutela il cittadino nei confronti della sua passività o debolezza, così passivizzandolo e depoliticizzandolo), l’attuale trasformazione in merce si sta verificando senza che il diritto giochi alcun ruolo. La tecnologia che governa la rete Internet infatti consente di escludere, negando l’ accesso alla piattaforma senza bisogno di quegli apparati giuridici che sono tradizionalmente necessari per proteggere la proprietà privata nei confronti dell’accesso non autorizzato. In altre parole, mentre il diritto ha costituito l’infrastruttura necessaria per lo sviluppo della modernità e del capitalismo della produzione, esso non è necessario per istituire il capitalismo cognitivo o della sorveglianza. Nel mondo della Rete, la logica del prendere o lasciare diventa istituzione.
Scrivendo negli anni Ottanta del secolo scorso, Douglass North, uno dei maestri dell’istituzionalismo economico, distingueva le istituzioni formali, quali appunto il diritto, da quelle informali attraverso cui le società si organizzano e stabilizzano tramite costumi condivisi. Successivi studi, in particolare quelli di antropologia giuridica legati a nomi prestigiosi come Laura Nader o, da noi, Rodolfo Sacco, hanno contestato che la giuridicità derivi dalla forma, e hanno dimostrato come il diritto possa essere informale, inconsapevole e perfino “muto”. Esso deriva da abitudini sociali che possono essere o anche non essere formalizzate ma che comunque vincolano a comportamenti che appaiono nell’interesse di tutti. Il passaggio dalla logica del diritto a quella del «prendere o lasciare», che a sua volta può descriversi come «condizionalità» (come negli accordi fra Stati debitori e Banca Mondiale e oggi fra Unione Europea e Paesi che intendono accedere ai fondi Pnrr) o più crudamente come «ricatto», pare costituire un passaggio strutturale ulteriore. Non si tratta di una metagiuridicità o pretergiuridicità oltre la forma: siamo di fronte all’antigiuridicità, sostituzione della logica del diritto con l’antidiritto, proprio come nella locuzione «vie di fatto».
Infatti, che sia «l’arte del buono o del giusto» di cui a Cicerone, o «l’antica consuetudine del regno», scoperta dai giudici angloamericani di common law, o «la giustizia del caso concreto» data dal cadi musulmano o dagli anziani del villaggio africano, o perfino, forse, «il gioco di ghiandole e ormoni» studiato dagli etologi, che danno forza al primate per difendere il territorio invaso da un esemplare più grande ma in torto, il diritto ha sempre ambito ad essere altro rispetto alla legge del più forte.
Diritto significa retto e retto significa giusto (ius), una radice etimologica che si ritrova in moltissime lingue (droit, derecho, recht). Il ricatto, è invece estorsione, arbitrio, torto (appunto etimologicamente storto, tort: illecito) contrapposto al diritto. Il diritto richiede un bilanciamento di interessi contrapposti, possibilmente fatto da un terzo, senza conflitti di interesse ma anzi nell’interesse generale.
Anche se ci siamo abituati a che le piattaforme private decidano chi sta dentro e chi sta fuori e possano escluderci con un clic se non acconsentiamo a diventare merce, o non ci comportiamo come esse vogliono, l’accondiscendenza generale non rende tutto ciò meno problematico. Il diritto, per quanto informale e perfino muto, esclude che una parte in causa decida solo nel proprio interesse. Se così invece è, siamo entrati nel mondo dell’antidiritto, con tutti gli arbitri e le distorsioni che esso comporta rispetto alla retta via.