Bengala
«Tutti ripetono che bisogna ricominciare dalla scuola. Ma la scuola fa già troppo per i mezzi che ha»
Davanti a fatti di cronaca violenti che coinvolgono i giovani, s'invoca più educazione in aula. Ma ci si dimentica che i fondi a disposizione sono ridicoli e i docenti piegati
Stupri di gruppo a Caivano e a Palermo, crimini di baby gang, femminicidi da parte di uomini violenti. Ogni volta che si parla di fatti del genere, l’opinione pubblica e i media in generale useranno sempre la solita frase: dobbiamo «ricominciare» dalla scuola. Nessun politico, nessun opinionista, però, si ferma mai a spiegare di quale scuola stia parlando.
Questa? Quella decimata da tagli e riforme mancate, quella con gli stipendi più bassi d’Europa e degli scatti di carriera talmente ininfluenti che ormai nessun laureato, se non perché costretto, vuole considerare? Non per mancanza di passione, ma perché non hanno voglia di arrancare con uno stipendio inadeguato e di assumersi quel carico di responsabilità che è la gestione delle classi pollaio in cui si incontrano casi difficili e studenti problematici. Esistono i pollai solo perché lo Stato risparmi. Un docente deve fronteggiare classi con ventisette alunni, a volte ventinove, solo perché dividere quella classe in due significherebbe pagare due stipendi.
Quando sentiamo i politici e gli opinionisti dire che dobbiamo «ricominciare» dalla scuola dovremmo pretendere che ci spiegassero come, altrimenti è solo retorica. I vari ministri che si sono succeduti hanno contribuito nei decenni a rendere la scuola simile a un’azienda, hanno trasformato i progressi dei ragazzi in performance e hanno scaricato sul personale scolastico e sui docenti dei ruoli da impiegati amministrativi per permettere alle istituzioni di risparmiare. La scuola attuale si regge sul volontariato di una percentuale di dipendenti eccellenti, poi sui precari e, infine, su un esercito di demotivati senza un briciolo di entusiasmo che insegnano perché non hanno trovato di meglio. Fa malissimo dirlo, ma è così.
Quindi, la scuola fa già anche troppo rispetto ai mezzi che ha. Non serve l’educazione sessuale nelle scuole per sapere che stuprare in branco una ragazzina e filmarla con il cellulare sia qualcosa di profondamente sbagliato. Gli adolescenti sono giovani, ma certe cose le sanno. Oltretutto la scuola già sensibilizza il più possibile i ragazzi sui temi dell’uguaglianza, del bullismo e della diversità attraverso laboratori e dialogo, ogni santissimo giorno. Nelle scuole superiori si fa pure educazione sessuale, anche se non c’è un programma ministeriale dietro: si invitano le associazioni del territorio a sensibilizzare sui temi caldi, si fanno intervenire gli esperti. Il tutto con le famiglie sul piede di guerra per una nota o una bocciatura e i presidi che raccomandano agli insegnanti di andarci con molta cautela per evitare denunce e litigi.
Provate a parlare con un ragazzo di prima media e capirete subito che, per lui e per la maggior parte dei suoi coetanei, l’uguaglianza di genere è già ampiamente radicata, più che in noi. È normalissimo per loro essere gay, avere due genitori dello stesso sesso, provare sentimenti di amore verso compagni e compagne indistintamente dal genere. Non serve la schwa a loro, serve solo a noi (poco oltretutto).
Quindi, quando sento che dobbiamo «ricominciare» dalla scuola, detto da un politico o da un opinionista, mi viene solo in mente Nanni Moretti che in “Sogni d’oro” urla in macchina con i suoi amici: «Parlo mai di cardiologia? Di astrofisica? Io non parlo di cose che non conosco!».